Per il Consiglio di Stato è legittimo l’obbligo vaccinale per i sanitari

Stefano Guadagno
26 Ottobre 2021

L’obbligo vaccinale per i sanitari, previsto dall’art. 4 D.L. n. 44 del 2021 è strumento idoneo ad assicurare la fiducia nella sicurezza delle cure, che “non può lasciare il passo, evidentemente, a visioni individualistiche ed egoistiche, non giustificate in nessun modo sul piano scientifico”.

In questi termini, si è espresso il Consiglio di Stato, Sezione III, nella sentenza 20 ottobre 2021, n. 7045.

La vicenda processuale

La vicenda processuale trae origine dal ricorso collettivo proposto da alcuni esercenti professioni sanitarie e operatori di interesse sanitario nella Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia, non ancora sottoposti alla vaccinazione obbligatoria contro il virus Sars-CoV-2, avverso gli atti con i quali le ASL friulane avevano dato attuazione all’obbligo vaccinale per i sanitari, di cui all’art. 4 D.L. n. 44 del 2021 (conv. con modifiche in L. 76 del 2021).

Se il TAR, con sentenza del 13 settembre 2021, n. 276, aveva dichiarato inammissibile il ricorso collettivo e cumulativo per ragioni processuali, il Consiglio di Stato entra nel merito, esaminando analiticamente le tesi dei ricorrenti.

Efficacia e sicurezza dei vaccini

Muovendo dai profili scientifici, il Collegio confuta la ricostruzione degli appellanti in merito alla mancanza di garanzia di efficacia e sicurezza dei vaccini approvati dall’EMA in relazione al breve tempo di cui si sono potute giovare le case farmaceutiche e l’immissione in commercio sulla base di un’autorizzazione condizionata.

Si rammenta, infatti, che i quattro vaccini utilizzati nella campagna vaccinale in Europa, sono stati autorizzati da EMA attraverso la procedura di autorizzazione condizionata (c.d. CMA, Conditional marketing authorisation), disciplinata dall’art. 14-bis del Reg. CE 726/2004 del Parlamento Europeo e del Consiglio e dal Reg. CE 507/2006 della Commissione. In forza di tale disposizione, un’autorizzazione può essere rilasciata anche in assenza di dati clinici completi, «a condizione che i benefici derivanti dalla disponibilità immediata sul mercato del medicinale in questione superino il rischio dovuto al fatto che sono tuttora necessari dati supplementari».

Come si legge sul sito dell’Istituto Superiore di Sanità, «una autorizzazione condizionata garantisce che il vaccino approvato soddisfi i rigorosi criteri Ue di sicurezza, efficacia e qualità, e che sia prodotto e controllato in stabilimenti approvati e certificati in linea con gli standard farmaceutici compatibili con una commercializzazione su larga scala»

Su queste premesse, la sentenza in commento ha rilevato che il carattere condizionato dell’autorizzazione non incide sui profili di sicurezza del farmaco né comporta che la stessa debba essere considerata un minus dal punto di vista del valore giuridico, ma impone unicamente al titolare di completare gli studi in corso.

I ricorrenti hanno poi posto in discussione la ragionevolezza dell’obbligo in relazione alla scarsa capacità dei vaccini di evitare i contagi. Sul punto, il Collegio richiama le più recenti ricerche scientifiche, da cui risulta che «la fase di eliminazione virale nasofaringea, nel gruppo dei vaccinati, è tanto breve da apparire quasi impercettibile, con sostanziale esclusione di qualsivoglia patogenicità nei vaccinati». Sulla base dei dati resi pubblici dagli enti sanitari la vaccinazione «si sta dimostrando efficace, su larga scala, nel contenere il contagio e nel ridurre i decessi o i sintomi gravi».

La ragionevolezza dell’obbligo vaccinale per i sanitari

Sul piano più strettamente giuridico, il Consiglio di Stato disattende, poi, la tesi secondo cui, in assenza di una certezza assoluta offerta dalla scienza circa la sicurezza dei vaccini anche nel lungo periodo, il legislatore dovrebbe lasciare sempre e comunque l’individuo libero di scegliere se accettare o meno il trattamento sanitario e, dunque, di ammalarsi e contagiare gli altri.

La sentenza muove dalla premessa che la «riserva di scienza» lascia sempre al legislatore, per l’inevitabile margine di incertezza che contraddistingue anche il sapere scientifico, un innegabile «spazio di discrezionalità» nel bilanciamento tra i valori in gioco, la libera autodeterminazione del singolo, da un lato, e la necessità di preservare la salute pubblica e con essa la salute dei soggetti più vulnerabili, dall’altro. Una discrezionalità che deve essere senza dubbio usata in modo ragionevole e proporzionato.

In fase emergenziale, lo stesso principio di precauzione richiede al decisore pubblico di «consentire o, addirittura, imporre l’utilizzo di terapie che, pur sulla base di dati non completi (…), assicurino più benefici che rischi, in quanto il potenziale rischio di un evento avverso per un singolo individuo, con l’utilizzo di quel farmaco, è di gran lunga inferiore del reale nocumento per una intera società, senza l’utilizzo di quel farmaco».

La previsione dell’obbligo vaccinale per i sanitari risponde contemporaneamente a due esigenze: la cura (individuale) dello stesso personale sanitario e la sicurezza della cura per i pazienti (ed in particolare, quelli fragili). Pertanto, conclude il Consiglio di Stato, «nel bilanciamento tra i due valori, quello dell’autodeterminazione individuale e quello della tutela della salute pubblica, compiuto dal legislatore con la previsione dell’obbligo vaccinale nei confronti del solo personale sanitario, non vi è dunque legittimo spazio né diritto di cittadinanza in questa fase di emergenza contro il virus Sars-CoV-2 per la c.d. esitazione vaccinale».

Tale conclusione si pone nel solco della giurisprudenza costituzionale che ha disatteso le censure di illegittimità rivolte contro le norme che, con lo strumento del decreto legge, avevano incrementato a dieci il numero di vaccinazioni obbligatorie, subordinando l’accesso ai servizi educativi per l’infanzia alla ricezione di tutti e dieci i vaccini (Corte Cost., sent. 18.01.2018, n. 5).

In particolare, secondo la Corte Costituzionale, la legge impositiva di un trattamento sanitario non è incompatibile con l’art. 32 della Costituzione:

  • se il trattamento è diretto non solo a migliorare o a preservare lo stato di salute di chi vi è assoggettato, ma anche a preservare lo stato di salute degli altri;
  • se si prevede che esso non incida negativamente sullo stato di salute di colui che è obbligato, salvo che per quelle sole conseguenze che appaiano normali e, pertanto, tollerabili;
  • se, nell’ipotesi di danno ulteriore, sia prevista comunque la corresponsione di una equa indennità in favore del danneggiato, e ciò a prescindere dalla parallela tutela risarcitoria (sentenze n. 258 del 1994 e n. 307 del 1990, pure citata dalla Cedu).

Requisiti tutti ricorrenti nel caso di specie, sulla base di quanto risultante dai più recenti studi scientifici.

Il Consiglio di Stato esclude poi che al medesimo risultato garantito possa pervenirsi mediante strategie di persuasione, che avrebbero richiesto tempi e mezzi incompatibili con l’emergenza. Dunque, solo l’introduzione dell’obbligo vaccinale potrebbe garantire «la sicurezza delle cure, tutelando la salute dello stesso personale sanitario, impegnato in prima linea nella lotta contro la nuova malattia, e quella dei pazienti e delle persone più fragili e, in generale, della collettività dalla rapida diffusione del contagio».

La compatibilità con il sistema comunitario dell’obbligo vaccinale per i sanitari

La sentenza in commento, sulla base delle considerazioni di sistema sopra passate in rassegna, disattende tutte le censure di illegittimità dei provvedimenti impugnati, sia avuto riguardo alla normativa interna di rango costituzionale, che di quella di fonte europea.

In particolare, i ricorrenti deducono che la vaccinazione obbligatoria si porrebbe in contrasto con gli artt. 3 e 52 della Carta Fondamentale dei diritti dell’Unione Europea e dell’art. 8 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo, costituendo una illegittima ingerenza nel diritto del singolo al rispetto della propria vita privata e familiare, «imponendo un eccessivo sacrificio con il diritto alla salute del singolo, costretto a subire danni e rischi non predeterminati, addirittura ignoti, e con riferimento a quelli noti sicuramente gravi e irreversibili, tanti da giungere fino alla morte».

Sul punto, devono richiamarsi le considerazioni della CEDU, nella Decisione dell’8 aprile 2021 (Caso di Vavřička and Others v. the Czech Republic, commentata sul nostro sito da Santina Panarella nel contributo “Corte Europea dei diritti dell’Uomo: i vaccini obbligatori possono essere considerati necessari in una società democratica”) che ha ritenuto compatibili con le previsioni dell’art. 8 della Convenzione le misure nazionali, adottate dalla Repubblica Ceca, prevedenti l’obbligatorietà di vaccini.

In forza di argomenti sovrapponibili a quelli proposti dalla CEDU, il Consiglio di Stato esclude la violazione della normativa europea, ed in particolare dell’art. 8 della Convenzione, ritenendo che la previsione dell’obbligo di cui all’art. 4 D.L. 44/2021 rispetti tutte le condizioni previste dall’art. 8, e fissate anche dalla CEDU, per l’ingerenza pubblica nella sfera privata e familiare. Essa, infatti, « persegue una finalità di un interesse pubblico, il contenimento del contagio, per la tutela della società democratica, a tutela dei soggetti più fragili, di fronte ad una pandemia di carattere globale e alla minaccia di un virus a trasmissione aerea particolarmente pericoloso per i soggetti più vulnerabili mediante la somministrazione di un vaccino sulla cui efficacia e sicurezza si registra il general consensus della comunità scientifica».

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