L’obbligo vaccinale per i sanitari è legittimo e ragionevole

Stefano Guadagno
14 Dicembre 2021

Il Consiglio di Stato, Sezione Terza, con sentenza n. 6476 del 3 dicembre 2021, ha affermato la legittimità e ragionvevolezza dell’obbligo vaccinale, imposto dall’art. 4 del decreto legge n. 44 del 2021 ai sanitari, confermando un orientamento che va ormai consolidandosi nelle giurisprudenza amministrativa.

L’antefatto processuale

La vicenda processuale trae origine dal ricorso proposto da un’operatrice sanitaria, non ancora sottoposta alla vaccinazione obbligatoria contro il virus Sars-CoV-2, avverso gli atti con i quali la ASL Friuli aveva dato attuazione all’obbligo vaccinale per i sanitari, di cui all’art. 4 D.L. n. 44 del 2021 (conv. con modifiche in L. 76 del 2021), inibendole l’esercizio della professione in assenza della prescritta misura preventiva.

Le censure della ricorrente, desumibili dal riassunto dell’antefatto processuale in motivazione, riproponevano argomenti consueti negli ormai numerosi ricorsi avverso provvedimenti analoghi, ed attenevamo in particolare:

  1. alla incompatibilità dell’art. 4 D.L. 44 del 2021 con la normativa costituzionale e sovranazionale;
  2. alla insussistenza dei presupposti medico-legali per la previsione dell’obbligo vaccinale;
  3. alla irragiovevolezza della disposizione normativa, nella parte in cui fa conseguire alla mancata vaccinazione la sospensione dell’esercizio della professione sanitaria.

I profili medico scientifici

Il Collegio disattende, innanzi tutto, la tesi della mancanza di sicurezza ed efficacia dei vaccini approvati dall’EMA, stante la natura sperimentale dei medesimi in relazione al breve tempo di cui si sono potute giovare le case farmaceutiche e l’immissione in commercio sulla base di un’autorizzazione condizionata.

Sul punto, si rammenta che i quattro vaccini utilizzati nella campagna vaccinale in Europa, sono stati autorizzati da EMA attraverso la procedura di autorizzazione condizionata (c.d. CMA, Conditional marketing authorisation), disciplinata dall’art. 14-bis delReg. CE 726/2004 del Parlamento Europeo e del Consiglio e dal Reg. CE 507/2006della Commissione. In forza di tale disposizione,un’autorizzazione può essere rilasciata anche in assenza di daticlinici completi, «a condizione che i benefici derivanti dalla disponibilità immediata sul mercato del medicinale in questione superino il rischio dovuto al fatto che sono tuttora necessari dati supplementari».

Come si legge sul sito dell’Istituto Superiore di Sanità, «una autorizzazione condizionata garantisce che il vaccino approvato soddisfi i rigorosi criteri Ue di sicurezza, efficacia e qualità, e che sia prodotto e controllato in stabilimenti approvati e certificati in linea con gli standard farmaceutici compatibili con una commercializzazione su larga scala»

Su queste premesse, la stessa Sezione III del Consiglio di Stato, nella sentenza 20 ottobre 2021, n. 7045 (che avevamo commentato sul nostro sito Per il Consiglio di Stato è legittimo l’obbligo vaccinale per i sanitari) ha già avuto modo di porre in rilievo che il carattere condizionato dell’autorizzazione non incide sui profili di sicurezza del farmaco né comporta che la stessa debba essere considerata un minus dal punto di vista del valore giuridico, ma impone unicamente al titolare di completare gli studi in corso.

La sentenza in commento, richiamando i principi affermati dal precedente della medesima Sezione, ha quindi rilevato che «le verifiche scientifiche e i procedimenti amministrativi previsti per il rilascio delle dette autorizzazioni risultano conformi alla normativa e quindi tali da fornire, anche in un'ottica di rispetto del principio di precauzione sufficienti garanzie - allo stato delle attuali conoscenze scientifiche, unico possibile metro di valutazione - in ordine alla loro efficacia e sicurezza».

La ragionevolezza dell’obbligo vaccinale per i sanitari

Sul piano più strettamente giuridico, il Consiglio di Stato disattende, poi, la tesi secondo cui sarebbe irragionevole far conseguire la sospensione dall’attività professionale alla mancata sottoposizione al vaccino.

La sentenza muove dalla premessa che il legislatore si è trovato ad operare un bilanciamento tra contrapposti valori in gioco: la libera autodeterminazione del singolo e il diritto al lavoro, da un lato, e la necessità di preservare la salute pubblica e con essa la salute dei soggetti più vulnerabili, dall’altro.

A giudizio del Collegio il legislatore ha fatto un esercizio del potere discrezionale improntato ai principi e ragionevolezza, sul presupposto che «la tutela della salute pubblica e, in particolare, la salvaguardia delle categorie più fragili e dei soggetti più vulnerabili (per l’esistenza di pregresse morbilità, anche gravi, come i tumori o le cardiopatie, o per l’avanzato stato di età) bisognosi di cura ed assistenza, spesso urgenti, e proprio per questo posti di frequente a contatto con il personale sanitario o sociosanitario» debba prevalere rispetto ai diritti individuali del professionita.

La sentenza in esame dunque conferma il principio ormai consolidatosi presso il Consiglio di Stato, secondo cui «nel bilanciamento tra i due valori, quello dell’autodeterminazione individuale e quello della tutela della salute pubblica, compiuto dal legislatore con la previsione dell’obbligo vaccinale nei confronti del solo personale sanitario, non vi è dunque legittimo spazio né diritto di cittadinanza in questa fase di emergenza contro il virus Sars-CoV-2 per la c.d. esitazione vaccinale» (in questi termini si è espressa la già citata sentenza 20 ottobre 2021, n. 7045).

Ancora più di recente, il Consiglio di Stato, con sentenza n. 6401 del 2 dicembre 2021, ha chiarito che «la prevalenza del diritto fondamentale alla salute della collettività rispetto a dubbi individuali o di gruppi di cittadini sulla base di ragioni mai scientificamente provate, assume una connotazione ancor più peculiare e dirimente allorché il rifiuto di vaccinazione sia opposto da chi, come il personale sanitario, sia - per legge e ancor prima per il cd. “giuramento di Ippocrate”- tenuto in ogni modo ad adoperarsi per curare i malati, e giammai per creare o aggravare il pericolo di contagio del paziente con cui nell’esercizio della attività professionale entri in diretto contatto».

Tali principi consentono di superare anche le censure di incompatibilità dell’obbligo vaccinale in questione con la noramtiva interna di rango primario. E d’altronde la Corte Costituzione aveva già ritenuto compatibile con il dettato dell’art. 32 della Costituzione le norme che, con lo strumento del decreto legge, avevano incrementato a dieci il numero di vaccinazioni obbligatorie, subordinando l’accesso ai servizi educativi per l’infanzia alla ricezione di tutti e dieci i vaccini (Corte Cost., sent. 18.01.2018, n. 5).

L’obbligo vaccinale e il diritto comunitario

Pur non avendo la sentenza in esame affrontato specificamente l’argomento, il Consiglio di Stato, in analoghe vicende, ha confutato tutte le censure di illegittimità dei provvedimenti impositivi dell’obbligo vaccinale per determinate categorie, anche avuto riguardo alla normativa di fonte europea.

In particolare, è stato più volte disattesa la tesi secondo l’obbligo vaccinale si porrebbe in contrasto con gli artt. 3 e 52 della Carta Fondamentale dei diritti dell’Unione Europea e dell’art. 8 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo, costituendo una illegittima ingerenza nel diritto del singolo al rispetto della propria vita privata e familiare.

Sul punto, devono richiamarsi le considerazioni della CEDU, nella Decisione dell’8 aprile 2021 (Caso di Vavřička and Others v. the Czech Republic, commentata sul nostro sito da Santina Panarella nel contributo “Corte Europea dei diritti dell’Uomo: i vaccini obbligatori possono essere considerati necessari in una società democratica”) che ha ritenuto compatibili con le previsioni dell’art. 8 della Convenzione le misure nazionali, adottate dalla Repubblica Ceca, prevedenti l’obbligatorietà di vaccini.

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