Infortunio sul campo di calcio: il calciatore deve dimostrare il nesso causale tra la caduta e le condizioni del campo

Gli infortuni durante una partita di calcio non possono dirsi insoliti e questo i calciatori lo sanno bene. Ma se l’infortunio è dipeso dalle condizioni del campo, l’atleta, pur dilettante, ha diritto al risarcimento del danno patito?

Certamente sì, ma deve comunque dimostrare il nesso causale tra la caduta e le condizioni del campo.

Il campo di calcio configura una ‘cosa in custodia’, cosicché dovrà essere applicata la disciplina prevista dall’art. 2051 c.c.[1]

La Corte di Cassazione, in una recentissima ordinanza (Cass., 4 marzo 2022, n. 7172), ha ribadito i principi posti alla base della responsabilità per danno cagionato da cose in custodia proprio in relazione ad una domanda avanzata da uno sportivo.

In quel caso, a seguito di un infortunio verificatosi presso un campo da calcio, l’attore aveva citato in giudizio il gestore del campo al fine di ottenere il risarcimento dei danni subiti a causa dell’infortunio determinato, a suo dire, dalle condizioni del campo stesso.

Il Tribunale aveva accolto la domanda del calciatore, condannando il gestore al risarcimento dei danni ai sensi dell’art. 2051 c.c. cit. La Corte d’Appello aveva poi riformato la decisione di primo grado, ritenendo che l’attore non avesse provato le modalità del fatto e, in particolare, il nesso causale tra la caduta e le condizioni del campo.

Il calciatore ha così proposto ricorso per cassazione, addebitando alla sentenza di secondo grado, tra gli altri, il vizio di violazione o falsa applicazione dell’art. 2697 c.c.[2], deducendo che la Corte territoriale non aveva considerato che, trattandosi di responsabilità di cose in custodia, la responsabilità del custode sarebbe stata automatica ed esclusa solo dalla prova del caso fortuito.

La Cassazione ha dichiarato il motivo inammissibile, richiamando il proprio consolidato orientamento relativo al regime risarcitorio previsto dall’art. 2051 c.c.

Tale norma, secondo la Corte, nell’affermare la responsabilità del custode della cosa per i danni da questa cagionati, individua semplicemente un criterio di imputazione che prescinde da qualunque connotato di colpa operando sul piano oggettivo dell’accertamento del rapporto causale tra la cosa e l’evento dannoso, ma non esonera il danneggiato dalla prova del predetto nesso di causalità (nello stesso senso, si veda Cass. ord. n. 2477 del 1° febbraio 2018; ord. n. 12027 del 16 maggio 2017; sent. n. 8229 del 7 aprile 2010).

Nessun risarcimento, dunque, per il calciatore infortunato che non ha dimostrato il nesso di causalità tra lo stato del campo e la caduta.

È sempre meglio non cadere; ma se cadi, ricorda di fornire la prova di quel rapporto causale che, almeno, ti consentirà di ottenere un risarcimento.

In relazione alla responsabilità delle cose in custodia si veda anche Caduta del ciclista causata da avvallamenti sul manto stradale: quando il danno (non) è risarcibile


[1] Art. 2051 c.c. - Danno cagionato da cose in custodia. Ciascuno è responsabile del danno cagionato dalle cose che ha in custodia, salvo che provi il caso fortuito.

[2] Art. 2697 c.c. Onere della prova - Chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento.

Chi eccepisce l’inefficacia di tali fatti ovvero eccepisce che il diritto si è modificato o estinto deve provare i fatti su cui l'eccezione si fonda

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Maria Santina Panarella
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