Il Giudice dell’appello può disporre con ordinanza non impugnabile che l’esecuzione (e non anche l’efficacia esecutiva) di sentenze favorevoli al lavoratore sia sospesa quando possa derivare all’altra parte, ovvero al datore di lavoro, un “gravissimo danno”. E’ questa la previsione dell’art. 431 comma 3 c.p.c., mentre il successivo 4° co. prevede l’ipotesi di una sospensione parziale dell’esecuzione, in relazione al danno minacciato.
Proprio con riferimento a quest’ultima ipotesi, si segnala una recente ordinanza della Corte d’Appello di Roma (resa in data 9 aprile 2021).
Chiamata a pronunciarsi su una istanza di inibitoria proposta da un’Azienda contro una sentenza del Tribunale che, accertata la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato, aveva condannato il datore di lavoro al pagamento di cospicui importi in favore della ricorrente, la Corte ha ravvisato il “gravissimo danno” nel rischio di mancato recupero all’esito della riforma della sentenza esecutiva.
In particolare, la Corte ha ritenuto sussistere detto presupposto “sul piano patrimoniale - nell’ingiustificato squilibrio tra i vantaggi che l’esecuzione arreca ad una parte del processo ed il pregiudizio che potrebbe derivare dal sacrificio economico imposta all’altra”; ha rilevato poi che “nel merito la richiesta si appalesa solo in parte meritevole di accoglimento, giacché sotto il su evidenziato profilo, sussistono ad avviso della Corte i gravi motivi che giustificano in parte l’invocato provvedimento di sospensione, tenuto conto dell’entità dei crediti presso terzi sottoposti a pignoramento (che superano l’importo di € 400.000,00) rispetto al bene della vita conseguito e ancora da conseguire da parte dell’odierna appellata; ritenuto, per altro verso, (che) è concreto (il) pericolo di non recuperare la somma, in caso di riforma della sentenza, tenuto conto della consistenza patrimoniale della predetta appellata; che pertanto, … appare opportuno sospendere parzialmente l’esecuzione, in modo da realizzare un giusto equilibrio fra i contrapposti interessi delle parti”; per questi motivi, la Corte ha ritenuto di sospendere l’esecuzione della sentenza impugnata per la parte eccedente il credito complessivo di € 100.000,00.
Con la pronuncia in esame, la Corte territoriale si è sostanzialmente discostata da quell’orientamento secondo il quale il “gravissimo danno” dovrebbe identificarsi sostanzialmente con una sorta di “rovina economica” (danno irreparabile) del datore di lavoro - ciò che circoscrive l’applicabilità dell’istanza ad ipotesi davvero di scuola - ma ha lasciato spazio ad una interpretazione più coerente che tenga conto della “valutazione dei contrapposti interessi” delle parti.
Il “gravissimo danno” cui è condizionata la sospensione dell’esecuzione della sentenza, è stato infatti inteso, dalla giurisprudenza prevalente, in senso molto restrittivo ed è stato concretamente ravvisato in situazioni davvero limitate che comportino la seria compromissione dello svolgimento dell’attività dell’impresa (a titolo esemplificativo, Corte appello Roma, 17 dicembre 2001, aveva ritenuto che tale presupposto si verificasse nel caso in cui il datore di lavoro corresse il rischio di proseguire la propria attività di impresa a causa dell’esecuzione, ad esempio attraverso il pignoramento dei beni strumentali dell’azienda).
Nella specie, la Corte d’Appello di Roma ha dunque valutato la consistenza patrimoniale del lavoratore ed ha ridotto l’ammontare dell’esborso da parte del datore di lavoro, nel limite della recuperabilità, così ritenendo realizzato un giusto equilibrio tra l’interesse del lavoratore alla riscossione immediata del credito maturato nei confronti del datore e l’interesse di quest’ultimo a contenere appunto in un ambito di recuperabilità il pagamento del proprio debito.