Il principio di autonomia del ricorso per cassazione al vaglio della Corte Europea dei diritti dell'Uomo

Camilla Maranzano
12 Novembre 2021

Con la sentenza del 28 ottobre 2021 la Corte Europea dei diritti dell’Uomo, prima sezione, nell’affaire Succi et autres c. Italie, ha ritenuto che l’approccio della Corte di Cassazione, al momento di valutare l’ammissibilità del ricorso, quando legato ad un rigido ed eccessivo formalismo nell’applicazione dei criteri di redazione dello stesso, configura una violazione dell’art. 6 § 1 della CEDU, limitando il diritto ad un equo processo per i cittadini.

Con 3 distinti ricorsi (nn. 55064/11, 37781/13 e 26049/2014) alcuni cittadini italiani hanno adito la Corte Europea dei diritti dell’Uomo, invocando la violazione dell’art. 6 § 1 della Convenzione, in seguito alla declaratoria di inammissibilità da parte della Corte di Cassazione dei ricorsi da questi proposti.

Secondo i ricorrenti, la Corte di Cassazione avrebbe respinto i loro ricorsi ingiustamente, avendo applicato in modo eccessivamente formalistico i criteri di redazione dei ricorsi previsti dal codice di procedura civile.

Nello specifico, nel ricorso n. 55064/11, il ricorrente ha lamentato che il principio di autonomia, a cui dovrebbe ispirarsi la redazione del ricorso per cassazione (principio di autosufficienza), all’epoca dei fatti, non era sufficientemente prevedibile, chiaro e coerente.

Tant’è vero che il principio era stato oggetto di un intervento della Corte di Cassazione a Sezioni Unite (sentenza n. 8077/2012) necessitato dall’esigenza di chiarire l’applicazione pratica di tale principio.

Qualche anno dopo la medesima esigenza è stata alla base dell’emanazione del ‘Protocollo d’intesa tra la Corte di Cassazione e il Consiglio Nazionale Forense in merito alle regole redazionali dei motivi di ricorso in materia civile e tributaria’, siglato nel 2015, con l’intento di frenare l’approccio eccessivamente formalistico della Cassazione.

In ultimo, il ricorrente ha censurato l’applicazione che la Corte di Cassazione ha fatto del principio di autonomia, avendolo utilizzato principalmente come un mezzo per limitare l’accesso alla giustizia e ridurre l’arretrato della Corte medesima.

Nella causa n. 37781/13 il ricorrente ha evidenziato il fatto che, nel momento in cui ha presentato il ricorso per cassazione, non esisteva una giurisprudenza su come formulare i quesiti di diritto.

Più in generale, ha lamentato la mancanza di prevedibilità circa l’applicazione dei criteri di redazione del ricorso.

In alcuni casi, i criteri di redazione del ricorso sono stati interpretati dalla giurisprudenza di legittimità in modo ‘flessibile’, limitandosi a chiedere alla parte di presentare tutti gli elementi necessari alla comprensione delle sue allegazioni.

In altri casi, è stata data una lettura ‘più rigorosa’ degli stessi, imponendo un obbligo di trascrizione di ogni documento citato nel ricorso, nonostante il deposito dei documenti nel procedimento di merito.

L’esigenza di chiarire i confini del principio di autonomia ha portato il legislatore ad intervenire con la riforma del 2006 anche al fine di accantonare l’obbligo di trascrizione. L’intervento normativo non è stato però risolutore in quanto parte della giurisprudenza di legittimità ha continuato a richiedere la trascrizione degli atti citati nel ricorso (Cass. nn. 1952/2009; 6397/2010; 10605/2010; 24548/2010; 20028/2011) e ciò anche dopo l’intervento delle Sezioni Unite con la sentenza n. 8077/2012 e il Protocollo del 2015 (Cass. nn. 15634/2013; 7362/2015; 18316/2018).

Il rigetto del ricorso, secondo il ricorrente, visto il quadro giurisprudenziale e normativo testè delineato, è stato sproporzionato in considerazione del fatto che l’obbligo di riprodurre il contenuto di un documento, già incluso nel fascicolo allegato al ricorso e menzionato dal ricorrente, non poteva essere considerato necessario per la corretta amministrazione della giustizia e la certezza del diritto.

Nel lamentare l’eccessivo formalismo nell’applicazione del principio di autonomia, il ricorrente ha concluso sostenendo di essere stato “victime d’une entrave excessive et disproportionnée à son droit d’accès à un tribunal” (vittima di un’interferenza eccesiva e sproporzionata nel suo diritto di accesso ad un tribunale).

Nel ricorso n. 26049/14 il ricorrente ha lamentato che l’eccessivo formalismo abbracciato dalla Cassazione nell’applicazione dei criteri di redazione del ricorso e che trae il suo fondamento da una giurisprudenza di legittimità troppe volte incerta e contradditoria costituisce un rafforzamento dei meccanismi esistenti di limitazione procedurale dell’accesso alla giustizia.

Nello specifico il ricorrente ha ritenuto violato il suo diritto di accesso alla Corte di Cassazione in quanto l’obbligo di redigere una sintesi dei fatti, obbligo imposto dall’art. 366 c.p.c., quando il contenuto dell’obbligo venga determinato con criteri incerti e poco prevedibili, finisce per costituire un filtro e una barriera procedurale al diritto di accesso alla giustizia del cittadino.

L’obiettivo di garantire una durata ragionevole del procedimento civile, secondo il ricorrente, non può tradursi in un ostacolo all’accesso al tribunale e in una limitazione del diritto a un equo processo.

Nella sentenza in commento la Corte Europea ha preliminarmente richiamato i principi inerenti le limitazioni del diritto di accesso a un tribunale superiore affermati nel caso Zubac, ricordando che il modo in cui l’articolo 6 § 1 si applica alle corti d’appello o di cassazione dipende dalle caratteristiche particolari del procedimento in questione.

Secondo la Corte Europea deve ritenersi legittimo lo scopo perseguito con il principio di autonomia essendo quello di “faciliter la compréhension de l’affaire et des questions soulevées dans le pourvoi et à permettre à la Cour de cassation de statuer sans devoir s’appuyer sur d’autres documents, afin qu’elle puisse préserver son rôle et sa fonction qui consistent à garantir en dernier ressort l’application uniforme et l’interprétation correcte du droit interne (nomofilachia)” (facilitare la comprensione del caso e delle questioni sollevate e permettere alla Cassazione di pronunciarsi senza doversi basare su altri documenti in modo da preservare il suo ruolo e la sua funzione di garantire in ultima istanza l’applicazione uniforme e l’interpretazione corretta del diritto interno - nomofilachia).

La Corte Europea ha ritenuto pienamente ammissibili le restrizioni all’accesso alla Corte di Cassazione determinate dall’applicazione del principio di autonomia anche quando più rigorose di quelle previste per un appello. L’ammissibilità della restrizione trova il suo fondamento anche nella necessità di smaltimento dell’enorme arretrato causato dal notevole afflusso di ricorsi presentati ogni anno davanti alla Corte di Cassazione. Sicuramente il principio di autonomia è in grado di garantire un uso più appropriato e più efficiente delle risorse disponibili.

D’altra parte, le restrizioni all’accesso alla Corte, anche quando giustificate dall’enorme carico di lavoro della Cassazione, difettano del requisito della proporzionalità, se interpretate in modo troppo formale.

L’eccessivo formalismo inevitabilmente finisce per limitare il diritto di accesso ad un tribunale ed incide sulla sostanza stessa di tale diritto.

La Corte Europea ha evidenziato come, con specifico riguardo all’obbligo di trascrivere integralmente i documenti inclusi nei motivi di ricorso, almeno fino alle sentenze nn. 5698 e 8077 del 2012, vi fosse una tendenza della Corte di Cassazione a concentrarsi su aspetti meramente formali che non rispondono affatto allo scopo legittimo posto a fondamento delle restrizioni.

In relazione ai ricorsi n. 37781/13 e n. 26049/14, la Corte Europea non ha ritenuto sussistente la violazione dell’art. 6 § 1 della Convenzione, non avendo la Corte di Cassazione, in tali casi, tenuto un atteggiamento eccessivamente formalistico. La decisione presa dalla Cassazione di dichiarare l’inammissibilità dei ricorsi è stata presa, afferma la Corte EDU, nel pieno rispetto dello scopo legittimamente perseguito dal principio di autonomia: cioè la certezza del diritto e la corretta amministrazione della giustizia.

Al contrario la Corte Europea ha ritenuto fondato il ricorso n. 55064/11, avendo la Corte di Cassazione in tal caso, nel dichiarare l’inammissibilità del ricorso, dato prova di eccessivo formalismo non giustificato alla luce delle finalità proprie del principio di autonomia.

Il ricorso era stato dichiarato inammissibile in quanto non era stato rispettato, secondo la Cassazione, l’obbligo di indicare, per ogni motivo di ricorso, i casi in cui la sentenza di secondo grado era ricorribile per Cassazione.

Eppure, il ricorrente aveva indicato in relazione ad ogni motivo di ricorso gli articoli e i principi di diritto violati, facendo riferimento specifico alle ipotesi previste dall’art. 360, comma 1, c.p.c.

Da questo punto di vista la Corte Europea ha ritenuto che l’obbligo di specificare il tipo di critica in conformità all’art. 360, comma 1, del c.p.c. fosse stato sufficientemente rispettato.

La Corte di Cassazione ha inoltre ritenuto che il ricorso non menzionasse gli elementi necessari per identificare i documenti citati a sostegno delle critiche formulate.

Mentre, secondo la Corte Europea, il ricorrente aveva trascritto i passaggi pertinenti e aveva fatto riferimento ai documenti fondamentali rendendo così possibile la loro identificazione tra i documenti depositati con il ricorso.

La Corte Europea, nel dichiarare la fondatezza del ricorso n. 55064/11, al momento della liquidazione del danno ‘materiale’, ha ritenuto non fosse suo compito quello di speculare su quale sarebbe stato l’esito del procedimento in assenza della violazione riscontrata, riconoscendo al ricorrente il solo danno morale.

Concludendo, se, da una parte, il contenuto della sentenza può essere condiviso, in quanto la necessità di smaltire l’arretrato giudiziario non può giustificare ogni rigido ed eccessivo formalismo, d’altra parte, il lavoro di sintesi che viene richiesto agli avvocati nella redazione del ricorso consente di spogliare la controversia di tutto ciò che non è più necessario, andando dritto al cuore del motivo di censura, facilitando, in tal modo, il compito del giudice di ultima istanza, oberato nel ruolo.

Difficile essendo trovare una risoluzione al problema nel breve periodo, di questo dovrà sicuramente occuparsi il legislatore colmando le lacune normative evidenziate dalla Corte Europea nella sentenza in commento, in modo da evitare che i contrasti e le oscillazioni della giurisprudenza ricadano sui cittadini.

In ogni caso dovranno essere salvati gli sforzi fatti dalla giurisprudenza di legittimità volti al rafforzamento del principio di autonomia ed autosufficienza del ricorso in quanto, se è pur vero che è importante l’accesso alla giustizia (nei limiti in cui due gradi di giudizio sono stati comunque assicurati), ancor più importante è che tale accesso, a causa dell’enorme contenzioso arretrato, non venga ritardato talmente in là nel tempo da diventare del tutto inutile.

Per leggere il testo integrale clicca qui: https://hudoc.echr.coe.int/fre#{%22itemid%22:[%22001-212667%22]}

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