Il licenziamento conseguente a un grave reato è legittimo pure se i fatti sono risalenti nel tempo

Stefano Guadagno
13 Giugno 2023

Il licenziamento per giusta causa intimato a seguito di condanna penale, pur se risalente nel tempo, è legittimo se il fatto contestato è connotato da particolare gravità e disvalore sociale. Questo il principio affermato dalla ordinanza della Corte di Cassazione del 23 maggio 2023, n. 14114.

La vicenda processuale trae origine dal licenziamento intimato al lavoratore condannato diversi anni prima, con sentenza passata in giudicato, per violenza sessuale nei confronti di una minorenne commessa al di fuori dell’attività lavorativa.

I giudici di merito hanno ritenuto non integrata una giusta causa di licenziamento, sul presupposto che la condotta contestata non era di particolare gravità, tenuto conto del tempo trascorso dal fatto e della mancanza di altre valutazioni di legge.

Occorre rammentare, per quanto noto, che la giusta causa di licenziamento è una «nozione di legge che si viene ad inscrivere in un ambito di disposizioni caratterizzate dalla presenza di elementi "normativi" e di clausole generali il cui contenuto, elastico ed indeterminato, abbisogna di essere colmato attraverso il contributo dell'interprete, mediante valutazioni e giudizi di valore desumibili dalla coscienza sociale o dal costume o dall'ordinamento giuridico o da regole proprie di determinate cerchie sociali o di particolari discipline o arti o professioni» (Cass, 31 marzo 2021, n.8957).

La Corte di cassazione può sindacare l'attività di integrazione del precetto normativo compiuta dal giudice di merito ove si denunci l’incoerenza del predetto giudizio «rispetto agli standards, conformi ai valori dell'ordinamento, esistenti nella realtà sociale» (Cass., 10 febbraio 2022, n. 4409).

Sotto il profilo della proporzionalità il giudice del merito è chiamato a verificare la condotta del lavoratore con riguardo agli obblighi di diligenza e fedeltà, alla luce del "disvalore ambientale" che la stessa poteva assumere, verificandone in concreto il rilievo con riguardo alla posizione professionale rivestita (cfr. Cass., 17 aprile 2023, n. 10124).

L’ordinanza in commento, facendo applicazione di tali principi, ha ritenuto che la corte di merito, nel valutare la sussistenza di una giusta causa di recesso – ai sensi dell’art. 2119 c.c. e del C.C.N.L. applicabile – abbia «irragionevolmente ritenuto di non poter sussumere il fatto pacificamente accertato nella sua materialità nella norma generale con una valutazione non coerente rispetto a quelli che sono gli standard, conformi ai valori dell'ordinamento, esistenti nella realtà sociale».

In particolare, rileva il Supremo Collegio come «una violenza sessuale ai danni di una minore di età, in qualsiasi contesto sia commessa, è secondo uno standard socialmente condiviso una condotta che per quanto di per sé estranea al rapporto di lavoro è idonea a ledere il vincolo fiduciario a prescindere dal contesto in cui la stessa è stata commessa e dal tempo trascorso dal fatto, a maggior ragione ove l'attività lavorativa svolta ponga il lavoratore a diretto contatto col pubblico».

Tale argomento si pone nel solco della giurisprudenza di legittimità che esclude un automatismo tra condanna penale e licenziamento. È infatti vero che, anche in caso di condanna da reato, il giudicante è chiamato a verificare l'idoneità del fatto costituenti reato, per come accertato in sede penale, a ledere il rapporto fiduciario, valutando la gravità dei fatti in relazione alla natura del rapporto, alle mansioni affidate ed al grado di affidamento connesso all'esercizio di tali mansioni (v. Cass., 30 settembre 2014, n. 20602; in materia di licenziamento disciplinare intimato per fatti che, al contempo, sono oggetto di accertamento da parte dell’Autorità giudiziaria penale, v. sul nostro sito, Roberto Lama, Il licenziamento disciplinare intimato per fatti aventi rilevanza penale).

In questa prospettiva, come conclude l’ordinanza in commento, non rilevano «altri elementi di contorno esterni (quale ad esempio il tempo trascorso e l'unicità del fatto)»

In altre parole, il trascorrere del tempo non incide sulla gravità della condotta, e dunque sul giudizio di proporzionalità, in presenza di un fatto, costituente reato, di particolare disvalore sociale, alla professionalità del lavoratore. E ciò perché persiste la lesione del vincolo fiduciario, tanto più in un caso in cui il datore di lavoro aveva appreso della condanna solo poco prima dell’irrogazione della sanzione disciplinare e non è dunque dato discorrere nemmeno di intempestività della contestazione disciplinare.

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