La lesione del diritto di autodeterminarsi nel caso di colpevole ritardo nella diagnosi di patologie terminali

Maria Santina Panarella
24 Settembre 2025

In caso di colpevole ritardo nella diagnosi di patologie ad esito infausto, l'area dei danni risarcibili non si esaurisce nel pregiudizio recato alla integrità fisica del paziente, né nella perdita di chance di guarigione, ma include la perdita di un ventaglio di opzioni con le quali scegliere come affrontare l'ultimo tratto del proprio percorso di vita, che determina la lesione di un bene reale, certo - sul piano sostanziale - ed effettivo, apprezzabile con immediatezza, qual è il diritto di determinarsi liberamente nella scelta dei propri percorsi esistenziali; in tale prospettiva, il diritto di autodeterminarsi riceve positivo riconoscimento e protezione non solo mediante il ricorso a trattamenti lenitivi degli effetti di patologie non più reversibili, ovvero, all'opposto, mediante la predeterminazione di un percorso che porti a contenerne la durata, ma anche attraverso la mera accettazione della propria condizione.

Questo è quanto ha sottolineato la Suprema Corte in una recente pronuncia in ambito di responsabilità medica (ordinanza del 17 settembre 2025, n. 25480).

Come ricorda la Corte, in tema di danno alla persona, conseguente a responsabilità medica, integra l'esistenza di un danno risarcibile alla persona l'omissione della diagnosi di un processo morboso terminale, in quanto essa nega al paziente, oltre che di essere messo nelle condizioni di scegliere cosa fare, nell'ambito di ciò che la scienza medica suggerisce per garantire la fruizione della salute residua fino all'esito infausto, anche di essere messo in condizione di programmare il suo essere persona e, quindi, in senso lato, l'esplicazione delle sue attitudini psico-fisiche, in vista e fino a quell'esito.

In altre parole, la violazione del diritto di determinarsi liberamente nella scelta dei propri percorsi esistenziali, determinata dal colpevole ritardo diagnostico di una patologia ad esito certamente infausto, non coincide con la perdita di chances connesse allo svolgimento di specifiche scelte di vita non potute compiere, ma con la lesione di un bene di per sé autonomamente apprezzabile sul piano sostanziale, tale da non richiedere l'assolvimento di alcun ulteriore onere di allegazione argomentativa o probatoria, potendo giustificare una condanna al risarcimento del danno sulla base di una liquidazione equitativa.

Nel caso affrontato dalla Corte nella pronuncia citata, la ricorrente aveva chiesto la condanna dei sanitari e della struttura ospedaliera al risarcimento dei danni subiti a causa del decesso del proprio coniuge determinato dalla mancata comunicazione del referto di una indagine strumentale dal quale sarebbe stato possibile rendersi conto dell'esistenza di un tumore maligno in stadio meno avanzato di quello che aveva ormai assunto alla successiva scoperta oltre un anno e mezzo dopo.

In primo grado la domanda era stata accolta. La Corte territoriale aveva invece rigettato la pretesa, ritenendo che fosse configurabile un danno da perdita di chance; secondo i giudici d’appello, l'errore dei sanitari non aveva cagionato la morte, ma solo privato il defunto della possibilità (apprezzabile) di guarire dal tumore, mentre la domanda risarcitoria era riferita solo ad un preteso danno alla salute, non apprezzabile, nella specie, come conseguenza dell'operato dei medici.

Sulla base di un interessante approfondimento dei principi in tema di danno da perdita di chance, la Cassazione ha affermato che la fattispecie concreta così come ricostruita dalla sentenza di appello era chiaramente nel senso che ad essere stata perduta in conseguenza dell'omessa (comunicazione della) diagnosi fosse la sopravvivenza (per un maggior numero di anni) e non la mera chance di essa. Premesso che la chance, “per definizione, sfugge ad una misurazione attraverso il calcolo delle probabilità”, il c.t.u. (e poi la Corte territoriale), “nell'affermare che l'omessa refertazione ha comportato la perdita di una possibilità di sopravvivenza stimata in una percentuale non inferiore al 50% non ha affatto evidenziato una "insuperabile incertezza" in ordine all'evento di danno ma ha piuttosto evidenziato l'esistenza - più probabile che non, in quanto stimabile in una percentuale tra il 50% e l'80% (secondo la ricostruzione del c.t.u. che la Corte d'Appello ha affermato espressamente di condividere) - di un nesso causale tra quella omissione e l'evento di danno (perdita anticipata della vita)”.

La stima percentuale non esprime affatto l'incertezza dell'evento di danno ma ben diversamente un giudizio causale (in ambito civile, come noto, presieduto dalla regola di funzione della "preponderanza dell'evidenza") che consente di affermare l'esistenza di un nesso causale tra l'omissione e l'evento di danno.

È dunque evidente – secondo la Cassazione - l'error iuris in cui è incorsa la Corte di merito nel porre a fondamento del rigetto delle domande l'assunto che nella specie potesse configurarsi un danno da perdita di chance invece che un danno da perdita anticipata della vita.

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