L’illecito endofamiliare da violazione dell’obbligo del genitore naturale di concorrere al mantenimento del figlio

Nel caso di inadempimento all’obbligo di mantenere, istruire ed educare il figlio, il disinteresse mostrato nei confronti di quest’ultimo, oltre ad integrare una grave violazione dei doveri di cura e assistenza morale, provoca, inevitabilmente, una grave lesione dei diritti del figlio nascenti dal rapporto di filiazione.

Questo è vero a prescindere dal fatto che l’altro genitore lo abbia riconosciuto alla nascita, provvedendo, poi, in via esclusiva al suo mantenimento, restando fermo comunque il dovere dell’altro genitore, anche per il periodo che precede la sentenza dichiarativa della paternità, di ottemperare ai propri doveri.

Una recentissima ordinanza della Corte di Cassazione (n. 15148 del 12 maggio 2022), nel solco del proprio, consolidato, orientamento, ha rammentato quali siano i tratti caratteristici dell’illecito endofamiliare da violazione di obblighi genitoriali.

Ecco, allora, che viene ricordato che l’obbligo del genitore naturale di concorrere al mantenimento del figlio sorge al momento della nascita, anche se la procreazione sia stata successivamente accertata con sentenza (in questo senso, tra le molte altre, Cass. 22 novembre 2013, n. 26205, Cass. 10 aprile 2012, n. 5652; Cass., 20 dicembre 2011, n. 27653; Cass. 3 novembre 2006, n. 23596), producendo la sentenza dichiarativa della filiazione naturale gli effetti del riconoscimento e comportando per il genitore, ai sensi dell’art. 261 c.c., tutti i doveri propri della procreazione legittima, incluso quello del mantenimento ai sensi dell’art. 148 c.c.

Difatti, l’obbligazione in esame trova la propria ragione giustificatrice nello status di genitore, la cui efficacia retroattiva risale, appunto, al momento della nascita del figlio.

In altre parole, l’obbligo dei genitori di mantenere i figli (previsto dagli artt. 147 e 148 c.c.) sussiste per il solo fatto di averli generati e prescinde da qualsiasi domanda giudiziale.

Ne consegue che, come si è sopra accennato, anche nell’ipotesi in cui, al momento della nascita, il figlio sia stato riconosciuto da uno solo dei genitori, tenuto perciò a provvedere per intero al mantenimento, non viene meno l’obbligo dell’altro genitore per il periodo anteriore alla pronuncia della dichiarazione giudiziale di paternità o maternità naturale, proprio perché il diritto del figlio naturale ad essere mantenuto, istruito ed educato, nei confronti di entrambi i genitori, è sorto fin dalla sua nascita.

Nella recente ordinanza citata, la Suprema Corte ha richiamato il proprio orientamento, ribadendo che la violazione dei doveri del genitore non trova la sua sanzione, necessariamente, e soltanto, nelle misure tipiche previste dal diritto di famiglia, ma, nell’ipotesi in cui provochi la lesione di diritti costituzionalmente protetti, può integrare gli estremi dell’illecito civile e dare luogo ad un’autonoma azione volta al risarcimento dei danni non patrimoniali, ai sensi dell’art. 2059 c.c.

Nel caso affrontato, secondo la Cassazione, la Corte territoriale aveva correttamente applicato tali principi. In particolare, all’esito dell’esame del materiale probatorio acquisito, accertato che il ricorrente aveva omesso di onorare i propri doveri di genitore, la Corte di merito aveva correttamente ritenuto sussistente il danno lamentato dal figlio e risarcibile il relativo pregiudizio, in conseguenza della lesione di diritti inviolabili (o fondamentali) della persona, oggetto di tutela costituzionale (artt. 2 e 30 Cost.).

Ne I fratelli Karamozov Fëdor Dostoevskij diceva che colui che genera non è ancora un padre, e che un padre è colui che genera un figlio e se ne rende degno.

Per il nostro ordinamento non è così: ai fini degli obblighi di mantenimento, un padre è (già) colui che genera. Se poi viola quei doveri posti a tutela dei figli, la sua condotta, oltre a dimostrare di non esserne degno, potrà costituire (anche) un illecito civile.

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Maria Santina Panarella
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