La Corte Costituzionale si pronuncia sulla questione dei giudici ausiliari d’appello.

Camilla Maranzano
30 Aprile 2021

Con il decreto legge 21 giugno 2013, n. 69, c.d. “Decreto del fare”, il legislatore si era posto l’obiettivo di abbreviare la durata dei procedimenti civili, riducendo l’alto livello del contenzioso civile, anche promuovendo il ricorso a procedure extragiudiziali di risoluzione delle controversie, come ad es. la mediazione, prevista poi quale condizione di procedibilità della domanda giudiziaria.

Tra le altre misure straordinarie per il miglioramento dei livelli quantitativi e qualitativi della giustizia civile, agli artt. 62 e ss. del decreto citato, nel dichiarato intento di ridurre la durata dei giudizi civili innanzi alle corti d’appello, è stata introdotta la figura dei giudici ausiliari d’appello aventi il compito di integrare i collegi e di redigere un certo numero di decisioni per ciascun anno.

Ad 8 anni dall’entrata in vigore del “Decreto del fare”, la Corte Costituzionale, Presidente dott. Coraggio, con la sentenza n. 41/2021 ha dichiarato «l’illegittimità costituzionale degli articoli 62, 63, 64, 65, 66, 67, 68, 69, 70, 71 e 72 del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69 (Disposizioni urgenti per il rilancio dell’economia), convertito, con modificazioni, in legge 9 agosto 2013, n. 98, nella parte in cui non prevedono che essi si applichino fino a quando non sarà completato il riordino del ruolo e delle funzioni della magistratura onoraria nei tempi stabiliti dall’art. 32 del decreto legislativo 13 luglio 2017, n. 116 (Riforma organica della magistratura onoraria e altre disposizioni sui giudici di pace, nonché disciplina transitoria relativa ai magistrati onorari in servizio, a norma della legge 28 aprile 2016, n. 57)».

La questione di costituzionalità è stata sollevata dalla Cassazione con due diverse ordinanze di rimessione (del 9/12/2019 nn. r.o. 84 e 96 del 2020).

Secondo l’autorità rimettente gli articoli da 62 a 72 del d.l. 21/6/2013, n. 69 risultano in contrasto con gli artt. 106, 1° e 2° co., e 102, 1° co., della Costituzione nella parte in cui conferiscono ai giudici ausiliari d’appello lo status di componenti dei collegi delle sezioni della corte d’appello come magistrati onorari.

I due giudizi incidentali sono stati riuniti dalla Corte Costituzionale avendo ad oggetto questioni in massima parte sovrapponibili e oggettivamente connesse.

I dubbi di legittimità costituzionale, sollevati dal giudice a quo, si fondano sul fatto che le norme censurate prevedono nel complesso l’attribuzione a un magistrato onorario, quale ausiliario di corte d’appello, delle funzioni di giudice collegiale, in luogo di quelle di “giudice singolo”, le sole consentite dall’art. 106, co. 2, Cost. che stabilisce invece che i giudici onorari possano essere nominati solo «per tutte le funzioni attribuite a giudici singoli».

In esito alla riforma operata con il decreto del fare, il giudice ausiliario di corte d’appello è stato incardinato presso un ufficio giudiziario collegiale, all’interno del quale esercita funzioni giurisdizionali, con almeno 90 procedimenti civili per anno, senza la previsione di alcun limite, di materia e di valore, nell’assegnazione dei procedimenti.

Tale stabile destinazione dei giudici ausiliari alla composizione dei collegi nelle corti d’appello, uffici presso i quali gli stessi sono stati istituiti in piante organiche ad esaurimento, secondo l’autorità rimettente, si porrebbe in contrasto con la prevalente giurisprudenza costituzionale che ha invece ritenuto legittima la partecipazione di giudici onorari ai collegi esclusivamente in via temporanea o a fronte di circostanze di carattere eccezionale.

Il dubbio di costituzionalità delle norme censurate è sorto anche in riferimento agli artt. 106, co. 1, e 102, co. 1, cost. dai quali si evince «un’ineludibile scelta del costituente per l’affidamento in via generale dell’esercizio della giurisdizione ai magistrati professionali togati». 

Nella sentenza n. 41/2021 la Corte Costituzionale ha ritenuto fondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate con riferimento all’art. 106, 1 e 2 co., Cost., ritenendo assorbite le altre relative alla violazione dell’art. 102, comma 1°, Cost.

La regola stabilita al primo comma dell’art. 106 Cost., in forza della quale le nomine dei magistrati abbiano luogo per concorso pubblico, è espressione di una precisa scelta dei padri costituenti, basata sul fatto che solo il reclutamento dei magistrati mediante concorso pubblico può garantire l’autonomia e l’indipendenza dell’ordine giudiziario da ogni altro potere (art. 104, 1° co., Cost.), nonché la soggezione del giudice solo alla legge (art. 101, comma 2°, Cost.).

Il concorso pubblico consente, inoltre, l’accesso alla magistratura ordinaria a tutti i cittadini senza discriminazione di sorta ed assicura la qualificazione tecnico-professionale dei magistrati.

Al momento della redazione della Costituzione non è stata prevista in termini assoluti l’esclusività dell’esercizio della giurisdizione in capo alla magistratura nominata a seguito di pubblico concorso. Il Costituente ha ammesso al secondo comma dell’art. 106 la possibilità di nominare magistrati onorari per tutte le funzioni attribuite a «giudici singoli».

La scelta è stata di natura conservativa e influenzata dal positivo operare della magistratura onoraria già esistente (il conciliatore e il vice-pretore onorario, figure introdotte dopo l’Unità d’Italia dal regio decreto n. 2626 del 1865) che all’epoca aveva dato un notevole apporto ai giudici togati nello smaltimento di gran parte del contenzioso bagatellare arretrato.

L’eccezione alla regola del pubblico concorso prevista dall’art. 106 Cost. è stata dunque voluta prendendo come riferimento le figure di magistrati onorari esistenti all’epoca, come il giudice conciliatore o il vice-pretore onorario, giudici singoli con funzioni monocratiche di primo grado addetti alla giustizia minore.

In relazione alle funzioni dei magistrati onorari, la Corte Costituzionale già con la sentenza n. 99 del 1964 si era espressa affermando che «le funzioni che possono essere esercitate da magistrati onorari sono quelle del “giudice singolo (pretore e conciliatore)”, così confermando la piana lettura secondo cui il “giudice singolo” è un giudice monocratico di primo grado».

Ha poi precisato che «il riferimento, contenuto nel secondo comma dell’art. 106 Cost., a “tutte le funzioni attribuite a giudici singoli” deve “intendersi come indicazione generica dell’ufficio nel quale i magistrati onorari possono essere ammessi ad esercitare funzioni giudiziarie”. Quindi, se un “giudice singolo”, qual era il pretore, poteva essere chiamato – ricorrendo le condizioni della supplenza di cui all’art. 105 ordin. giud. – a integrare la composizione di un collegio del tribunale, giudice appunto collegiale, ciò poteva legittimamente fare anche un magistrato onorario, quale il vice pretore onorario, trattandosi di “funzioni temporanee ed eccezionali derivanti da un incarico di supplenza”, senza che per questo fosse alterato lo status di quest’ultimo che, anche nell’esercizio di queste funzioni, rimaneva un magistrato onorario. Tale particolarissimo esercizio di funzioni giurisdizionali di giudice collegiale è stato ritenuto compatibile con il parametro evocato, perché rispondente a “esigenze eccezionali dell’amministrazione della giustizia».

In alcuni casi, il giudice onorario dell’epoca poteva svolgere funzioni giurisdizionali in un collegio, ma si trattava di supplenza pur sempre nell’attività collegiale di un giudice di primo grado, quale era il tribunale, e giammai di una corte d’appello o di cassazione.

Per poter essere compatibile con l’art. 106, co. 1, Cost. l’assegnazione ai collegi di tribunale dei magistrati onorari può avvenire solo se precaria ed occasionale, riferita a singole udienze o singoli processi.

Il sistema tracciato dalla giurisprudenza della Corte Costituzionale identifica il magistrato onorario nella figura di un giudice monocratico di primo grado, il quale, a determinate condizioni e in via di supplenza, può anche partecipare allo svolgimento di funzioni collegiali di tribunale e solo di tribunali.

Il d.l. 69/2013, con l’introduzione della figura del giudice ausiliare d’appello, si pone fuori dal sistema delineato in Costituzione assegnando ad un magistrato onorario funzioni attribuite non già a “giudici singoli”, come richiede l’art. 106 Cost., ma tipicamente collegiali e di secondo grado.

Sussiste dunque la denunciata illegittimità costituzionale degli articoli da 62 a 72 del d.l. 69/2013 che delineano la figura dei giudici ausiliari di appello attribuendo loro funzioni non riconducibili a quelle di un giudice singolo.

La Corte Costituzionale, dovendo tener conto dell’impatto complessivo che la decisione di illegittimità costituzionale è destinata ad avere sull’ordinamento giurisdizionale, sul funzionamento delle corti d’appello, considerato il significativo contributo dei giudici ausiliari nello smaltimento del contenzioso arretrato, soprattutto in considerazione del fatto che l’art. 68, co. 2, del d.l. 69/2013 impone loro di definire 90 procedimenti l’anno, nell’intento di bilanciare tutti i valori in gioco, ha modulato gli effetti della declaratoria di illegittimità senza farli retroagire fin dalla data di efficacia delle norme oggetto della pronuncia.

Al fine dunque di evitare un pregiudizio all’amministrazione della giustizia, la Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della normativa censurata «nella parte in cui non prevede che essa si applichi fino al completamento del riordino del ruolo e delle funzioni della magistratura onoraria nei tempi contemplati dal citato art. 32 del d.lgs. n. 116 del 2017, così riconoscendo ad essa – per l’incidenza dei concorrenti valori di rango costituzionale – una temporanea tollerabilità costituzionale, rispetto all’evocato parametro dell’art. 106, primo e secondo comma, Cost.».

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