La sorte del mutuo fondiario in violazione dei limiti di finanziabilità richiamati dall’art. 38 del Testo Unico Bancario.

Camilla Maranzano
25 Febbraio 2022

Con l’ordinanza del 9 febbraio 2022, n. 4117 la Corte di Cassazione ha rimesso gli atti al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite della questione riguardante la sorte del mutuo fondiario concesso in violazione dei limiti di finanziabilità richiamati dall’art. 38, co. 2, del d.lgs. n. 385/1993 (t.u.b.).

Nel ripercorrere il dibattito giurisprudenziale nato intorno alla questione, l’ordinanza interlocutoria ha ricordato che, in un primo momento, la giurisprudenza si era orientata nel senso che la sanzione della nullità prevista dall’art. 117 t.u.b. non potesse essere applicata nel caso di violazione dei limiti di finanziabilità del mutuo previsti dall’art. 38, co. 2, t.u.b. (v. in tal senso le sentenze ‘gemelle’ Cass. 26672/2013 e 27380/2013: "il D.Lgs. 1 settembre 1993, n. 385, art. 38, che, a tutela del sistema bancario, attribuisce alla Banca d'Italia il potere di determinare l'ammontare massimo dei finanziamenti, attiene ad un elemento necessario del contratto concordato fra le parti, qual è l'oggetto negoziale, e, pertanto, non rientra nell'ambito della previsione di cui all'art. 117 del medesimo decreto,il quale attribuisce, invece, all'istituto di vigilanza un potere "conformativo" o "tipizzatorio" del contenuto del contratto, prevedendo clausole-tipo da inserire nel regolamento negoziale a tutela del contraente debole; ne deriva che il superamento del limite di finanziabilità non cagiona alcuna nullità, neppure relativa, del contratto di mutuo fondiario" (nello stesso senso Cass. 04/11/2015, n. 22446)”).

Secondo l’indirizzo in esame l’art. 38 del t.u.b., collocandosi a tutela del sistema bancario ed avendo lo scopo di evitare che gli istituti di credito assumano esposizioni eccessive senza adeguate garanzie, costituirebbe una norma di buona condotta (non una norma-atto), la cui violazione può determinare solo l’irrogazione delle sanzioni previste dall’ordinamento ovvero essere fonte di responsabilità.

Successivamente la giurisprudenza ha mutato il proprio orientamento ritenendo che al superamento dei limiti di finanziabilità debba necessariamente conseguire la nullità del mutuo fondiario ferma la possibilità, ove ne sussistano i presupposti, di convertire il mutuo fondiario in un ordinario finanziamento ipotecario (v. Cass. 13/7/2017, n. 17352, “In tema di mutuo fondiario, il limite di finanziabilità del D.Lgs. n. 385 del 1993, ex art. 38, comma 2, è elemento essenziale del contenuto del contratto ed il suo mancato rispetto determina la nullità del contratto stesso (con possibilità, tuttavia, di conversione in ordinario finanziamento ipotecario ove ne sussistano i relativi presupposti, su istanza della banca nel primo momento utile successivo alla rilevazione della nullità), e costituisce un limite inderogabile all'autonomia privata in ragione della natura pubblica dell'interesse tutelato, volto a regolare il "quantum" della prestazione creditizia al fine di favorire la mobilizzazione della proprietà immobiliare ed agevolare e sostenere l'attività di impresa”.

La sentenza citata, se, da una parte, ha riaffermato, in linea con le sentenze ‘gemelle’, la non riconducibilità della previsione dell’art. 38 alle nullità testuali previste dall’art. 117 t.u.b., dall’altra, non ha condiviso la restante parte del percorso argomentativo, avendo individuato nella nullità virtuale - in ragione della natura pubblicistica dell’interesse economico nazionale tutelato - la sanzione da comminare al contratto di mutuo nel caso del superamento dei limiti di finanziabilità.

La sanzione della nullità sarebbe conforme all’insegnamento delle Sezioni Unite (Cass. S.U. nn. 26724 e 26725 del 2007), secondo cui “la violazione di una norma imperativa determina la nullità ogni volta che si ripercuote sulla regola negoziale e dunque sia ravvisabile un contrasto tra la norma violata ed il regolamento d'interessi sotteso al negozio”.

Il superamento del limite di finanziabilità di cui all’art. 38 t.u.b. non potrebbe configurare la violazione di una norma-comportamento in quanto, concernendo un elemento relativo alla struttura negoziale (il contenuto), quale la determinazione del "quantum" della prestazione creditizia, incide direttamente sulla fattispecie. La predetta violazione non è correlabile all'area né delle condotte poste in essere in fase pre-negoziale, né di quelle poste in essere nella fase attuativa.

Nonostante l’orientamento inaugurato con la sentenza del 2017 (Cass. n. 17352/2017) si sia ampiamento consolidato nella giurisprudenza successiva (v. ex multis Cass. nn. 19016/2017; 6586/2018; 11201/2018, 13286/2018, 22466/2018, 29745/2018, 17439/2019, 1193/2020), con l’ordinanza interlocutoria in commento la Cassazione ha ritenuto di dover rimettere all’attenzione delle Sezioni Unite alcuni aspetti, posti a fondamento del richiamato orientamento giurisprudenziale.

La Cassazione, in sede di rimessione, si è chiesta, e ciò costituisce il primo nodo problematico, “se nel caso in esame possa realmente configurarsi la nullità di cui all' art 1419 c.c., comma 1, in ragione del riscontro dell'effettivo carattere imperativo della norma violata”.

Secondo l'orientamento prevalente (inaugurato da Cass. 17352/2017), il carattere imperativo può desumersi dalla natura pubblicistica dell'interesse sotteso all’art. 38, co. 2, t.u.b., essendo ispirato ad obiettivi economici generali “attesa la ripercussione che tale tipologia di finanziamenti possono avere sull’economia nazionale”.

Nell’ordinanza interlocutoria, nella prospettiva di una possibile rimeditazione del predetto ragionamento, è stato evidenziato come, d’altra parte, si potrebbe sostenere che la disposizione violata non è costituita da una fonte normativa primaria, quale è certamente l'art. 38, ma da una fonte subordinata, da ravvisarsi nel provvedimento della Banca d'Italia (“Ora, se è vero che il compito istituzionale dall'Autorità di vigilanza è quello di garantire la trasparenza e correttezza dei comportamenti degli istituti di credito, ciò, forse, non è sufficiente per ritenere che ci si trovi al cospetto di un interesse di carattere generale, diretto cioè al perseguimento di obiettivi economici collegati all'economia nazionale” ).

Occorre accertare – continua la Corte - “se le regole prescritte dalla Banca d'Italia, in esecuzione della delega ricevuta dal legislatore, mirino di per sé a garantire il pubblico interesse; oppure mirino esclusivamente ad evitare, come ritenuto dalle sentenze "gemelle" del 2013, che l'istituto di credito assuma un'esposizione finanziaria senza un'adeguata contropartita e garanzia (facendosi riferimento all'art. 38, come norma "volta ad impedire che le banche si espongano oltre un limite di ragionevolezza a finanziamenti a favore di terzi che, se non adeguatamente garantiti, potrebbero portare a possibili perdite di esercizio"); oppure se, ancora, quest'ultimo scopo non sia, addirittura, esso stesso un interesse che, sebbene volto a tutelare in apparenza la posizione di uno solo dei contraenti, indirettamente miri a realizzare una finalità di carattere generale”.

L’interesse alla correttezza del comportamento delle banche, pur avendo innegabili riflessi sul buon funzionamento dell'intero mercato, potrebbe non essere sufficiente a far scattare la nullità virtuale, posto che, a tutela del predetto interesse, sono stati già predisposti precipui poteri di controllo e sanzionatori in capo all'autorità pubblica di vigilanza.

Come ricordato in precedenza, secondo l’orientamento prevalente (Cass. 17352/2017), la violazione dell'art. 38, riguardando la disposizione un elemento strutturale della fattispecie, darebbe luogo a nullità virtuale per violazione di norme imperative.

Anche in relazione a tale punto, la Corte suggerisce una più approfondita riflessione.

Da tale angolazione l’art. 38 t.u.b. “pur conferendo alla Banca d'Italia il potere di determinare la percentuale massima del finanziamento, che costituisce indubbiamente l'oggetto del contratto, non interferisce però sul contenuto del contratto "per aggiunta", cioè prevedendo un ulteriore elemento costitutivo della fattispecie contrattuale, ma solo "per specificazione", imponendo che un elemento intrinseco già presente nel contratto (cioè il suo oggetto) possegga una determinata caratteristica di tipo quantitativo, restando però del tutto invariata la struttura della fattispecie nei suoi fondamentali elementi tipizzati.

Riprendendo il percorso argomentativo svolto dalle sopra richiamate sentenze ‘gemelle’, la Corte ricorda che la previsione della soglia dell'80% non va ad incidere sul sinallagma contrattuale, ma si limita a disciplinare, attraverso una regola di buona condotta, il comportamento della banca in vista della tutela della sua stabilità patrimoniale.

Un altro aspetto su cui riflettere riguarda, infine, le conseguenze che l'applicazione della sanzione della nullità produce sugli interessi in gioco.

A tal proposito, la Corte richiama quanto affermato dalle sentenze "gemelle" del 2013, secondo cui “far discendere dalla violazione della soglia la conseguenza della nullità del mutuo ormai erogato (e far venir meno la connessa garanzia ipotecaria), condurrebbe al paradossale risultato di pregiudicare, ancor più, proprio quel valore della stabilità patrimoniale della banca che la norma intendeva proteggere”.

La nullità del mutuo sarebbe invece l’unica sanzione possibile per coloro che, valorizzandone il carattere imperativo, sostengono che l’art. 38 non sia una norma volta alla tutela della stabilità della singola banca, ma sia invece diretta a proteggere un interesse pubblico economico nazionale.

D’altra parte, obietta la Corte, non è rilevabile dal contratto il mancato rispetto del limite di finanziabilità del mutuo.

La verifica del reale valore del cespite può avvenire solo attraverso valutazioni estimatorie spesso ricavabili all'esito dell'espletamento di una consulenza tecnica svolta in corso di causa.

Il rispetto del limite di finanziabilità comporta “un oggettivo riscontro fattuale”  e non pone dunque una questione di validità delle dichiarazioni negoziali (v. sul punto, nello stesso senso, quanto detto da Cass. 19/11/2018, n. 29745, secondo cui “l'indicazione nel contratto di mutuo fondiario del valore del bene offerto in garanzia non assurge a requisito di forma prescritto "ad substantiam", non essendo previsto come tale dalla disciplina specifica di cui agli artt. 38 e 117 T.U.B. e non rientrando nell'ambito delle "condizioni" contrattuali di carattere economico. Ne consegue che la sua omissione non impedisce l'applicabilità del limite di finanziabilità, che è requisito di sostanza del contratto”).

L’effettivo rispetto del limite di finanziabilità non pone dunque una questione di validità delle dichiarazioni negoziali, ma di "oggettivo riscontro fattuale", ne deriva che l'indicazione del valore dell'immobile nel contratto non ha valore costitutivo.

Secondo la Corte di Cassazione la sanzione della nullità, posto che il rispetto del limite di finanziabilità è demandato ad un accertamento tecnico, “potrebbe apparire sproporzionata se ed in quanto fondata sulla verifica di valori di mercato che presentano un certo margine di opinabilità (destinato inevitabilmente ad accrescersi se, come accade nella maggioranza dei casi, l'indagine demandata al ctu viene svolta a distanza di anni dalla data di stipulazione del contratto). Tanto più che nessuna delle parti potrebbe fare affidamento sulla stabilità e soprattutto sulla validità ab origine del contratto stipulato, essendo ben possibile che il valore immobiliare, sia pure oggetto di iniziale perizia estimativa, sia stato inconsapevolmente sopravvalutato”.

Sanzionare il mutuo con la nullità determinerebbe un vantaggio obiettivamente sproporzionato per il mutuatario il quale realizzerebbe la completa liberazione dell’immobile dall'ipoteca.

Inoltre, nel caso di esecuzione individuale promossa dall'istituto di credito mutuante, la nullità darebbe luogo all’estinzione della procedura per il venir meno del titolo esecutivo, anche in danno degli eventuali creditori intervenuti non muniti di titolo.

Anomalie si verificherebbero anche nel caso di apertura di una procedura concorsuale, perché l'interesse dei creditori al rispetto della par condicio verrebbe ad essere protetto attraverso una sanzione di nullità dell'intero contratto derivante unicamente dall'illegittima costituzione della garanzia fondiaria, anziché essere tutelato con lo strumento della revocatoria.

In conclusione, la Corte, nell’ordinanza interlocutoria suggerisce di verificare se la tutela degli interessi in gioco non sia più efficacemente presidiata attraverso un’operazione che si limiti a risolvere la questione attraverso l’utilizzo di una semplice tecnica di natura qualificatoria, senza utilizzare la sanzione della nullità.

La conversione del contratto nullo presenta delle problematiche di non poco conto, in quanto, richiedendo l’ignoranza di entrambe le parti circa l’invalidità del contratto, risulta di difficile utilizzo. Inoltre, sotto il profilo processuale, richiede che l’istanza venga formulata nella prima difesa utile successiva al rilievo della nullità.

In ultima analisi, la soluzione alternativa, ipotizzata dalla Corte nell’ordinanza interlocutoria, sarebbe quella di riqualificare il contratto “alla stregua di un mutuo ipotecario ordinario, prescindendo dal nomen iuris adoperato dalle parti e sterilizzandolo delle tutele speciali previste dalla legge, in favore del mutuante, per i finanziamenti fondiari… In tal modo il rispetto del c.d. scarto di garanzia finirebbe per incidere non sul piano della validità del contratto, ma unicamente sulla possibilità di applicare, al programma negoziale posto in essere dalle parti, le peculiari conseguenze ricollegate dalla legge al finanziamento fondiario e dunque sulla possibilità per l'istituto di godere della relativa disciplina di favore”.

La parola alle Sezioni Unite…

Per leggere il testo dell’ordinanza integrale clicca qui:https://www.cortedicassazione.it/cassazione-resources/resources/cms/documents/4117_02_2022_no-index.pdf

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