Se il lavoratore malato non risponde alla visita medica perché è sotto la doccia l’assenza è giustificata

Maria Santina Panarella
23 Settembre 2022

Questa è, nella sostanza, la conclusione alla quale è pervenuta la Corte di Cassazione in una recente pronuncia (ordinanza n. 22484 del 18 luglio 2022).

Il Tribunale e la Corte territoriale avevano annullato la sanzione disciplinare irrogata ad un lavoratore che, assente per malattia, al momento della visita di controllo, trovandosi sotto la doccia, non aveva sentito suonare il campanello, impedendo così l’accesso del medico nella propria abitazione.

Anche alla luce del fatto che il lavoratore si era immediatamente attivato, la Corte d’appello aveva ritenuto che, in relazione alle circostanze del caso concreto, dovesse essere esclusa la rilevanza disciplinare della condotta, non risultando violati gli obblighi di esecuzione del contratto secondo buona fede, imposti dall’art. 2104 e 2016 c.c.

Il datore di lavoro ha così proposto ricorso per cassazione, sostenendo che la Corte d’appello avesse errato nel valorizzare il comportamento successivo tenuto dal lavoratore, atteso che il mancato rispetto della reperibilità costituirebbe inadempimento contrattuale sanzionabile in sé e che il lavoratore sarebbe tenuto ad astenersi da condotte che impediscono l’accesso al medico della struttura pubblica.

La Cassazione ha reputato infondato il ricorso.

Per cominciare, la Corte ha ribadito che la procedura prevista dall’art. 5 della l. n. 638/83 (che, come è noto, sanziona l’eventuale violazione dell’obbligo di permanenza nel domicilio durante le c.d. fasce di reperibilità con la perdita in tutto o in parte del trattamento economico per la malattia) attiene al rapporto assicurativo e travalica l’ambito interno del rapporto di lavoro al quale la contrattazione collettiva può riconoscere, in aggiunta, la facoltà di infliggere sanzioni disciplinari.

Già in passato la Suprema Corte aveva affermato che, alla sanzione – amministrativa – di decadenza dal trattamento economico, può aggiungersi una di carattere punitivo, espressione del potere disciplinare del datore di lavoro, nel caso in cui la condotta del dipendente integri anche violazione di obblighi derivanti dal contratto di lavoro (cfr., in questo senso, tra le altre, Cass. n. 9709/2000 e Cass. n. 24681/2016).

Ne consegue che non tutte le condotte che rilevano nei rapporti con l’istituto previdenziale e che possono determinare decadenza dal beneficio comportano anche una responsabilità disciplinare perché, per quest’ultima, è necessario comunque accertare il rispetto delle condizioni richieste, sul piano sostanziale, dall’art. 2106 c.c. e, sul piano formale, dall’art. 7 della l. 300/1970.

Nel caso affrontato, il CCNL inseriva tra le condotte di rilievo disciplinare l’assenza alla visita domiciliare di controllo che, secondo la Corte, non è concettualmente coincidente con il tenere una condotta, all’interno delle pareti domestiche, che si riveli di ostacolo all’accesso del medico competente. Quest’ultima potrebbe essere equiparata al mancato rispetto delle fasce di reperibilità nei rapporti con l’istituto previdenziale non già ai fini disciplinari, per i quali, oltre a venire in rilievo il principio di legalità e quello di proporzionalità, occorre accertare che la condotta, in concreto, valutata in tutti i suoi profili oggettivi e soggettivi, integri una violazione degli obblighi scaturenti dal rapporto di lavoro.

Orbene, secondo la Corte, il giudice di merito non si sarebbe discostato da tali principi: infatti, dopo aver accertato che il lavoratore era presente all’interno delle pareti domestiche, per escludere che la condotta dallo stesso tenuta fosse stata contraria agli obblighi di diligenza, correttezza e buona fede, la Corte territoriale ha correttamente valutato tutte le circostanze del caso concreto, compresa l’immediata attivazione del lavoratore una volta avuta contezza di quanto accaduto.

La Suprema Corte ha così concluso nel senso che l’obbligo di cooperazione che grava sul lavoratore in malattia, pur rilevando anche sul piano contrattuale del rapporto di lavoro, non può essere esteso “fino a ricomprendere il divieto per il lavoratore di astenersi dal compiere qualsiasi atto del vivere quotidiano, normalmente compiuto all’interno delle pareti domestiche”.

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