Cass. SS.UU. n. 23876/2025
Il caso
Un lavoratore, disoccupato involontario per scadenza del termine apposto al suo contratto di lavoro, impugna giudizialmente il predetto contratto e, al contempo, chiede ed ottiene dall’INPS l’indennità di disoccupazione in relazione alla propria condizione di disoccupato involontario.
Accade che, con sentenza passata in giudicato, il contratto di lavoro subordinato a termine venga dichiarato nullo, con conseguente ricostituzione ex tunc di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, ordine di riammissione in servizio del lavoratore e contestuale erogazione in favore del lavoratore dell’indennità risarcitoria onnicomprensiva di cui all’art. 32, comma 5°, L. n. 183/2010.
L’INPS, preso atto dell’epilogo giudiziale di cui sopra, ha richiesto in giudizio al lavoratore la restituzione dell’indennità di disoccupazione, ritenuta un indebito soggettivo sopravvenuto, posto che la declaratoria della sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato aveva comportato il venir meno dello stato di disoccupazione involontaria, cioè il requisito per l’erogazione dell’indennità di disoccupazione quale prestazione previdenziale preordinata a garantire un sostegno economico nel periodo occorrente per la ricerca di un nuovo lavoro a favore di coloro che avessero perso un precedente impiego per ragioni indipendenti dalla loro volontà.
In primo grado la domanda dell’INPS era stata accolta con sentenza, poi riformata nel secondo grado di giudizio. Per la riforma della sentenza della Corte d’Appello ha proposto ricorso per Cassazione l’Ente previdenziale.
La decisione delle Sezioni Unite
La decisione che qui brevemente si commenta prende le mosse dall’ordinanza interlocutoria n. 22985/2024 con cui la Sezione Lavoro della Cassazione aveva rimesso gli atti al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione del ricorso alle Sezioni Unite, sia per la particolare importanza della questione, sia per l’esistenza di un latente contrasto tra le Sezioni semplici della medesima Cassazione.
Le Sezioni Unite muovono innanzi tutto da un’analisi dell’ordinanza interlocutoria cui si è fatto più sopra cenno.
In questa sede, sia sufficiente rammentare che un principio fondamentale che governa la materia è che l’indennità di disoccupazione è finalizzata a prestare sostegno del reddito in tutti i casi in cui la disoccupazione non sia correlata ad un comportamento volontario del lavoratore. Pertanto, è stato precisato in giurisprudenza che è l’effetto estintivo del rapporto di lavoro, proprio dell’atto di recesso datoriale, a determinare comunque lo stato di disoccupazione costituente il presupposto del diritto alla prestazione previdenziale, sul quale non può incidere la contestazione, in sede giudiziale, della legittimità del licenziamento. In altri termini, “l’intervenuta disoccupazione involontaria deve valutarsi al momento dell’atto risolutivo, perché, diversamente opinando, si finirebbe per negare la protezione previdenziale al lavoratore che, per qualsivoglia motivo omettesse d’impugnare un licenziamento pur manifestamente illegittimo”. Analogamente, si è affermato che, in caso di contratto a tempo determinato dichiarato nullo, a cui poi non sia seguita l’effettiva ripresa lavorativa presso il datore di lavoro per scelta del lavoratore, “il diritto all’indennità di disoccupazione comunque persiste, poiché anche in tal caso il fatto costitutivo è da ricondursi alla cessazione del rapporto di lavoro per causa non imputabile al lavoratore, qual è l’illegittima apposizione del termine finale da parte del datore di lavoro, e non già alla mancata esecuzione, da parte del lavoratore, del provvedimento giudiziario di ricostituzione del rapporto di lavoro con efficacia ex tunc, il quale la rappresenta un post factum, in quanto tale eziologicamente ininfluente”.
Ed in effetti, in linea con quanto sopra, la Sezione Lavoro si era chiesta se la tutela apprestata dall’art. 32, comma 5°, L. n. 183/2010 – che, come è noto, prevede la ricostituzione ex tunc del rapporto di lavoro e l’erogazione di un’indennità risarcitoria onnicomprensiva avente un tetto massimo di 12 mensilità – potesse ritenersi idonea a far venir meno, ora per allora, lo stato di disoccupazione involontaria e se comunque potesse ritenersi idonea ad assicurare la realizzazione della finalità di sostegno del reddito a cui è funzionale l’indennità di disoccupazione.
Osservano le Sezioni Unite che l’alternativa espressa dal contrasto tra le decisioni che ritengono che per effetto della ricostituzione giudiziale del rapporto venga meno lo stato disoccupazione involontaria, e quindi il presupposto per l’indennità di disoccupazione, e quelle che invece ritengono che tali decisioni incidano unicamente sul piano del rapporto di lavoro e non anche su quello previdenziale, “sottende diverse opzioni assiologiche, tra la sufficienza del dato eminentemente formale della ricostituzione, de iure, del rapporto di lavoro, e la necessità di valorizzare, per contro, una ricostituzione effettiva del rapporto lavorativo e di tenere, comunque, nel debito conto anche il carattere satisfattivo della tutela somministrata che il lavoratore abbia medio tempore conseguito”.
Affermano le Sezioni Unite che “la soluzione interpretativa deve essere improntata alla diversità e alla distinzione tra rapporto previdenziale e rapporto lavorativo – che pur del rapporto previdenziale ne rappresenta il presupposto – e non possono perciò predicarsi conseguenze automatiche delle vicende che interessano il rapporto di lavoro sul rapporto previdenziale”.
In questo senso, “ciò che fonda e giustifica l’erogazione della prestazione previdenziale è esclusivamente la condizione di bisogno determinata dalla perdita della retribuzione e finché questa perdura; l’ordinamento prevede decadenza e/o sospensione e/o riduzione del trattamento quando tale situazione cessi o si attenui perché il lavoratore si è occupato”. Pertanto, “se a seguito della declaratoria di nullità del termine finale apposto al contratto e conseguente ripresa del sinallagma contrattuale, (…) di lì in avanti lo stato di disoccupazione involontaria viene meno - e viene meno, perciò, la condizione di fatto per l’erogazione dell’indennità – lo stesso non può affermarsi in relazione allo stato di disoccupazione e di bisogno dell’assicurato precedenti all’effettiva ripresa, situazione di fatto che la mera conversione giudiziale del rapporto costituito, ad origine, a tempo determinato, pur fondata sull’assunto del rapporto di lavoro mai estinto per effetto della nullità del termine finale, non può travolgere nella sua realtà fenomenica ed effettività”.
Del resto, osserva la Corte, l’indennità economica prevista dall’art. 32, comma 5, L. n. 183/2010, se, da un lato, va ad integrare la garanzia della conversione del rapporto di lavoro a termine in rapporto di lavoro a tempo indeterminato “che costituisce la protezione più intensa che possa essere riconosciuta ad un lavoratore precario”, dall’altro, essendo forfettizzata con un limite massimo, risponde unicamente all’esigenza di certezza dei rapporti giuridici tra tutte le parti coinvolte, operando unicamente sul piano del rapporto di lavoro. Diversamente, l’indennità di disoccupazione è volta a neutralizzare, per quanto possibile e quindi tenendo doverosamente conto delle esigenze di equilibrio della finanza pubblica, lo stato di bisogno del lavoratore correlato alla disoccupazione involontaria; quest’ultima, tuttavia, attiene “al rapporto previdenziale, rapporto autonomo rispetto al rapporto di lavoro e le vicende concernenti quest’ultimo ed il suo svolgimento – in particolare, con riferimento alle tutele apprestate per il ripristino del rapporto – non possono riverberarsi automaticamente sul rapporto previdenziale, a pena di infirmare la protezione costituzionale della situazione di bisogno effettivamente prodotta fino al ripristino del rapporto lavorativo e del sinallagma contrattuale”.
Come intuibile, pertanto, la sentenza della Corte di Appello è stata confermata e le pretese restitutorie avanzate dall’Ente previdenziale sono state rigettate.