Licenziamento intimato per la fruizione del congedo parentale: è legittimo?

Roberto Lama
5 Aprile 2024

Il caso

Un lavoratore assunto a tempo indeterminato, padre di una bambina minore di anni 12, richiedeva al proprio datore di lavoro il permesso di fruire del congedo parentale per la mattinata di tre distinte, e consecutive, giornate lavorative.

Accordato il permesso richiesto, anche a causa del disagio organizzativo che la fruizione del congedo parentale avrebbe – inevitabilmente – arrecato all’organizzazione produttiva, il datore di lavoro disponeva accertamenti investigativi al fine di verificare il corretto utilizzo dei permessi da parte del lavoratore. All’esito di tali accertamenti, ritenuto configurabile un improprio utilizzo del congedo parentale, e dunque un abusivo esercizio del relativo di diritto, o, se si preferisce, un esercizio contrario a buona fede e correttezza, il datore di lavoro ha disposto il licenziamento per giusta causa del lavoratore.

La disciplina dettata dall’art. 32 D. Lgs. n. 151/2001

Il Tribunale di Perugia, dinanzi al quale il licenziamento viene impugnato, muove innanzi tutto da una ricognizione della disciplina di legge che regola la fruizione dei congedi parentali: l’art. 32 D. Lgs. n. 151/2001 dispone che “1. Per ogni bambino, nei primi suoi dodici anni di vita, ciascun genitore ha diritto di astenersi dal lavoro secondo le modalità stabilite dal presente articolo. I relativi congedi parentali dei genitori non possono complessivamente eccedere il limite di dieci mesi, fatto salvo il disposto del comma 2 del presente articolo.
Nell'ambito del predetto limite, il diritto di astenersi dal lavoro compete:

a) alla madre lavoratrice, trascorso il periodo di congedo di maternità di cui al Capo III, per un periodo continuativo o frazionato non superiore a sei mesi;

b) al padre lavoratore, dalla nascita del figlio, per un periodo continuativo o frazionato non superiore a sei mesi, elevabile a sette nel caso di cui al comma 2”.

La decisione del Tribunale calibrata sul caso concreto.

Accertato che, nel caso di specie, la fruizione del congedo parentale non eccedeva i limiti quantitativi stabiliti dall’articolo di legge più sopra trascritto, la decisione del Tribunale di Perugia si è incentrata sulla valorizzazione delle circostanze di fatto emerse dagli accertamenti investigativi disposti dal datore di lavoro, circostanze che hanno connotato le modalità concrete di fruizione del congedo da parte del lavoratore.

E’ infatti emerso che il lavoratore – sulla base di quanto ammesso dallo stesso datore di lavoro – in ognuna delle tre giornate in cui ha fruito del congedo, dopo aver accompagnato a scuola la propria figlia nelle prime ore della mattina, ha poi trascorso tutta la mattinata nella propria abitazione, essendone uscito solo per andare a prelevare la figlia dalla scuola all’incirca verso l’ora di pranzo. In una di queste mattinate, poi, il lavoratore si è recato al supermercato per fare alcuni acquisti.

Ritiene quindi il Tribunale che la suddetta, concreta modalità di fruizione del congedo “non abbia ecceduto la cornice del legittimo esercizio del diritto potestativo di cui all’art. 32, comma 1, lett. b del d. lgs. n. 151 del 2001” con conseguente dichiarazioni di nullità del licenziamento e reintegrazione nel posto di lavoro ai sensi di quanto disposto dall’art. 2 D. Lgs. n. 23/2015. Ciò perché, ha rilevato il Tribunale, l’aver dedicato tempo, presso il supermercato, “all’acquisto di generi alimentari necessari per la famiglia, appare evidentemente posto in diretta correlazione con la cura dei bisogni anche della prole”. Analogamente, ha affermato il Giudice umbro, il tempo trascorso nella propria abitazione – ricompreso tra il momento in cui egli ha accompagnato la propria figlia a scuola e quello, ovviamente successivo, in cui è andato a riprenderla – “in difetto di una prova concreta dello sviamento del congedo dalla sua funzione tipica” è appunto compatibile con il congedo parentale, sulla base della considerazione empirica per cui è “fatto notorio che la casa, dove si svolge gran parte del tempo della prole nei primi anni di vita, necessiti, specie nei primi anni di vita del bambino, di un continuo lavoro destinato al riassetto e all’igiene e ciò anche al fine di apprestare un luogo confortevole e consono alla crescita del minore...anche nella prospettiva di un’agevolazione della madre per la ripresa dell’attività di lavoro (risulta, nel caso di specie, documentata la circostanza che la medesima, nel tempo di fruizione di congedi da parte del lavoratore avesse, almeno in parte, fissato il turno di lavoro)”.

Pertanto, affinché possa ritenersi illegittima la fruizione del congedo parentale, è necessaria la prova che essa sia preordinata allo svolgimento di attività che non hanno alcun nesso, nemmeno in senso lato, con la cura della prole e della famiglia; è necessaria, detto altrimenti, “la prova concreta dello sviamento del congedo dalla sua funzione tipica”.

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