Il ‘duplice ciclo causale’ nell’ambito della responsabilità medica

Nel caso di dedotta responsabilità medica, l’onere della prova deve essere modulato sulla base del cosiddetto ‘duplice ciclo causale’. Si tratta, nella sostanza, della scomposizione del ciclo causale nei due seguenti elementi:

  1. il paziente, presunto danneggiato, deve provare il nesso causale tra l’insorgere della patologia e la condotta del medico;
  2. solo in un secondo momento, se il paziente ha provato il suddetto nesso, il medico deve dimostrare di aver pienamente rispettato le leges artis o, comunque, le best practices, evidenziando la causa non imputabile che gli ha reso impossibile fornire la prestazione corrispondente ai canoni di professionalità dovuti.

Si parla, dunque, di ‘duplice ciclo causale’ perché il primo, relativo all’evento dannoso, si trova a monte e deve essere provato dal creditore/danneggiato; il secondo, attinente all’impossibilità di adempiere, si trova, invece, a valle e deve essere provato dal debitore/danneggiante.

In questi termini si è espressa, ormai da alcuni anni, la Corte di Cassazione[1].

Già sent. Cass. 26 luglio 2017, n. 18392 aveva precisato che il ciclo causale relativo alla possibilità di adempiere acquista rilievo solo ove risulti dimostrato il nesso causale fra evento dannoso e condotta del debitore, giungendo ad affermare che “ove sia dedotta una responsabilità contrattuale della struttura sanitaria per l’inesatto adempimento della prestazione sanitaria, è onere del danneggiato provare il nesso di causalità fra l’aggravamento della situazione patologica (o l’insorgenza di nuove patologie per effetto dell’intervento) e l’azione o l’omissione dei sanitari, mentre è onere della parte debitrice provare che una causa imprevedibile ed inevitabile ha reso impossibile l’esatta esecuzione della prestazione; l’onere per la struttura sanitaria di provare l’impossibilità sopravvenuta della prestazione per causa non imputabile sorge solo ove il danneggiato abbia provato il nesso di causalità fra la patologia e la condotta dei sanitari”.

Le successive pronunce della Suprema Corte hanno ribadito tali principi, alimentando un orientamento che ormai può dirsi consolidato (cfr., tra le molte altre, Cass. n. 13872/2020, n. 28992/2019, n. 19204/2018, n. 26824/2017).

Di conseguenza, nel caso in cui rimanga incerta la causa del danno lamentato, la domanda risarcitoria del paziente sarà destinata al rigetto, non avendo questi provato il nesso causale tra l’insorgenza della patologia e la condotta del medico.

I giudici di merito sembrano aver fatto propria la suddetta tesi del ‘duplice ciclo causale’ (Trib. Arezzo, 5 ottobre 2020, n. 446, Trib. Milano, 6 novembre 2019, n. 10020, Corte Appello Milano, 15 febbraio 2019, n. 698).

Si richiama, a questo proposito, la recente pronuncia resa dal Tribunale di Reggio Emilia il 17 febbraio 2022 la quale, invocando la giurisprudenza sopra citata, ha rigettato la domanda di una paziente - avanzata nei confronti della struttura sanitaria e del chirurgo - che lamentava di aver subito un pregiudizio per effetto di un intervento di chirurgia estetica.

Il Giudice, applicando i principi ora rammentati, premettendo l’assenza di prova della riconducibilità dei modestissimi inestetismi alla colpa medica, e rilevando che la leggera dismorfia lamentata avrebbe potuto derivare da una complicanza prevedibile, ma non prevenibile dai sanitari (oggetto di adeguato consenso informato), ha escluso la possibilità di un addebito del danno ai sanitari.

Pertanto, poiché parte attrice, sulla quale incombeva il relativo onere, non aveva provato il presupposto stesso della colpa medica posta alla base della domanda risarcitoria, la domanda è stata rigettata.


[1] Per un approfondimento, si veda Claudio Scognamiglio, L’onere della prova circa il nesso di causa nella responsabilità contrattuale del sanitario, in Responsabilità civile e Previdenza, 1/2020.

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Maria Santina Panarella
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