Patto di non concorrenza, tra genericità dell’oggetto e (in)congruità del corrispettivo

Stefano Guadagno
30 Settembre 2025

La Corte d’Appello di Catania, con sentenza del 11 luglio 2025, n. 593, conferma la nullità di un patto di non concorrenza ex art. 2125 c.c. per indeterminatezza del contenuto dell’obbligo a carico del lavoratore e incongruità del corrispettivo.

La vicenda trae origine dall’azione di una società di progettazione e sviluppo di software per gestione dati a livello nazionale e internazionale nei confronti di un ex dipendente per la violazione del patto di non concorrenza post contrattuale, da cui lo stesso era vincolato, in ragione dell’avvio di un rapporto di lavoro impresa concorrente, nell’immediatezza della cessazione del rapporto.

Il lavoratore, nel costituirsi in giudizio, ha eccepito la nullità del patto per contrarietà al paradigma normativo dell’art. 2125 c.c. 

Il Tribunale ha dichiarato la nullità del patto di non concorrenza, poiché la clausola delimitativa dell’oggetto dell’obbligo assunto dal lavoratore – avente ad oggetto attività “"applicazioni software e componenti software per applicativi industriali, applicativi web, applicativi grafici basati su tecnologia Microsoft - dotNet o tecnologia Apple Ios” – era indeterminato “non indicando in modo specifico né il settore merceologico né l'ambito di attività oggetto del divieto”. A fronte di “un vincolo talmente ampio da precludere all'ex dipendente lo svolgimento di qualsivoglia attività lavorativa”, per 18 mesi, sarebbe stato riconosciuto un corrispettivo inadeguato.

Ha proposto appello principale il lavoratore – lamentando la condanna alla ripetizione delle somme ricevute a titolo del corrispettivo del patto, in assenza di espressa domanda – e appello incidentale la società, censurando la sentenza di primo grado per avere dichiarato la nullità del patto.

La Corte, nel delibare l’appello incidentale, richiama il consolidato orientamento della Corte di Cassazione secondo cui il corrispettivo del patto di non concorrenza, “in quanto elemento distinto dalla retribuzione” è necessario che possieda “i requisiti previsti in generale per l'oggetto della prestazione dall'art. 1346 c.c.; se determinato o determinabile, va verificato, ai sensi dell'art. 2125 c.c., che il compenso pattuito non sia meramente simbolico o manifestamente iniquo o sproporzionato, in rapporto al sacrificio richiesto al lavoratore e alla riduzione delle sue capacità di guadagno, indipendentemente dall'utilità che il comportamento richiesto rappresenta per il datore di lavoro e dal suo ipotetico valore di mercato, e che il patto non sia di ampiezza tale da comprimere l'esplicazione della concreta professionalità del lavoratore in termini che ne compromettano ogni potenzialità reddituale; consegue comunque la nullità dell'intero patto all'eventuale sproporzione economica del regolamento negoziale” (cfr. Cass. civ. Sez. lavoro Ord., 1° marzo 2021, n. 5540; ancor più di recente, Cass. 8 aprile 2025, n. 9258 e, da ultimo Cass., 5 maggio 2025, 11767).

I principi affermati dalla Corte d’Appello, quanto ai requisiti del corrispettivo del patto di non concorrenza, si pongono certo nel solco della più recente giurisprudenza di legittimità, richiamata in motivazione.

Più sbrigativa appare la motivazione con riguardo alla genericità dell’oggetto del vincolo concorrenziale del lavoratore.

Sul punto occorre rammentare che, per consolidata giurisprudenza, “il patto di non concorrenza, previsto dall'art. 2125 c.c., può riguardare qualsiasi attività lavorativa che possa competere con quella del datore di lavoro (in funzione di tutela della libertà di concorrenza che costituisce, da un lato, espressione della libertà di iniziativa economica e persegue, dall'altro, la protezione dell'interesse collettivo, impedendo restrizioni eccessive della concorrenza) e non deve quindi limitarsi alle sole mansioni espletate dal lavoratore nel corso del rapporto, ricorrendone la nullità allorché la sua ampiezza sia tale da comprimere la esplicazione della concreta professionalità del lavoratore in limiti che ne compromettano ogni potenzialità reddituale”. Su queste premesse il Supremo Collegio, a titolo esemplificativo, nella sentenza del 26 maggio 2020, n. 9790, ha ritenuto “la conformità della pattuizione al dettato codicistico valorizzando adeguatamente, nella previsione negoziale, la delimitazione del divieto di operare nell'unico settore rappresentato dal "private banking" e per i medesimi generi di prodotti per i quali aveva operato presso … s.p.a. con la medesima clientela, la limitazione dell'ambito territoriale (concernente la regione Lazio) e cronologico (3 anni successivi alla cessazione del rapporto di lavoro), la previsione di un adeguato compenso" (pari a Euro 7.500,00 annui per tutta la durata del rapporto di lavoro, regolarmente versati da … s.p.a.)”.

Ed in effetti, avuto riguardo alla formulazione della clausola, per come trascritta in motivazione, la delimitazione contenutistica dell’obbligo concorrenziale pare riferirsi proprio allo specifico settore merceologico di riferimento del lavoratore, in conformità ai principi sopra rammentati.

Ovviamente, e pur senza entrare nel merito del giudizio operato dalla Corte nel caso di specie, la valutazione dell’ampiezza dell’obbligo assunto dal lavoratore, incide sul vaglio di congruità del corrispettivo, posto che la funzione di non compromettere, oltre il ragionevole, la capacità reddituale del prestatore è assicurata dall’art. 2125 c.c. nel suo complesso attraverso la quadruplice imposizione di limite per oggetto, tempo e luogo, e congruità del compenso. Conseguentemente la valutazione della limitazione della professionalità, così come la congruità del corrispettivo, non possono essere condotte atomisticamente. In altre parole, la validità del patto, se va vagliata, dal punto di vista formale, alla stregua della sussistenza e della determinatezza/determinabilità di tutte e tre le limitazioni richieste (oggetto, tempo e luogo), va sindacata, dal punto di vista sostanziale, alla luce della limitazione complessiva (in tal senso, pare, sia pure implicitamente, Cass. 7835/2006, 7457/2000).

Sui requisiti di validità del patto di non concorrenza ex art. 2125 c.c. v. sul nostro sito:

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