Il lavoratore non vuole collaborare? Il licenziamento è legittimo

Il lavoratore che tiene una condotta gravemente insubordinata, senza alcuna giustificazione, in modo persistente e volontario, in aperto contrasto con l’obbligo di diligenza e di esecuzione delle disposizioni dettate dai superiori gerarchici, anche riferite alle esigenze di formazione e accrescimento professionale necessarie per il proficuo impiego dello stesso, può essere – legittimamente – licenziato.

In una recente ordinanza (Cass., 9 maggio 2023, n. 12241), con una motivazione chiara e concisa, ma non per questo meno interessante, la Cassazione è giunta a tale conclusione.

Nel caso affrontato dalla Corte, le condotte addebitate al lavoratore, dipendente di un’azienda informatica, erano due.

In primo luogo, sebbene non fosse impegnato in altre commesse, il lavoratore si era rifiutato di approfondire lo studio di alcuni sistemi operativi, come richiestogli dal diretto superiore gerarchico. Si trattava di una formazione che non avrebbe comportato spese a carico del dipendente, né la necessità di usufruire di permessi o di sacrificare il proprio tempo libero.

La Corte d’appello aveva poi appurato che il lavoratore avesse tenuto un comportamento passivo e privo di spirito di collaborazione presso il cliente, rifiutando di svolgere attività di aggiornamento dei sistemi, sebbene questi rientrassero nelle sue competenze sistemistiche generali. Il giudice di secondo grado aveva allora giudicato la condotta di insubordinazione di rilevante gravità e, di conseguenza, la sanzione espulsiva proporzionata, anche in ragione della volontarietà del comportamento posto in essere.

Nel rigettare le censure avanzate dal ricorrente, la Cassazione ha affermato che la Corte d’appello si era attenuta ai canoni giurisprudenziali attraverso cui sono state definite le nozioni legali di giusta causa, di giustificato motivo soggettivo (cfr. Cass. n. 18715 del 2016; n. 6901 del 2016; n. 21214 del 2009; n. 7838 del 2005) e di proporzionalità della misura espulsiva (cfr. Cass. 18715 del 2016; Cass. n. 21965 del 2007; Cass., n. 25743 del 2007).

Inoltre, la sentenza impugnata aveva motivatamente valutato la gravità dell’insubordinazione realizzata dal dipendente, senza alcuna giustificazione, in modo persistente e volontario, ponendo in essere una condotta contrastante con l’obbligo di diligenza e di esecuzione delle disposizioni dettate dai superiori gerarchici, anche riferite alle esigenze di formazione e accrescimento professionale.

Dunque, secondo la Suprema Corte, non vi è spazio per ritenere integrata la violazione di norme di diritto o disposizioni del contratto collettivo, atteso che il giudizio di proporzionalità svolto dai giudici di merito risulterebbe coerente con la scala valoriale concordata dalle parti sociali.

‘Labor omnia vicit improbus’, scriveva Virgilio nelle Georgiche. E se non c’è la voglia di collaborare? Beh, i risultati ottenuti senza l’impegno racchiuso nel ‘labor’ non saranno affatto gli stessi.

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Maria Santina Panarella
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