Quale legge si applica al rapporto di lavoro che presenta elementi di transnazionalità? La Corte di Giustizia fornisce la risposta.

Roberto Lama
21 Settembre 2021

La fattispecie che ha originato la pronuncia della Corte di Giustizia

Con la pronuncia del 15 luglio 2021 la Corte di Giustizia ha deciso le cause riunite C-152/20 e C-218/20. Le fattispecie da cui è scaturita la pronuncia, che qui si annota brevemente, ineriscono le vicende lavorative di due autotrasportatori, dipendenti di due distinte società rumene ed assunti con contratti di lavoro che prevedevano l’applicazione al singolo rapporto di lavoro della legge nazionale rumena, i quali prestatori eseguivano abitualmente la loro prestazione lavorativa al di fuori del confine nazionale, vale a dire, nello specifico, uno in Germania e l’altro in Italia.

Invocando l’art. 8 del Regolamento (CE) n. 593/2008, c.d. Roma I –  come noto il Regolamento dell’Unione Europea che disciplina la legge applicabile alle obbligazioni contrattuali che presentino caratteristiche di internazionalità – ciascun lavoratore ha chiesto l’applicazione delle leggi in materia di salario minimo del rispettivo Paese dove ha abitualmente eseguito la prestazione lavorativa; ciò in quanto più favorevoli rispetto a quella rumena, quest’ultima, come detto, scelta convenzionalmente dalle parti come legge applicabile al rapporto lavorativo.

La disciplina normativa che viene in rilievo

La questione di diritto che la Corte di Giustizia è stata chiamata a risolvere, pertanto, afferisce all’individuazione della legge applicabile ad un rapporto lavorativo che presenti caratteristiche di internazionalità, interessando l’interpretazione e la portata dell’art. 8 del Regolamento (CE) n. 593/2008, c.d. Roma I, il quale articolo “stabilisce norme speciali di conflitto di leggi relative al contratto di individuale di lavoro che si applicano quando, in esecuzione di un contratto di questo tipo, il lavoro è svolto in almeno uno Stato diverso da quello della legge scelta”.

Per meglio comprendere la decisione, è bene soffermarsi brevemente sul contenuto dell’art. 8.

Al primo comma esso prevede che, conformemente al dettato dell’art. 3, le parti di un rapporto di lavoro siano libere di scegliere la legge applicabile al suddetto rapporto. Tuttavia, è altresì sancito l’importante principio per cui tale scelta non può privare il lavoratore della protezione che gli è assicurata da quelle disposizioni di legge inderogabili che troverebbero applicazione ove tale scelta non fosse stata fatta dalle parti ed è proprio in base a tale ultimo principio che vengono decise le fattispecie concrete.

Il secondo, il terzo e il quarto comma dell’art. 8 disciplinano appunto i casi in cui le parti non abbiano individuato convenzionalmente la legge applicabile al rapporto di lavoro. In questi casi, quale criterio primario di individuazione della legge applicabile al rapporto, è stabilito che trovi applicazione la “legge del paese nel quale, o in mancanza, a partire dal quale il lavoratore, in esecuzione del contratto, svolge abitualmente il suo lavoro”. Ove in base a tale criterio non si riesca a determinare la legge applicabile al rapporto, quale criterio sussidiario, al terzo comma è previsto che il contratto sia disciplinato “dalla legge del paese nel quale si trova la sede” del datore di lavoro “che ha proceduto ad assumere il lavoratore”. Infine, quale criterio residuale, è previsto al quarto comma dell’art. 8 che se le circostanze di fatto del caso concreto non consentano di individuare la legge applicabile al rapporto, né valorizzando il criterio primario del Paese nel quale il rapporto è eseguito abitualmente, né quello sussidiario del Paese nel quale si trova la sede del datore di lavoro, trovi applicazione la legge del Paese con cui “il contratto di lavoro presenta un collegamento più stretto”.

La soluzione del caso concreto

Poste queste premesse, con la decisione che qui brevemente si annota la Corte di Giustizia ha descritto le tappe del processo logico-giuridico che il Giudice nazionale è chiamato a svolgere per individuare la legge applicabile al rapporto di lavoro che presenti elementi di transnazionalità, nel caso in cui una delle parti di esso invochi l’applicazione di una legge nazionale diversa da quella scelta convenzionalmente.

In relazione al concreto atteggiarsi del rapporto di lavoro ed in base ai criteri elencati dai commi 2, 3 e 4 dell’art. 8 del Regolamento n. 593/2008, il Giudice nazionale deve innanzi tutto individuare la legge nazionale ad esso applicabile nel caso in cui le parti, in sede di stipula del contratto, non avessero compiuto ex ante alcuna scelta in punto di disciplina applicabile al rapporto. Così individuata la legge nazionale astrattamente applicabile al rapporto lavorativo, l’Organo giurisdizionale deve altresì stabilire se tale disciplina è in grado di assicurare una protezione degli interessi del lavoratore più efficace rispetto alle disposizioni di legge la cui applicabilità è stata scelta convenzionalmente dalle parti. Ove la disciplina astrattamente applicabile sia maggiormente protettiva e nel caso in cui essa, in base all’ordinamento di quel Paese dell’Unione, non possa essere derogata convenzionalmente dalle parti, allora si dovrà necessariamente prescindere dalla scelta compiuta dalle parti e dare ad essa esclusiva applicazione.

Detto altrimenti, ai sensi dell’art. 3 del Regolamento 593/2008, le parti di un contratto di lavoro che presenta elementi di transnazionalità sono libere di scegliere quale legge applicare al rapporto sottostante. Tuttavia tale scelta convenzionale potrà incidere effettivamente sulla legge applicabile al rapporto solo se, e nella misura in cui, le disposizioni di cui le parti auspicano l’applicazione assicurano una protezione del lavoratore almeno uguale a quella che gli sarebbe assicurata dalle disposizioni di legge inderogabili del Paese dove il rapporto di lavoro è eseguito abitualmente, oppure, nel caso in cui non si possa stabilire il luogo di esecuzione abituale della prestazione, da quelle del Paese dove ha sede il datore di lavoro, oppure ancora delle disposizioni inderogabili del Paese con cui “il contratto di lavoro presenta un collegamento più stretto”.

Detto ancora diversamente, sono i criteri stabiliti dai commi 2, 3 e 4 del Regolamento n. 593/2008 a determinare la legge applicabile al rapporto di lavoro che presenti elementi di transnazionalità. La scelta delle parti (che ricada su un’altra e diversa legislazione nazionale) può prevalere solo nel caso di cui le disposizioni di legge la cui applicazione è auspicata dalle parti non prevedano una regolamentazione per gli interessi del lavoratore che sia deteriore rispetto alle disposizioni di legge inderogabili destinate a trovare applicazione al rapporto in base ai criteri di cui all’art. 8 del Regolamento n. 593/2008: questi ultimi, come detto, sono destinati a trovare applicazione in ogni caso di mancata scelta convenzionale.

Posti questi principi, tornando alla soluzione del caso concreto, la Corte di Giustizia qualifica le disposizioni in materia di salario minimo italiane e tedesche come disposizioni di legge che, ai sensi di quanto previsto rispettivamente dai singoli, rispettivi ordinamenti, sono inderogabili convenzionalmente dalle parti: rilevato altresì che esse prevedono condizioni migliori rispetto alle corrispondenti norme di diritto rumeno e sulla premessa dell’accertamento che ai singoli rapporti lavorativi è stata data esecuzione abituale, rispettivamente, in Italia e in Germania, sono le norme di questi ultimi due Paesi che dovranno essere applicate ai rapporti di lavoro dedotti in lite. In tal modo, la natura inderogabile delle disposizioni di legge italiane e tedesche sul salario minimo, unita alla loro capacità di assicurare una maggiore protezione degli interessi del lavoratore rispetto alle corrispondenti norme di diritto rumeno, fa sì che esse prevalgano, trovando applicazione concreta ai rapporti lavorativi, sulla normativa scelta convenzionalmente dalle parti ed avente appunto ad oggetto l’applicazione del diritto rumeno.

Inoltre, per quel che riguarda l’esatta portata e l’individuazione dei confini della scelta della legge applicabile che, ai sensi dell’art. 3 del Regolamento n. 593/2008, può essere compiuta dalle parti di un contratto di lavoro, la Corte di Giustizia afferma due importanti principi.

Da un lato, è riconosciuto che il diritto delle parti di scegliere la legge applicabile al rapporto di lavoro può ritenersi rispettato nel caso in cui una disposizione di legge di un dato ordinamento nazionale si limiti a prevedere che le clausole di un dato contratto di lavoro siano integrate dal complesso di disposizioni integranti il “diritto del lavoro” nazionale, la cui applicazione è stata appunto auspicata in prima battuta dalle stesse parti del rapporto. Viceversa, tale diritto di scelta delle parti sarebbe inevitabilmente leso se una disposizione di un ordinamento nazionale imponesse alle parti di un dato contratto di lavoro l’applicazione esclusiva del complesso di disposizioni integranti “il diritto del lavoro” di quel determinato Paese dell’Unione.

Dall’altro lato, il diritto delle parti di scegliere la legge applicabile al rapporto di lavoro deve ritenersi rispettato anche nel caso in cui la clausola contrattuale relativa alla scelta della legge applicabile sia stata predisposta unilateralmente dal datore di lavoro e il lavoratore, nel sottoscrivere il contratto, si sia limitato ad accettarla.

Per leggere il testo integrale della pronuncia della Corte di Giustizia clicca qui: https://curia.europa.eu/juris/document/document.jsf?text=&docid=244192&pageIndex=0&doclang=it&mode=lst&dir=&occ=first&part=1&cid=808450

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