Il Tribunale di Torino, con sentenza del 16 settembre 2025, ha disposto la condanna del ricorrente per responsabilità aggravata, ai sensi dell’art. 96, co. 3° c.p.c., per avere utilizzato l’intelligenza artificiale senza filtri e controlli, depositando un atto manifestamente infondato.
La pronuncia si inserisce nell’ambito di un giudizio di opposizione ad ingiunzione di pagamento, fondata su asseriti vizi formali dell’ingiunzione opposta (l'incompetenza territoriale, l'inesistenza dei titoli per vizi della sottoscrizione, la mancata indicazione del criterio di calcolo degli interessi, l'inesistenza della notifica degli avvisi di addebito) e su ragioni attinenti alla insussistenza del credito (per intervenuto silenzio assenso e maturata prescrizione).
Il Tribunale, accertato che tutti gli avvisi di addebito erano stati ritualmente notificati, ha rigettato le doglianze relative al merito della pretesa creditoria, in quanto proposte oltre il termine di 40 giorni dalla notifica di ciascuno degli avvisi di addebito, ed ha disatteso le censure formali svolte - “sempre in astratto” - nei confronti della intimazione di pagamento.
Il Giudice torinese ha poi ritenuto di dover disporre la condanna della parte opponente al pagamento della somma di 500 euro in favore di ciascuna delle parti convenute, ai sensi dell'art. 96 c.p.c., che appunto prevede la condanna della parte soccombente, la quale abbia agito o resistito in giudizio con malafede o colpa grave ed in particolare richiamando il 3° co. di quella disposizione.
Il Tribunale ha fondato l’accertamento della responsabilità processuale aggravata sull’assunto che “la ricorrente ha agito in giudizio con malafede o, quantomeno con colpa grave, dal momento che ha proposto opposizione nei confronti di avvisi di addebito che le erano stati tutti notificati in precedenza, già oggetto di plurimi atti di esecuzione anch'essi tutti regolarmente notificati”. Ha poi aggiunto, a sostegno della pronuncia di condanna, che la stessa ricorrente ha svolto eccezioni tutte manifestamente infondate “tramite un ricorso redatto “col supporto dell'intelligenza artificiale”, costituito da un coacervo di citazioni normative e giurisprudenziali astratte, prive di ordine logico e in larga parte inconferenti, senza allegazioni concretamente riferibili alla situazione oggetto del giudizio”.
Come corollario della condanna ex art. 96, 3° co. c.p.c., il Tribunale ha anche disposto la condanna al pagamento della somma di € 500,00 alla cassa delle ammende, secondo la previsione dell’art. 96, co. 4° c.p.c.
A quanto consta, si tratta del primo caso in cui trova una specifica sanzione il ricorso a programmi di intelligenza artificiale nella redazione degli atti giudiziari, senza quel controllo di pertinenza richiesto all’avvocato, onde prevenire domande prive del pur minimo ordine logico e di ogni riferimento allo specifico caso dedotto in giudizio.