Cosa caratterizza l’attività giornalistica? Né la legge professionale (la n. 69 del 1963) né il contratto collettivo dei giornalisti definiscono il contenuto dell’attività giornalistica.
È stata la giurisprudenza della Corte di Cassazione, allora, a dover svolgere una vera e propria attività di elaborazione del contenuto dell’attività giornalistica, alla luce della evidente - e voluta - lacuna legislativa.
Si ritiene, infatti, che il legislatore abbia consapevolmente scelto di non definire l’attività giornalistica per consentire di applicare i relativi principi a qualsiasi forma qualificata di manifestazione del pensiero svolta non solo attraverso la stampa, la radio o la televisione, ma anche attraverso le immagini.
Su queste premesse, è stata privilegiata una nozione elastica di giornalista, in grado di adattarsi alla rapida evoluzione della professione ed al cambiamento dell’ordinaria concezione del giornalismo.
La professione di giornalista è stata così definita come quell’attività di lavoro intellettuale diretta alla raccolta, al commento, e all’elaborazione di notizie attraverso gli organi di informazione, in cui il giornalista si pone quale mediatore intellettuale tra il fatto e la sua diffusione (cfr., tra le molte altre, Cass. SS. UU n. 1867/2020).
L’attività del giornalista, allora, comprende la raccolta, la selezione, l’elaborazione, la presentazione ed il commento delle notizie, con le caratteristiche dell’autonomia e della creatività.
Questi principi sono stati ribaditi anche in una recentissima pronuncia resa dalla Corte di Cassazione (ord. n. 26596/20) nell’ambito di un giudizio che prendeva le mosse dalle domande proposte da un lavoratore volte a far dichiarare la sussistenza di un rapporto di lavoro giornalistico.
In tale occasione la Corte, dopo aver ribadito i principi consolidati nella giurisprudenza di legittimità sopra richiamati, relativi ai criteri identificativi del lavoro giornalistico, si è soffermata su una questione che risulta spesso controversa, e, cioè, la distinzione tra il lavoro del giornalista e quello, di natura impiegatizia, del c.d. programmista regista (figura professionale caratteristica della contrattazione collettiva del settore radiotelevisivo).
Nel caso di specie, secondo i Giudici Supremi, la Corte territoriale, tenendo esplicitamente conto dei principi consolidati in materia, ha escluso che il ricorrente avesse svolto un’attività di ricerca e di elaborazione delle notizie caratterizzata da un reale apporto creativo; al contrario, l’attività svolta è stata reputata pienamente compatibile con quella del programmista – regista, figura che idea, propone, imposta, e prepara programmi radiofonici e/o televisivi.
Ecco allora confermato, ancora una volta, lo stretto binomio giornalista – creatività: solo in presenza di un apporto realmente creativo il lavoratore può ambire all’inquadramento di giornalista.
Se, invece, il contributo del lavoratore è qualificato in termini di mera ideazione e proposta di argomenti da elaborare successivamente, l’inquadramento pertinente sarà quello di programmista regista.