L’impugnativa del licenziamento ai tempi del c.d. Codice dell’Amministrazione Digitale: opportuno garantismo o inutile formalismo?

Roberto Lama
10 Dicembre 2020

Trib. Palermo, Ord. n. 36015/2020 del 28 ottobre 2020

Quando l’informatica ed i suoi strumenti interpretavano un ruolo ancora marginale nelle comunicazioni tra gli individui, il problema della forma dell’atto di impugnativa del licenziamento non si poneva con l’urgenza con cui invece si pone oggi. E’ tuttavia noto a chiunque come la comunicazione – formale e non – sia oramai in larga parte telematica, spesso immateriale e comunque affidata a supporti di tipo elettronico.

Questo processo di radicale mutamento delle forme di comunicazione pone – e verosimilmente continuerà a porre – non pochi problemi ermeneutici agli operatori del diritto: l’ordinanza del Tribunale di Palermo che qui si commenta ne è una dimostrazione.

Il giudice siciliano ha infatti ritenuto che l’onere di impugnativa del licenziamento non può ritenersi validamente assolto nel caso in cui il lavoratore, per il tramite del legale cui ha conferito il mandato difensivo, abbia fatto recapitare al datore di lavoro una e-mail PEC a cui è allegata una copia per immagine (file PDF) dell’atto cartaceo di impugnativa che sia priva della sottoscrizione digitale del lavoratore.

Le opzioni possibili per impugnare il licenziamento

Va premesso che, al giorno d’oggi, diverse sono le tipologie di documenti cui la legge attribuisce l’efficacia di atto scritto “dalla paternità certa”, e, conseguentemente, diverse sono le opzioni cui il lavoratore licenziato può ricorrere per impugnare l’atto di recesso datoriale: un breve riepilogo di tali tipologie di documenti potrebbe agevolare la comprensione delle tematiche giuridiche affrontate dal giudice palermitano.

E’ noto che, ai sensi dell’art. 6, L. n. 604/1966, il lavoratore che intende impugnare il licenziamento intimatogli ha l’onere di inviare al proprio datore di lavoro un atto scritto con cui manifesta la propria intenzione di contestare la legittimità e l’efficacia dell’atto espulsivo. Inoltre, in forza della previsione di cui all’art. 2702 c.c., affinché sia “provata la provenienza delle dichiarazioni” di un atto unilaterale, qual è appunto l’impugnativa di licenziamento, è necessario che esso sia sottoscritto in maniera olografa dal suo autore. Un atto di impugnativa su supporto cartaceo è un tipico “documento analogico”, cui peraltro sarà possibile attribuire paternità certa nel caso in cui rechi la sottoscrizione del lavoratore licenziato.

Esiste poi il “documento informatico” che l’art. 1, comma 1, lett. p), D. Lgs. n. 82/2005 definisce in termini di “documento elettronico che contiene la rappresentazione informatica di atti, fatti o dati giuridicamente rilevanti”. Affinché il documento informatico esplichi l’efficacia probatoria della scrittura privata, e dunque sia “provata la provenienza delle dichiarazioni” in esso contenute, è necessario che vi sia apposta “una firma digitale, altro tipo di firma elettronica qualificata o una firma elettronica avanzata” o che comunque esso sia formato “attraverso un processo avente i requisiti fissati dall'AgID […] con modalità tali da garantire la sicurezza, integrità e immodificabilità del documento e, in maniera manifesta e inequivoca, la sua riconducibilità all'autore”, (art. 20, comma1-bis, D. Lgs. n. 82/2005).

Vi è, inoltre, la “copia per immagine su supporto informatico di documento analogico”: essa è definita dall’art. 1, lett. i-ter), D. Lgs. n. 82/2005 in termini di “documento informatico avente contenuto e forma identici a quelli del documento analogico da cui è tratto”. E’ questo il tipico file PDF che si ottiene una volta che si è proceduto alla scansione fotografica di un documento analogico.

Per quel che attiene l’efficacia probatoria della “copia per immagine”, il comma 2 dell’art. 22, D. Lgs. n. 82/2005 prevede che essa possa avere la stessa efficacia del documento analogico da cui è estratta soltanto nel caso in cui l’identità di contenuto e forma della “copia per immagine” con il documento analogico sia “attestata da un notaio o da altro pubblico ufficiale a ciò autorizzato, secondo le Linee guida”. Pertanto, senza tale attestazione di conformità, la “copia per immagine su supporto informatico” è legalmente priva dell’efficacia che si è invece soliti riconoscere al “documento analogico” sottoscritto in maniera olografa o al “documento informatico” sottoscritto digitalmente (o con firma elettronica qualificata o con firma elettronica avanzata).

Se invece la “copia per immagine su supporto informatico di documento analogico” viene sottoscritta digitalmente (o con firma elettronica qualificata o con firma elettronica avanzata) dallo stesso autore del documento analogico, allora essa cessa di essere una “mera” copia per immagine e acquisisce la natura sostanziale e l’efficacia probatoria di “documento informatico”: ciò, in ossequio alla già richiamata previsione di cui all’art. 1, comma 1, lett. p) D. Lgs. n. 82/2005.

Il caso che ha originato la pronuncia

Stando così le cose, e per tornare alla fattispecie che ha originato la pronuncia del Tribunale palermitano, si deve ritenere che l’impugnativa di licenziamento – originariamente redatta su documento analogico, successivamente “scansionata” ed infine inviata via PEC dal legale del lavoratore licenziato – sarà idonea ad impedire la decadenza di cui all’art. 6 L. n. 604/1966 in due sole ipotesi:

  1. nel caso in cui sia firmata digitalmente dal lavoratore licenziato; ove ciò avvenga, come visto, la “copia per immagine”, e quindi il file PDF originato dalla scansione del documento analogico, cessa di essere tale e diviene un ordinario “documento informatico” di cui è possibile accertare la “provenienza delle dichiarazioni”;
  2. nel caso in cui, pur non essendo firmata digitalmente dal lavoratore, la scansione sia corredata di una valida attestazione della sua conformità alla forma e al contenuto del documento analogico. Affinché sia valida, però, la legge richiede che tale attestazione di conformità sia rilasciata da un notaio o da altro pubblico ufficiale a ciò autorizzato e, a tal proposito, non è affatto scontato che il legale del lavoratore licenziato possa considerarsi “pubblico ufficiale a ciò autorizzato” in ragione del solo conferimento del mandato difensivo da parte del lavoratore licenziato.

L’avvocato può esplicare le funzioni di pubblico ufficiale?

E’ doveroso richiamare l’attenzione del lettore sul fatto che, in via generale, l’avvocato è legittimato ad esplicare le funzioni di pubblico ufficiale in due soli casi: quando provvede ad accertare l’identità dei clienti che sottoscrivono il mandato difensivo e quando, ottenuta l’autorizzazione dal Consiglio dell’Ordine di appartenenza, provvede, ai sensi della L. n. 53/1994, alle notifiche degli atti tramite la propria casella di posta elettronica certificata.

Conseguentemente, per tornare alla ipotesi qui menzionata sub lett. B), affinché l’attestazione di conformità del file PDF originato dalla scansione dell’impugnativa cartacea di licenziamento possa essere validamente rilasciata dall’avvocato del lavoratore licenziato, è necessario che vengano altresì rispettate le prescrizioni della L. n 53/1994 in materia di notificazioni con modalità telematiche, ed in particolare quelle di cui all’art. 3 bis della predetta legge.

Il messaggio di posta elettronica certificata, pertanto, dovrà indicare nell’oggetto la dizione “notificazione ai sensi della legge n. 53 del 1994” e ad esso dovranno essere allegati – oltre che, ovviamente, la copia per immagine dell’impugnativa di licenziamento – tre distinti documenti informatici, tutti sottoscritti digitalmente dall’avvocato: l’attestazione di conformità della copia per immagine al relativo documento analogico, la procura alle liti rilasciata dal lavoratore (art. 1, comma 1, L. n. 53/1994) e  la relazione di notificazione (art. 3-bis, comma 5, L. n. 53/1994).

Opportuno garantismo o inutile formalismo?

E’ a questo punto evidente che il Tribunale di Palermo, con l’ordinanza del n. 36015/2020, ha applicato puntualmente i principi di diritto più sopra enunciati, ponendosi peraltro in dichiarata linea di continuità con un analogo precedente di merito espresso dal Tribunale di Monza con Ordinanza del 29 gennaio 2020. Ciò non vuol dire, tuttavia, che la rigida applicazione di tali disposizioni di legge non presti il fianco a critiche volte ad evidenziarne l’irragionevolezza intrinseca e l’esasperato formalismo che tale orientamento, nei fatti, finisce per esprimere.

E ciò per diversi ordini di ragioni.

Innanzi tutto perché parrebbe porsi in contrasto con il consolidato orientamento della Suprema Corte secondo cui la procura alle liti rilasciata all’avvocato in data antecedente all’atto di impugnazione attribuisce a quest’ultimo il potere di compiere tutte le attività, anche stragiudiziali, alle quali è condizionato l’esercizio dell’azione giudiziale.

Secondo una giurisprudenza non troverebbe applicazione alla fattispecie la disciplina codicistica della rappresentanza (artt. 1387-1400), dovendosi pertanto escludere che al datore di lavoro debba essere contestualmente comunicata copia dell’atto attributivo della rappresentanza (tra le più recenti, in questo senso, si vedano Cass. civ. Sez. lav. n. 16416/2019 e Cass. civ. Sez. lav. n. 3139/2019). Secondo un’altra pronuncia della Cassazione, la n. 1444/2019, ferma la validità della impugnativa di licenziamento fatta “in nome e per conto del lavoratore licenziato dal suo difensore previamente munito di apposita procura”, il datore avrebbe l’onere di comunicare o documentare la procura alle liti ove gliene sia fatta richiesta dal datore di lavoro, e ciò ai sensi dell’art. 1393 c.c., applicabile anche agli atti unilaterali ai sensi dell’art. 1324 c.c.

Sicché, applicando analogicamente tale orientamento della Suprema Corte, non ci si può esimere dal rilevare che ove fosse inviata via PEC dal legale del lavoratore una “copia per immagine” dell’impugnativa analogica di licenziamento (quest’ultima sottoscritta “a mano” dal lavoratore), anche nel caso in cui tale copia per immagine sia priva di una valida attestazione di conformità al contenuto e alla forma dell’atto analogico di impugnativa, dovrebbe comunque ritenersi assolto l’onere di impugnativa di cui all’art. 6 L. n. 604/1966. E ciò perché a tale copia per immagine dovrebbe riconoscersi la medesima efficacia probatoria che, ai sensi dell’art. 2719 c.c., si è soliti riconoscere ad un’ordinaria “fotocopia” di un atto analogico.

E’ noto infatti che l’art. 2719 c.c., il quale appunto disciplina l’efficacia probatoria delle copie fotostatiche, prevede che esse abbiano la stessa efficacia probatoria delle copie autentiche, “se la loro conformità all’originale è attestata da un pubblico ufficiale competente, ovvero non è espressamente disconosciuta”, ponendo quindi a carico di colui contro il quale la fotocopia è prodotta l’onere di disconoscere la conformità della stessa al documento originale.

D. Lgs. n. 82/2005: la conformità della copia per immagine all’originale analogico e l’inversione degli oneri a carico delle parti rispetto a quanto previsto dalla disciplina codicistica delle copie fotostatiche

Si può allora notare come la disciplina dettata dal D. Lgs. n. 82/2005 in materia di efficacia probatoria della “copia per immagine” di un documento analogico, rispetto a quanto previsto dall’art. 2719 c.c. in materia di efficacia probatoria delle copie fotostatiche, abbia realizzato un’inversione degli oneri a carico delle parti. Infatti, nel codice civile è previsto l’onere di colui contro il quale la copia fotostatica viene prodotta di effettuare il disconoscimento della conformità della predetta copia all’originale; nel D. Lgs. n. 82/2005, tutt’al contrario, vi è l’onere per colui che vuole giovarsi delle dichiarazioni contenute nella “copia per immagine” di far attestare la conformità della stessa “da un notaio o da altro pubblico ufficiale a ciò autorizzato, secondo le Linee guida”, onere che sussiste a prescindere dal futuro ed eventuale disconoscimento operato colui contro il quale la copia per immagine è prodotta.

Gli effetti concreti della diversità tra discipline di legge in merito alla conformità della copia all’originale

Si tratta di una differenza davvero significativa, come l’esempio che segue, a parere di chi scrive, consente di dimostrare.

Infatti, in un caso quale quello che ha originato la pronuncia del Tribunale di Palermo, la mancata attestazione della conformità all’originale analogico della copia per immagine dell’impugnativa ha fatto sì che essa venisse ritenuta dal Tribunale priva – ex se – di qualsiasi efficacia probatoria, avendo determinato tale mancata attestazione di conformità lo spirare definitivo del termine di decadenza di sessanta giorni previsto dalla L. n. 604/1966 per l’impugnativa del licenziamento. Tuttavia, ove si fosse trattato di una copia fotostatica di un documento analogico (ovviamente spedita tramite raccomandata), affinché essa potesse essere ritenuta priva di efficacia probatoria, e quindi determinare la decadenza dalla facoltà di impugnativa del licenziamento, sarebbe stato necessario un inequivoco ed esplicito disconoscimento del datore di lavoro della conformità di essa all’originale analogico. Ed in presenza di tale disconoscimento – il quale, in ossequio ai principi di buona fede e correttezza nei rapporti contrattuali, avrebbe dovuto esser compiuto tempestivamente, e quindi nell’immediatezza della ricezione dell’impugnativa – non vi è da dubitare che il lavoratore (o il suo difensore, per suo conto) si sarebbe peritato di inviare immediatamente l’originale dell’impugnativa o comunque una copia fotostatica di essa che fosse autenticata da un notaio, così appunto evitando di incappare nella decadenza di cui all’art. 6 L n. 604/1966.

E’ quindi evidente come la diversità tra la disciplina di legge che regolamenta l’efficacia probatoria delle copie fotostatiche e quella delle copie per immagine possa concretamente condurre, in situazioni sostanzialmente identiche, a risultati diametralmente opposti, addirittura impedendo, in un caso, l’accesso alla tutela giurisdizionale del lavoratore licenziato.

Conclusioni

Sulla base di quanto sopra, al fine di evitare che le lacune strutturali di una copia per immagine di un atto di impugnativa di licenziamento potessero tradursi in una grave menomazione del diritto alla tutela giurisdizionale del lavoratore licenziato, non pare una forzatura sostenere che il giudice palermitano avrebbe potuto avvalersi di quelle argomentazioni con cui la Cassazione ritiene ormai valide le notificazioni via PEC di atti aventi formato PDF e privi di sottoscrizione digitale (e dunque di una “copia per immagine di un documento analogico”; in questi termini Cass. civ. Sez. III, n. 532/2020; Cass n. 13857/2014; Cass. n. 3805/2018; Cass. n. 18324/2018). In questi casi, infatti, la Suprema Corte ha affermato che “scopo della notificazione, in qualsiasi forma essa avvenga, è portare l’atto da notificare a conoscenza del destinatario, non certo consentire a quest’ultimo il “copia e incolla”, sicché la conoscibilità dell’atto notificato costituisce il solo parametro in base al quale valutare il raggiungimento dello scopo” e soprattutto che “il processo telematico deve essere svincolato da quei formalismi fini a se stessi che, in quanto tali, impediscono a detto processo di realizzare la funzione di mezzo per la tutela dei diritti (in ossequio al disposto dell'art. 111 Cost.)”.

Si potrebbe cionondimeno obiettare che, nel caso di specie, non sembrerebbe che la comunicazione PEC cui era allegata la scansione dell’atto di impugnativa di licenziamento sia stata effettivamente “rispettosa” di tutti quegli ulteriori requisiti – richiesti dalla L. n. 53/1994 e più sopra visti – la cui presenza è invece necessaria perché una “mera” comunicazione PEC possa qualificarsi in termini di notificazione eseguita da un pubblico ufficiale.

Ad ogni modo, ed a prescindere dalla maggiore o minore correttezza di soluzioni alternative alle conclusioni cui è pervenuto il Tribunale di Palermo, pare a chi scrive evidente che le questioni di diritto che la pronuncia in commento pone sono quanto mai stratificate e complesse, sicuramente di non agevole soluzione.

In questo contesto, è ragionevole prevedere che, come sovente accade, solo il sedimentarsi dei principi giurisprudenziali potrà conferire alla materia quel grado di certezza che, in maniera sicuramente peculiare rispetto agli altri istituti del diritto, la disciplina della decadenza richiede.

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