La conciliazione intervenuta presso la sede aziendale con l’assistenza di un sindacalista. Possono ritenersi rispettati i requisiti dell’art. 2113, quarto comma, Cod. civ.?

Roberto Lama
29 Aprile 2025

Cass. civ. sez. lav., ord. n. 9286/2025 dell’8 aprile 2025

Un lavoratore con la qualifica di operaio viene licenziato; lo stesso giorno del licenziamento, presso la sede aziendale e con l’assistenza di un sindacalista appartenente ad una sigla sindacale cui egli non è iscritto, sottoscrive un verbale di conciliazione.

Successivamente il lavoratore impugna tale verbale ritenendo che non sussistessero i requisiti affinché esso potesse esser fondatamente ritenuto un “verbale sottoscritto in sede sindacale”, con conseguente pretesa inapplicabilità della disciplina dettata dall’art. 2113, quarto comma, Cod. civ.

La decisione della Cassazione

Se la Corte di Appello aveva ritenuto che la sottoscrizione del verbale presso la sede del datore di lavoro non avesse minato l’effettività dell’assistenza sindacale prestata nell’occasione da un sindacalista, la Cassazione, dando continuità al proprio orientamento (cfr. Cass. n. 10065/2024, commentata sul nostro sito, La conciliazione in sede sindacale può essere validamente conclusa presso la sede aziendale?), afferma invece che ai fini dell’inoppugnabilità delle rinunce e delle transazioni aventi ad oggetto diritti del lavoratore previsti da disposizioni inderogabili di legge o di contratti collettivi “è necessario che l’accordo sia stato raggiunto con un’assistenza sindacale effettiva, tale da porre il lavoratore in condizione di sapere a quale diritto rinunci e in quale misura…nonché, nel caso di transazione, a condizione che dall’atto stesso si evincano la questione controversa oggetto della lite e le reciproche concessioni in cui si risolve il contratto transattivo ai sensi dell’art. 1965 c.c.”.

Ciò premesso, viene precisato che la sede di stipula, così come l’affiliazione o meno al sindacato cui appartiene il rappresentante sindacale che fornisce assistenza nel caso specifico, non sono requisiti “neutri”, ma concorrono funzionalmente “ad assicurare che la volontà del lavoratore sia espressa in modo genuino e non coartato”.

Quanto sopra in ragione del fatto che il legislatore, con i primi tre commi dell’art. 2113 Cod. civ., ha disciplinato una peculiare forma di protezione del lavoratore attraverso la previsione della indistinta invalidità delle rinunzie e delle transazioni aventi ad oggetto diritti inderogabili, da far valere mediante impugnazione di tali atti da proporre nel termine di decadenza di sei mesi, termine che, per l’appunto, viene appositamente riconosciuto al lavoratore per consentirgli di beneficiare di un adeguato periodo di tempo utile per acquisire pareri professionali e dunque per riflettere sulla effettiva convenienza dell’atto sottoscritto.

 Tale peculiare forma di protezione giuridica, tuttavia, ai sensi di quanto prescrive il quarto comma dell’art. 2113 Cod. Civ., è destinata a non operare “in presenza di adeguate garanzie costituite dall’intervento di organi pubblici qualificati, operanti in sede c.d. protette”, quali la sede giudiziale, le Commissioni di conciliazione presso la Direzione Provinciale del Lavoro, l’Ispettorato Territoriale del Lavoro, le sedi sindacali.

Cionondimeno, afferma la Corte, poiché “la protezione del lavoratore non è affidata unicamente all’assistenza del rappresentante sindacale manca luogo in cui la conciliazione avviene, quali concomitanti accorgimenti necessari al fine di garantire la libera determinazione del lavoratore nella rinuncia a diritti previsti da disposizioni inderogabili e l’assenza di condizionamenti”.

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