Il confine tra giornalista e programmista regista: ciò che rileva è l’apporto creativo

Maria Santina Panarella
22 Dicembre 2020

Cosa caratterizza l’attività giornalistica? Né la legge professionale (la n. 69 del 1963) né il contratto collettivo dei giornalisti definiscono il contenuto dell’attività giornalistica.

È stata la giurisprudenza della Corte di Cassazione, allora, a dover svolgere una vera e propria attività di elaborazione del contenuto dell’attività giornalistica, alla luce della evidente - e voluta - lacuna legislativa.

Si ritiene, infatti, che il legislatore abbia consapevolmente scelto di non definire l’attività giornalistica per consentire di applicare i relativi principi a qualsiasi forma qualificata di manifestazione del pensiero svolta non solo attraverso la stampa, la radio o la televisione, ma anche attraverso le immagini.

Su queste premesse, è stata privilegiata una nozione elastica di giornalista, in grado di adattarsi alla rapida evoluzione della professione ed al cambiamento dell’ordinaria concezione del giornalismo.

La professione di giornalista è stata così definita come quell’attività di lavoro intellettuale diretta alla raccolta, al commento, e all’elaborazione di notizie attraverso gli organi di informazione, in cui il giornalista si pone quale mediatore intellettuale tra il fatto e la sua diffusione (cfr., tra le molte altre, Cass. SS. UU n. 1867/2020).

L’attività del giornalista, allora, comprende la raccolta, la selezione, l’elaborazione, la presentazione ed il commento delle notizie, con le caratteristiche dell’autonomia e della creatività.

Questi principi sono stati ribaditi anche in una recentissima pronuncia resa dalla Corte di Cassazione (ord. n. 26596/20) nell’ambito di un giudizio che prendeva le mosse dalle domande proposte da un lavoratore volte a far dichiarare la sussistenza di un rapporto di lavoro giornalistico.

In tale occasione la Corte, dopo aver ribadito i principi consolidati nella giurisprudenza di legittimità sopra richiamati, relativi ai criteri identificativi del lavoro giornalistico, si è soffermata su una questione che risulta spesso controversa, e, cioè, la distinzione tra il lavoro del giornalista e quello, di natura impiegatizia, del c.d. programmista regista (figura professionale caratteristica della contrattazione collettiva del settore radiotelevisivo).

Nel caso di specie, secondo i Giudici Supremi, la Corte territoriale, tenendo esplicitamente conto dei principi consolidati in materia, ha escluso che il ricorrente avesse svolto un’attività di ricerca e di elaborazione delle notizie caratterizzata da un reale apporto creativo; al contrario, l’attività svolta è stata reputata pienamente compatibile con quella del programmista – regista, figura che idea, propone, imposta, e prepara programmi radiofonici e/o televisivi.

Ecco allora confermato, ancora una volta, lo stretto binomio giornalista – creatività: solo in presenza di un apporto realmente creativo il lavoratore può ambire all’inquadramento di giornalista.

Se, invece, il contributo del lavoratore è qualificato in termini di mera ideazione e proposta di argomenti da elaborare successivamente, l’inquadramento pertinente sarà quello di programmista regista.

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