È ritorsivo il licenziamento intimato al giornalista che rivendica la natura subordinata del rapporto di lavoro

Il licenziamento che interviene pochi giorni dopo la richiesta del giornalista di regolarizzare il rapporto di lavoro è ritorsivo. Questa è la conclusione confermata dalla Corte di Cassazione in una recente sentenza (Cass. n. 20530 del 27 giugno 2022).

Dopo aver lavorato per un quotidiano per alcuni anni sulla base di contratti di collaborazione autonoma e di aver rivendicato in via stragiudiziale la natura subordinata del rapporto nonché il proprio diritto all’inquadramento di redattore, il lavoratore aveva ricevuto la comunicazione di recesso dal contratto senza alcuna motivazione.

Il Tribunale aveva riconosciuto la natura subordinata del rapporto ed aveva ritenuto il licenziamento illegittimo per difetto di motivazione.

La Corte d’Appello, invece, premessa comunque la natura subordinata del rapporto, aveva qualificato il recesso, oltre che illegittimo per mancanza delle dovute formalità, anche ritorsivo in quanto causalmente riferibile ad un motivo illecito determinante, costituito dalla reazione della società alla richiesta del giornalista di regolarizzare il rapporto di lavoro, negando, nel frattempo, la sussistenza del presunto giustificato motivo oggettivo.

La società ha proposto ricorso per cassazione, censurando, in particolare, la sentenza di secondo grado per aver la Corte ritenuto che, in base al solo elemento della sequenza temporale tra rivendicazione della prestazione di lavoro dipendente e la risoluzione del rapporto di collaborazione, potesse ritenersi sussistente l’unico motivo – ritorsivo – di licenziamento, e per non aver ritenuto lo stesso fondato su un giustificato motivo oggettivo. Tale censura è stata ritenuta infondata.

In relazione al ragionamento presuntivo, la Corte ha richiamato il proprio orientamento secondo il quale, con riferimento agli artt. 2727 e 2729 c.c., spetta al giudice di merito valutare l’opportunità di fare ricorso alle presunzioni semplici, individuare i fatti da porre a fondamento del relativo processo logico e valutarne la rispondenza ai requisiti di legge, mediante un apprezzamento di fatto che, ove adeguatamente motivato, sfugge al sindacato di legittimità (cfr. tra le altre, Cass. n. 22366/2021).

Nel caso affrontato nella pronuncia in esame, secondo la Suprema Corte, il ragionamento presuntivo alla base del ritenuto motivo ritorsivo del recesso si fonda sul rilievo che la reazione della società è intervenuta a distanza di soli sei giorni dalla ricezione della lettera con cui il lavoratore aveva rivendicato la natura subordinata del rapporto. Tale circostanza, secondo la Cassazione, è sufficiente, unitamente alla mancanza di una qualsiasi ragione lecita del licenziamento, a sorreggere le conclusioni alle quali sono pervenuti i giudici di merito.

Anche la doglianza attinente alla invocata sussistenza del dedotto giustificato motivo oggettivo è stata ritenuta infondata.

Secondo la Suprema Corte, il Giudice di secondo grado ha rilevato che la pur dimostrata crisi aziendale e la trasformazione organizzativa della società, peraltro risalente ad epoca di anni anteriore al recesso, non consentissero di ritenere provata la necessaria relazione causale tra la situazione organizzativa adottata in ragione della crisi e il recesso dal rapporto (soppressione del posto), risultando, al contrario, che la società aveva fronteggiato la crisi con il ricorso a strumenti conservativi dei rapporti di lavoro.

Il ricorso è stato così rigettato.

Per un approfondimento sulla fattispecie del licenziamento ritorsivo si segnala Quando il licenziamento può dirsi ritorsivo?

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Maria Santina Panarella
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