L’onere del danneggiato di sottoporsi alla CTU medica: assenza ingiustificata e conseguente decadenza dalla possibilità di provare il danno biologico lamentato

Roberto Lama
23 Giugno 2021

Corte di Appello di Roma, sez. Lavoro, sentenza 18 maggio 2021

L’assenza ingiustificata del periziando alla visita medica del CTU comporta la decadenza dalla possibilità di provare il danno biologico lamentato. La Corte d’Appello romana ha recentemente rigettato la domanda di risarcimento del danno biologico avanzata da un lavoratore che, in primo grado aveva dimostrato di essere stato vittima di una condotta di demansionamento, produttiva di danno.

E’ accaduto in particolare che il Collegio, avendo ritenuto fondate le censure mosse dalla parte datoriale appellante alla consulenza tecnica di primo grado finalizzata a determinare il danno biologico subito, avesse disposto la rinnovazione della CTU. Prestato il giuramento di rito, il CTU aveva comunicato alle parti, presso l’indirizzo PEC dalle medesime indicato nei rispettivi atti di causa, la data, l’ora e il luogo di inizio delle operazioni peritali. In occasione della prevista visita medica, tuttavia né il lavoratore danneggiato, né il CTP da questi nominato erano presenti; inoltre il CTU non era stato informato in precedenza da alcuno di tale loro assenza.

La tesi svolta dalla difesa del lavoratore, per giustificare l’assenza, ha posto l’accento sul fatto che l’indirizzo PEC indicato nell’atto difensivo, benché attivo, non era più in uso da anni.

Ha rilevato tuttavia la Corte romana che “come si evince dalla procura allegata alla memoria difensiva ex art. 436 c.p.c…., l’indirizzo di posta elettronica certificata cui l'appellato ha dichiarato di voler ricevere le comunicazioni è: ......@ordineavvocatiroma.org, ossia proprio l'indirizzo oggetto dell'elezione di domicilio. Ogni ulteriore notazione è superflua. La mancata presentazione a visita è pertanto ingiustificata”.

Muovendo da tale premessa, tenuto conto della necessità di salvaguardare il principio di ragionevole durata del processo che impedisce la rinnovazione della perizia medica, in presenza di una situazione nella quale la rinnovazione sarebbe stata dovuta ad una condotta negligente della parte (la mancata presentazione ingiustificata alla visita), la Corte di Appello ha affermato che, ferma la necessaria prova del demansionamento subito, grava sull’interessato ad ottenere il riconoscimento del diritto al risarcimento del danno uno specifico onere di collaborazione, rientrante nell’ambito del generale onere di provare la fondatezza del diritto controverso, consistente nella sottoposizione alla visita medica disposta in sede di consulenza tecnica di ufficio. Pertanto, la mancata presentazione dell’interessato alla visita peritale disposta in fase di appello comporta il rigetto della domanda per difetto di prova. A sostegno della propria decisione la Corte territoriale romana ha menzionato Cass. ord. n. 2361/2019 e Cass. n. 19577/2013, richiamando esplicitamente le motivazioni di tali sentenze in applicazione del principio di cui all’art. 118 disp. att. c.p.c., il quale, come è noto, consente al giudice di esporre le ragioni giuridiche della decisione, “anche con riferimento a precedenti conformi”.

Sicché il monito della Corte romana è categorico: guai a omettere di monitorare la casella di posta elettronica certificata verso cui si è dichiarato di voler ricevere comunicazioni e guai a non presentarsi alla visita medica disposta con la CTU; l’assenza ingiustificata del periziando a tale visita produce l’irrimediabile preclusione della possibilità di provare il danno di cui egli chiede il risarcimento.

Un altro significativo capo della sentenza riguarda la (mancata) prova del danno alla professionalità di cui il lavoratore demansionato chiede il risarcimento.

Dando applicazione al consolidato orientamento giurisprudenziale in materia, la Corte romana ha affermato che in presenza di una accertata fattispecie di demansionamento, affinché il danno alla professionalità possa essere risarcito è onere del lavoratore allegare e provare di aver sofferto un pregiudizio risarcibile in conseguenza dell’inadempimento datoriale; gli elementi di prova devono ricadere su circostanze diverse ed ulteriori rispetto alla fattispecie di dequalificazione, essendo onere del lavoratore allegare e provare l’impoverimento della capacità professionale acquisita o la mancata acquisizione di una maggiore capacità professionale, la perdita di chances di progressione di carriera o di maggiori possibilità di guadagno.

E’ esplicitamente richiesta, pertanto, una prova specifica e rigorosa del danno da dequalificazione risarcibile, sia nella sua componente di danno professionale sia in quella di danno non patrimoniale. Questo orientamento – solidamente fondato sul principio generale della effettività del danno e sulla necessaria distinzione tra mera lesione del diritto e danno che ne può, solo eventualmente, derivare – è stato ribadito, nel solco di Cass. S.U. 6572/06, dalle sentenze delle Sezioni Unite della Suprema Corte c.d. di San Martino del 2008 (nn. 26972 – 5 dell’11 novembre 2008) e, da ultimo, da Cass. civ. Sez. lavoro Ord., 23 marzo 2020, n. 7483.

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