Patto di non concorrenza e patto di non storno: due clausole autonome e indipendenti

Maria Santina Panarella
28 Settembre 2021

Un lavoratore (private banker) può essere condannato al pagamento della penale per la violazione del patto di non storno e, contemporaneamente, per la violazione del patto di non concorrenza?

Secondo l’opinione della Corte di Cassazione, sì.

In una recente ordinanza (Cass. n. 22247/2021 del 4 agosto 2021), la Suprema Corte ha affrontato proprio il caso di un lavoratore, dirigente e senior private banker di una banca che, all’esito del primo grado del giudizio, con sentenza poi confermata in appello, era stato condannato a pagare la penale sia per la violazione del patto di non storno sia di quella del patto di non concorrenza.

La pronuncia se, da un lato, conferma l’orientamento della giurisprudenza di legittimità, ormai consolidato, in punto di validità del patto di non concorrenza ai sensi dell’art. 2125 c.c., dall’altro afferma l’importante principio secondo il quale i due obblighi contrattuali – divieto di storno e divieto di concorrenza – sono dotati di propria autonomia.

Nell’evidenziare la non pertinenza, nell’ambito dello scrutinio della clausola di non storno, del richiamo all’art. 2125 c.c., la Corte ha precisato che tale pattuizione non vieta lo svolgimento di una attività lavorativa dell’ex dipendente, che richiede, conseguentemente, la previsione di un corrispettivo, bensì regolamenta un altro comportamento, cioè, appunto, quello dello storno dei clienti della banca.

Ne consegue che il regime normativo di cui alla norma sopra richiamata non può estendersi anche alla previsione contrattuale in esame perché “il patto di non concorrenza ex art. 2125 c.c. e la clausola di divieto di storno di clientela vietano due condotte differenti”.

In effetti, come ha – condivisibilmente - evidenziato la Suprema Corte:

  • la prima proibisce lo svolgimento di attività lavorativa in concorrenza con la società datrice, anche al termine del rapporto di lavoro, in un determinato lasso di tempo successivo alla cessazione del rapporto;
  • la seconda, invece, impedisce il compimento di atti e comportamenti funzionali a sviare la clientela storica verso un’altra impresa datrice, sfruttando il rapporto di fiducia instaurato e consolidato durante il periodo di dipendenza con la prima società. Il divieto di storno di clientela mira, poi, a garantire la tutela dell’avviamento della società stipulante, dal momento che esso concorre al mantenimento e alla consolidazione dei buoni rapporti con il portafoglio di clienti acquisiti nel corso del tempo.

Nel caso di specie, secondo la Corte, il Collegio territoriale avrebbe correttamente rilevato l’indipendenza delle due clausole in questione, la loro autonomia nella fonte normativa, e la loro singola violazione, avvenuta mediante condotte distinte, per tempi e modi, benché connesse sotto l’aspetto teleologico.

Ad ogni violazione, dunque, consegue l’applicazione della sua penale.

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