Secondo il Tribunale di Udine, sì.
Con sentenza del 31 gennaio 2022, il Giudice del lavoro di Udine ha rigettato il ricorso di una lavoratrice che, dopo essersi assentata a lungo dal luogo di lavoro ed aver ricevuto dalla propria datrice di lavoro l’invito a dimettersi formalmente, aveva adito il Tribunale al fine di sentire dichiarare la nullità del provvedimento di scioglimento del rapporto di lavoro e la conseguente condanna della società al pagamento delle retribuzioni non corrisposte.
Secondo il Giudice, seppure non fossero state presentate le dimissioni volontarie, appariva evidente che la ricorrente avesse voluto porre fine al rapporto di lavoro, avendo palesato tale intento alla responsabile e non essendo più rientrata a lavoro dopo le ferie. In senso analogo, anche il contegno della società resistente era rilevante. In particolare, l’aver preso atto dell’assenza della dipendente, non corrispondendole più la retribuzione, salvo invitarla, a distanza di tempo, a dimettersi in via definitiva, evidenziava il sostanziale disinteresse all’eventuale prosecuzione del rapporto.
Pertanto, secondo il Tribunale, pur in difetto di una corretta formalizzazione delle dimissioni, nel comportamento concretamente tenuto dalle parti, era ravvisabile la manifestazione di una reciproca e convergente volontà, pur se sorretta da motivi diversi, di non dare più seguito al contratto di lavoro, determinandone così la risoluzione per fatti concludenti.
Nel giungere a tale conclusione, il Giudice ha richiamato, tra l’altro, l’orientamento della giurisprudenza di legittimità secondo il quale “il comportamento – interpretato alla luce dei principi di buona fede e correttezza di cui agli artt. 1175 e 1375 cod. civ.– del contraente titolare di una situazione creditoria o potestativa, che per lungo tempo trascuri di esercitarla e generi così un affidamento della controparte nell’abbandono della relativa pretesa, è idoneo come tale (essendo irrilevante qualificarlo come rinuncia tacita ovvero oggettivamente contrastante con gli anzidetti principi) a determinare la perdita della medesima situazione soggettiva (vedi Cass. 28.4.2009 n. 9924)” (in questo senso anche Cass. n. 6900/2016. In relazione a tali principi, si è espressa anche Cass. 14 giugno 2021, n. 16743, che ha affrontato il tema delle conseguenze di una protratta, ed ingiustificata, inerzia del locatore nel pretendere dal conduttore il pagamento dei canoni. Sul punto si richiama Rapporto di locazione ed inerzia del locatore nel richiedere il pagamento dei canoni: quali conseguenze?).
Si rammenta che, come è noto, a partire dal marzo 2016 (cfr. art. 26 del d. lgs. n. 151/2015), le dimissioni volontarie e la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro devono essere effettuate, a pena di inefficacia, con modalità esclusivamente telematiche, tramite una procedura on line sul sito del Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali.
Tuttavia, come ha precisato il Tribunale di Udine nella pronuncia in esame, la facoltà di libero recesso prevista dall’art. 2118 c.c. è comunque rimasta immutata.
Ne consegue che le dimissioni possono continuare a configurarsi come valide, almeno in ipotesi specifiche, anche per effetto di presupposti diversi da quelli della avvenuta formalizzazione telematica.
La procedura sopra citata – seguendo l’impostazione del Tribunale - si riferisce alla sola eventualità in cui la volontà del lavoratore si concretizzi in una manifestazione istantanea, dove vi è l’esigenza di incardinare la stessa in un atto formale al fine di prevenire ogni tipo di abuso (si pensi al fenomeno delle c.d. “dimissioni in bianco”). Al contrario, il – diverso - caso in cui la volontà risolutiva del lavoratore si sia sostanziata in un contegno protrattosi nel tempo e palesatosi in una serie di comportamenti idonei ad assicurare un’agevole verifica della sua genuinità, non è riconducibile all’ambito applicativo delle disposizioni introdotte dall’art. 26 d.lgs. n. 151/2015 citato.
Secondo il Tribunale di Udine, tale conclusione sarebbe confermata dal fatto che la legge delega n. 183/2014, nel fornire criteri direttivi per il conseguimento, tra gli altri, degli “... obiettivi di semplificazione e razionalizzazione delle procedure di costituzione e gestione dei rapporti di lavoro (...)”, aveva previsto “(…) modalità semplificate per garantire data certa nonché l'autenticità della manifestazione di volontà della lavoratrice o del lavoratore in relazione alle dimissioni o alla risoluzione consensuale del rapporto di lavoro, anche tenuto conto della necessità di assicurare la certezza della cessazione del rapporto nel caso di comportamento concludente in tal senso della lavoratrice o del lavoratore ...”. Tale inciso è rimasto totalmente inattuato nel d lgs. n. 151/2015; tuttavia,
questo non potrebbe impedire all’interprete di tenere in considerazione la sopracitata volontà del legislatore delegante.
Orbene, secondo la pronuncia in esame, opinare diversamente e ritenere che, in casi come quello affrontato, possa pervenirsi alla risoluzione del rapporto di lavoro, nell’ipotesi di inerzia del lavoratore nel rassegnare formali dimissioni già fattualmente intervenute, solo attraverso l’adozione di un licenziamento per giusta causa, significherebbe optare per una soluzione esegetica non solo irragionevole, ma anche di dubbia compatibilità costituzionale, quantomeno sotto il profilo degli artt. 38 e 41 Cost.
Come si è anticipato, il ricorso della lavoratrice che aveva manifestato in maniera palese la volontà di non proseguire il rapporto è stato rigettato.
In fin dei conti, è sempre meglio essere coerenti.