La responsabilità del committente per gli infortuni del dipendente dell’appaltatrice

Maria Santina Panarella
23 Settembre 2025

Quali sono le premesse e i confini della responsabilità del committente per gli infortuni del dipendente dell’appaltatrice? Una recente pronuncia della Corte di Cassazione ha fornito le coordinate di riferimento per le questioni sottese (sent., 12 settembre 2025, n. 25113).

In origine - ricorda la Corte - in mancanza di previsioni legislative specifiche, il tendenziale esonero del committente da responsabilità per infortuni subìti da lavoratori di cui non era datore di lavoro è stato mitigato dall'utilizzo, anche in chiave costituzionalmente orientata, dell'art. 2087 c.c., ritenuto estensivamente applicabile al committente debitore di sicurezza anche nei confronti di dipendenti altrui; tuttavia, con l'esplicita condizione che il committente stesso si fosse reso “garante della vigilanza relativa alle misure da adottare in concreto, riservandosi i poteri tecnico-organizzativi dell'opera da eseguire” (cfr. Cass. n. 4129 del 2002; Cass. n. 22818 del 2009; Cass. n. 17092 del 2012; Cass. n. 11311 del 2017; Cass. n. 33365 del 2021); condizione spesso accompagnata dall'affermazione della responsabilità del committente solo nel caso di "ingerenza" nell'esecuzione dell'appalto, tale da ridurre l'appaltatore a mero esecutore ovvero agendo in modo da comprimerne l'autonomia organizzativa, nonché nell'ipotesi della colpa nella scelta dell'appaltatore.

Analoga rilevanza è stata data dalla giurisprudenza penale che, in un primo tempo, ha giustificato la responsabilità del committente solo quando il medesimo travalicasse il ruolo di semplice affidatario delle opere, ingerendosi nell'organizzazione per la loro esecuzione. Anche successivamente, pur riconoscendosi uno statuto di protezione e controllo gravante sul committente in associazione alla violazione di obblighi specifici, quali l'informazione sui rischi dell'ambiente di lavoro e la cooperazione nell'apprestamento delle misure di protezione e prevenzione, si è reiterato il principio secondo cui "il dovere di sicurezza gravante sul datore di lavoro opera anche in relazione al committente, dal quale non può tuttavia esigersi un controllo pressante, continuo e capillare sull'organizzazione e sull'andamento dei lavori; ne consegue che, ai fini della configurazione della responsabilità del committente, occorre verificare in concreto quale sia stata l'incidenza della sua condotta nell'eziologia dell'evento, a fronte delle capacità organizzative della ditta scelta per l'esecuzione dei lavori, avuto riguardo alla specificità dei lavori da eseguire, ai criteri seguiti dallo stesso committente per la scelta dell'appaltatore o del prestatore d'opera, alla sua ingerenza nell'esecuzione dei lavori oggetto di appalto o del contratto di prestazione d'opera, nonché alla agevole ed immediata percepibilità da parte del committente di situazioni di pericolo" (tra le più recenti, Cass. pen. n. 5946 del 2019Cass. pen. n. 26335 del 2021Cass. pen. n. 18169 del 2025).

La Cassazione civile, con la sentenza n. 11918/2025 richiamata in maniera significativa dalla pronuncia qui in esame, ha tuttavia rimarcato con forza la radicale diversità tra i criteri di imputazione della responsabilità in ambito civile - dominati dalla regola dettata dall'art. 1218 c.c. in base alla quale il debitore-datore di lavoro è tenuto al risarcimento del danno, se non prova che l'inadempimento "è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile" – rispetto a quelli vigenti per il diritto penale.

Solo per la responsabilità penale non opera alcuna presunzione di colpa né agevola la vittima alcuna inversione dell'onere probatorio; infatti, grava interamente sulla pubblica accusa, nel rispetto del principio garantista imposto dall'art. 27, comma 1, Cost., dimostrare, in concreto e oltre ogni ragionevole dubbio, sia la sussistenza della violazione, da parte del soggetto che riveste una posizione in senso lato di garante, di una regola cautelare (generica o specifica), sia il nesso causale tra la condotta ascrivibile al garante e l'evento dannoso, sia, ancora, la prevedibilità ed evitabilità dell'evento dannoso che la regola cautelare violata mira a prevenire, onde verificare anche se l'evento abbia o meno concretizzato proprio il fattore di rischio che le regole cautelari violate erano intese a prevenire e a rendere evitabile (tra le più recenti, Cass. pen. n. 12387 del 2025).

Come ricorda la Corte, il quadro normativo di riferimento si è arricchito con la direttiva-quadro 89/391/CEE, concernente l'attuazione di misure volte a promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori durante il lavoro, che all'art. 6, nel definire gli "Obblighi generali dei datori di lavoro", al par. 4 stabilisce "quando in uno stesso luogo di lavoro sono presenti i lavoratori di più imprese, i datori di lavoro devono cooperare all'attuazione delle disposizioni relative alla sicurezza, all'igiene ed alla salute, e, tenuto conto della natura delle attività, coordinare i metodi di protezione e di prevenzione dei rischi professionali, informarsi reciprocamente circa questi rischi e informarne i propri lavoratori e/o i loro rappresentanti". Laddove vi sia compresenza organizzata di più lavoratori, appartenenti a imprese diverse per finalità di esecuzione di opere o servizi, per il diritto dell'Unione europea devono essere quindi previsti, per i datori di lavoro coinvolti, obblighi di cooperazione, di coordinamento e di informazione in ordine alle misure da adottare per la sicurezza, l'igiene e la salute di tutti i lavoratori interessati.

La disciplina comunitaria in materia è stata attuata nel diritto interno prima con l'art. 7, D.lgs. n. 626 del 1994, e poi con l'art. 26, D.lgs. n. 81 del 2008.

Coerentemente con lo sviluppo normativo, le più recenti decisioni della Suprema Corte hanno ritenuto che l'art. 7 del D.lgs. 626 del 1994 prima, e l'art. 26 del D.lgs. n. 81 del 2008 poi, stabiliscano una serie di obblighi specifici, in caso di affidamento di lavori, servizi e forniture, gravanti sulle imprese committenti, il cui adempimento occorre verificare in caso di infortunio subito da lavoratori delle imprese appaltatrici o subappaltatrici.

In particolare, Cass. n. 11918/2025 cit. ha sancito il seguente principio di diritto "Il datore di lavoro committente, che affidi lavori, servizi o forniture ad impresa appaltatrice nell'ambito della propria azienda nonché nell'ambito dell'intero ciclo produttivo della medesima, è tenuto, ove abbia la disponibilità giuridica dei luoghi in cui si svolge l'appalto, all'adempimento degli specifici obblighi imposti dall'art. 26 del D.lgs. n. 81 del 2008  nel caso di inadempimento di tali obblighi, il committente può essere ritenuto responsabile dell'infortunio sul lavoro occorso ai dipendenti dell'impresa appaltatrice, anche in mancanza di qualsiasi ingerenza sull'attività di quest'ultima”.

Nel caso di specie, secondo la Corte, la sentenza di appello non si era conformata a tali principi. Più nel dettaglio – si legge nella pronuncia - l’ambito di applicazione dell'art. 26, D.lgs. 81/2008, pur riferendosi la disposizione specificamente alle figure tipizzate dell'appalto e del contratto d'opera, deve essere esteso anche ad altre fattispecie contrattuali tutte le volte in cui si realizzi l'integrazione di diverse organizzazioni e soggettività giuridiche all'interno del medesimo scenario d'impresa.

Se la chiara finalità garantista della normativa è quella di indurre l'imprenditore committente ad organizzare la prevenzione dei rischi interferenziali, promuovendo percorsi condivisi di informazione e cooperazione, “non è dirimente la qualificazione civilistica attribuita al rapporto tra imprese, quanto l'effetto che detto rapporto crea dal punto di vista della coesistenza di attività nel medesimo luogo lavorativo”, di modo che il committente deve farsi garante dell'incolumità fisica e della salvaguardia di tutti coloro chiamati ad operare nel medesimo ambito che realizzi una compresenza organizzata e coordinata, secondo una valutazione che deve chiaramente essere effettuata ex ante e non può essere lasciata ad una mera verifica ex post.

La giurisprudenza di legittimità, infatti, ha interpretato la disciplina interna in materia coerentemente con l'art. 6, par. 4, della Direttiva 89/391/CEE, il quale - laddove impone la previsione degli obblighi ivi previsti "quando in uno stesso luogo di lavoro sono presenti i lavoratori di più imprese" - è da intendere non già in un rigoroso ambito endo-aziendale, quanto piuttosto quale compresenza organizzata e coordinata di lavoratori di più imprese, "in un 'luogo' individuato come medesimo dal 'lavoro' (...), corrispondente alla finalità di 'realizzazione dell'opera' (... prevista dall'art. 8 della Direttiva 92/57/CEE)” e, quindi, di una “compartecipazione attiva dei predetti lavoratori ad essa, sinergicamente orientata al medesimo scopo produttivo, nell'ambito di un'identità locale in senso funzionale, non astratto (ma neppure ridotto ad una stretta contiguità fisica), da accertare di volta in volta secondo le concrete modalità operative del procedimento di realizzazione dell'opera”.

Si ricorda, poi, che nella categoria "datori di lavoro" tenuti ai suddetti obblighi, rientrano anche il sub-committente e il sub-appaltatore, "qualora collaborino insieme nell'ambito di un medesimo procedimento (produttivo in senso lato), finalizzato alla realizzazione di una stessa opera (...), che si compia all'interno di un qualunque luogo a ciò funzionalmente destinato e che li coinvolga entrambi in attività, ancorché parziali e diverse, sinergicamente dirette al medesimo scopo produttivo così rendendoli reciprocamente responsabili delle omissioni degli obblighi di sicurezza nei confronti dei lavoratori in essa impiegati" (così già Cass. n. 11918/2025 cit.).

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