Il diritto alle ferie annuali retribuite non si prescrive se il datore di lavoro non ha effettivamente posto il lavoratore in grado di fruirne

L’art. 7 della direttiva 2003/88/CE, concernente taluni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro, e l’art. 31, paragrafo 2, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea devono essere interpretati nel senso che ostano ad una normativa nazionale in forza della quale il diritto alle ferie annuali retribuite maturato da un lavoratore in un periodo di riferimento si prescrive alla scadenza di un termine di tre anni che comincia a decorrere alla fine dell'anno in cui tale diritto è sorto, qualora il datore di lavoro non abbia effettivamente posto il lavoratore in grado di esercitare il diritto summenzionato.

Questa è la risposta data dalla Corte di Giustizia UE, nella sentenza del 22 settembre 2022, nella causa C – 120/21.

La vicenda prendeva le mosse dalla domanda di una lavoratrice tedesca che, a seguito della cessazione del rapporto di lavoro, aveva chiesto il pagamento di una indennità finanziaria per i giorni di ferie annuali retribuite non godute. Nell’ambito del giudizio, era emerso che la lavoratrice non era stata posta nelle condizioni di fruire delle ferie annuali in tempo utile. Pertanto, a fronte di un’eccezione di prescrizione proposta dal datore di lavoro sulla base di una norma del codice civile tedesco (in forza del quale le pretese di un creditore si prescrivono tre anni dopo la fine dell’anno in cui è sorto il suo diritto), la Corte federale del lavoro tedesca aveva sospeso il giudizio e chiesto l’intervento della Corte di Giustizia. 

Il giudice del rinvio tedesco aveva chiesto, in sostanza, se l’articolo 7 della direttiva 2003/88, e l’articolo 31, paragrafo 2, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea dovessero essere interpretati nel senso che ostano ad una normativa nazionale in forza della quale il diritto alle ferie annuali retribuite maturate da un lavoratore in un periodo di riferimento si prescrive alla scadenza di un determinato lasso di tempo, decorrente dalla fine dell’anno in cui tale diritto è sorto, qualora il datore di lavoro non abbia effettivamente posto il lavoratore in condizione di esercitare siffatto diritto.

Si rammenta che l’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 2003/88, prevede che gli Stati membri prendono le misure necessarie affinché ogni lavoratore benefici di ferie annuali retribuite di almeno quattro settimane, secondo le condizioni di ottenimento e di concessione previste dalle legislazioni e/o prassi nazionali. In forza del paragrafo 2 di tale articolo, il periodo minimo di ferie annuali retribuite non può essere sostituito da un’indennità, salvo in caso di fine del rapporto di lavoro.

Come emerge dai termini stessi dell’articolo 7 della direttiva 2003/88 e dalla giurisprudenza della Corte, spetta agli Stati membri definire, nella loro normativa interna, le condizioni di esercizio e di attuazione di detto diritto alle ferie annuali retribuite, precisando le circostanze concrete in cui i lavoratori possono avvalersene.

Già in precedenti pronunce, la Corte aveva precisato, al riguardo, che l'articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 2003/88 non osta, in linea di principio, a una normativa nazionale recante modalità di esercizio del diritto alle ferie annuali retribuite espressamente accordato da tale direttiva, che comprenda anche la perdita del diritto in questione allo scadere del periodo di riferimento o di un periodo di riporto, purché il lavoratore che ha perso il diritto alle ferie annuali retribuite abbia effettivamente avuto la possibilità di esercitare il medesimo diritto (in questo senso, sentenza 6 novembre 2018, C – 619/16).

In considerazione del contesto e degli obiettivi perseguiti dall'articolo 7 della direttiva 2003/88, era stato, in effetti, dichiarato che, in caso di inabilità al lavoro del lavoratore durante più periodi di riferimento consecutivi, l'articolo 7 della direttiva 2003/88 non ostava a norme o a prassi nazionali che, prevedendo un periodo di riporto di quindici mesi allo scadere del quale il diritto alle ferie annuali si estingue, limitano il cumulo dei diritti a tali ferie.

Tale soluzione era stata giustificata non soltanto dalla tutela del lavoratore, ma anche di quella del datore di lavoro che deve far fronte al rischio di un cumulo rilevante di periodi di assenza e alle difficoltà che dette assenze potrebbero comportare per l'organizzazione del lavoro.

Pertanto, è solo in presenza di ‘circostanze specifiche’ che il diritto alle ferie annuali retribuite sancito dall'articolo 7 della direttiva 2003/88 può essere limitato.

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Orbene, premesso che nessuna disposizione della direttiva disciplina la prescrizione del diritto in esame, nel caso di specie, la prescrizione del diritto alle ferie annuali retribuite era stata fatta discendere dalla norma sulla prescrizione generale di cui all’articolo 195 del BGB. E, secondo la Corte, tale normativa nazionale introdurrebbe una limitazione all’esercizio del diritto alle ferie annuali retribuite di cui all’articolo 7 della direttiva 2003/88 e dall’art. 31, paragrafo 2, della Carta.

La Corte di Giustizia è giunta alla conclusione esposta in apertura soffermandosi anche sull’onere di porre il lavoratore in condizione di esercitare il proprio diritto alle ferie annuali retribuite. In questa prospettiva, la Corte ha rammentato che, poiché il lavoratore deve essere considerato la parte debole nel rapporto, l’onere di assicurare l’esercizio effettivo del diritto alle ferie annuali retribuite non dovrebbe essere interamente posto a carico di tale parte. In tal caso, infatti, si offrirebbe al datore di lavoro la possibilità di andare esente dai propri obblighi, invocando la mancata presentazione della richiesta di ferie annuali retribuite da parte del lavoratore.

Secondo la Corte, non si può ammettere, con il pretesto di garantire la certezza del diritto, che il datore di lavoro possa far valere il proprio inadempimento, non avendo posto il lavoratore in condizione di esercitare effettivamente il diritto alle ferie annuali retribuite, per trarne poi beneficio, eccependo la prescrizione del medesimo diritto.

E tale circostanza equivarrebbe a legittimare un comportamento che causerebbe un arricchimento illegittimo del datore di lavoro a danno dell’obiettivo stesso del rispetto della salute del lavoratore di cui all'articolo 31, paragrafo 2, della Carta.

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Maria Santina Panarella
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