Pari opportunità tra uomo e donna in ambito lavorativo: ecco la riforma che mira a ridurre il divario di genere

Maria Santina Panarella
26 Novembre 2021

La legge n. 162 del 5 novembre 2021, in vigore dal 3 dicembre 2021, introduce le “Modifiche al codice di cui al decreto legislativo 11 aprile 2006, n. 198, e altre disposizioni in materia di pari opportunità tra uomo e donna in ambito lavorativo”.

L’obiettivo dei sei articoli nei quali è articolata la legge è, da un lato, il contrasto del divario salariale tra uomo e donna, dall’altro, la partecipazione delle donne al mercato del lavoro. 

Dati alla mano, il divario di trattamento tra uomo e donna dal punto di vista lavorativo, nel nostro Paese, continua ad essere ancora rilevante, ed ha reso necessario l’auspicato intervento del legislatore.

Queste sono le principali modifiche.

In primo luogo, viene ampliata la definizione di discriminazione contenuta nell’art. 25 del d.lgs. n. 198/2006, ricomprendendo anche gli atti di natura organizzativa o incidenti sull’orario di lavoro,

Il co. 2 bis ora così reciterà: “Costituisce discriminazione, ai sensi del presente titolo, ogni trattamento o modifica dell'organizzazione delle condizioni e dei tempi di lavoro che, in ragione del sesso, dell'età anagrafica, delle esigenze di cura personale o familiare, dello stato di gravidanza nonché di maternità o paternità, anche adottive, ovvero in ragione della titolarità e dell'esercizio dei relativi diritti, pone o può porre il lavoratore in almeno una delle seguenti condizioni:

  1. posizione di svantaggio rispetto alla generalità degli altri lavoratori;
  2.  limitazione delle opportunità di partecipazione alla vita o alle scelte aziendali;
  3. limitazione dell’accesso ai meccanismi di avanzamento e di progressione nella

carriera”.

Viene, poi, introdotto l’obbligo per le aziende pubbliche e private che occupano oltre 50 dipendenti (la soglia attuale è di 100 dipendenti) di redigere un rapporto biennale

sulla situazione del personale maschile e femminile in ognuna delle professioni e in relazione allo stato di assunzioni, della formazione, della promozione professionale, dei livelli, dei passaggi di categoria o di qualifica, di altri fenomeni di mobilità, dell'intervento della Cassa integrazione guadagni, dei licenziamenti, dei prepensionamenti e  pensionamenti, e della retribuzione effettivamente corrisposta.

La violazione di tale obbligo può comportare sanzioni e verifiche ad opera dell’Ispettorato del Lavoro e, nei casi più gravi, può essere disposta la sospensione per un anno dei benefici contributivi eventualmente goduti dall’azienda.

Le aziende pubbliche e private che occupano fino a 50 dipendenti possono redigere il rapporto su base volontaria.

È poi prevista l’istituzione della certificazione della parità di genere, a decorrere dal 1° gennaio 2022, al fine di attestare le politiche e le misure concrete adottate dai datori di lavoro per ridurre il divario di genere in relazione alle opportunità di crescita in azienda, alla parità salariale a parità di mansioni, alle politiche di gestione delle differenze di genere e alla tutela della maternità.

Con uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, saranno stabiliti:

  1. i parametri minimi per il conseguimento della certificazione della parità di genere, con particolare riferimento alla retribuzione corrisposta, alle opportunità di progressione in carriera e alla conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, anche con riguardo ai lavoratori occupati di sesso femminile in stato di gravidanza;
  2.  le modalità di acquisizione e di monitoraggio dei dati trasmessi dai datori di lavoro e resi disponibili dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali;
  3.  le modalità di coinvolgimento delle rappresentanze sindacali aziendali e delle consigliere e dei consiglieri di parità regionali, delle città metropolitane e degli altri enti nel controllo e nella verifica del rispetto dei parametri;
  4. le forme di pubblicità della certificazione della parità di genere.

A questo fine verrà istituito, presso il Dipartimento per le pari opportunità della Presidenza del Consiglio dei Ministri, un Comitato tecnico permanente sulla certificazione di genere nelle imprese.

Per l’anno 2022, alle aziende private che saranno in possesso della certificazione della parità di genere, sarà concesso un esonero dal versamento dei complessivi contributi

previdenziali a carico del datore di lavoro.

Inoltre, alle aziende private che, alla data del 31 dicembre dell’anno precedente a quello di riferimento, saranno in possesso della certificazione della parità di genere, è riconosciuto un punteggio premiale per la valutazione, da parte delle autorità competenti alla concessione di aiuti di stato e finanziamenti pubblici in genere.

Inoltre, anche nell’ambito dei bandi di gara, negli avvisi o negli inviti relativi a procedure per l’acquisizione di servizi e forniture, il possesso di una certificazione di parità di genere determinerà un punteggio maggiore sulla base dei criteri premiali che le amministrazioni aggiudicatrici indicheranno.

È poi previsto l’obbligo, per le società, costituite in Italia, controllate da pubbliche amministrazioni ai sensi dell’art. 2359 c.c., non quotate in mercati regolamentati, di dotarsi di uno statuto che preveda un riparto degli amministratori da eleggere effettuato in base ad un criterio che assicuri l’equilibrio tra i generi.

Un passo avanti per le pari opportunità? Forse sì, ma di certo non è l’ultimo. Fino a quando serviranno certificazioni, sistemi premiali o esenzioni contributive, ci sarà ancora strada da fare.

Altri articoli di 
Maria Santina Panarella
linkedin facebook pinterest youtube rss twitter instagram facebook-blank rss-blank linkedin-blank pinterest youtube twitter instagram