Il collegato lavoro e i rapporti di collaborazione: anche l’agente deve impugnare il recesso entro i termini di decadenza previsti dall’art. 32, 3° co. l. n. 183/2010

Maria Santina Panarella
23 Novembre 2020

Il nostro legislatore non sempre semplifica la vita all’interprete del diritto, lasciando, forse troppo spesso, ampio spazio a differenti interpretazioni delle norme.

Secondo la Corte d’Appello di Napoli, Sezione Lavoro, non è questo il caso dell’art. 32 della l. n. 183/2010 che impone l’applicazione dei termini di decadenza previsti anche ai rapporti di agenzia.

Nella recentissima sentenza resa il 17 novembre 2020, il Collegio è giunto a tale conclusione prendendo le mosse dall’analisi del testo della normativa di riferimento.

Come è noto, l’art. 32, co. 3° della l. 183/2010 prevede che “le disposizioni di cui all’articolo 6 l. 604/1966, così come modificate dal comma 1° del presente articolo, si applicano inoltre: ... b) al recesso del committente nei rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, anche nella modalità a progetto, di cui all’art. 409 n. 3 del codice di procedura civile”. A sua volta, l’art. 6 della l. 604/1966, dispone, al co. 1, che il licenziamento deve essere impugnato entro sessanta giorni dalla ricezione della sua comunicazione in forma scritta e che l’impugnazione è inefficace se non è seguita, entro il successivo termine di centoottanta giorni, dal deposito del ricorso nella cancelleria del giudice del lavoro o della comunicazione alla controparte della richiesta di tentativo di conciliazione o arbitrato.

In primo luogo, rileva la Corte, la lettura della norma, che si riferisce in via generale a tutti i rapporti di collaborazione, coordinata e continuativa, di cui all’art. 409, n. 3 c.p.c., non può dare adito a dubbi sulla sua riferibilità anche al rapporto di agenzia. Se il legislatore avesse voluto escludere il rapporto di agenzia, avrebbe dovuto dirlo espressamente e non rimandare genericamente ai rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, a carattere prevalentemente personale, in cui rientra pacificamente anche il rapporto di agenzia.

La tesi proposta in giudizio dalla preponente, secondo la Corte, neppure è contraddetta dall’esistenza, nel nostro ordinamento, della decadenza prevista dal quinto comma dell’art. 1751 c.c. che impone all’agente di rispettare il termine di un anno per comunicare alla preponente l’intenzione di far valere i propri diritti; non vi è, infatti, alcuna interferenza tra le due norme perché l’una è decadenza di carattere sostanziale riferita all’indennità di cessazione del rapporto, che si perde se chiesta alla casa mandante oltre il termine di un anno, e l’altra una decadenza di natura processuale, che riguarda il termine per agire in giudizio al fine di impugnare il recesso dal rapporto di lavoro.

Si tratta di una pronuncia importantissima, che si inserisce nella strada tracciata dalla giurisprudenza di merito che si era già espressa nel senso dell’applicabilità anche al rapporto di agenzia delle decadenze applicate pacificamente al rapporto di lavoro subordinato. In particolare, si richiamano le sentenze n. 710/2018 del 22 maggio 2018 e n. 1261/2019 del 24 ottobre 2019 rese dal Tribunale di Agrigento, nonché la più di recente sentenza n. 461/2019 del 28 maggio 2019 del Tribunale di Catanzaro.

A questo punto l’agente non ha scuse: se intende contestare la legittimità del recesso della preponente, ed ambire al riconoscimento delle pretese economiche connesse, deve impugnarlo entro i termini di decadenza previsti dall’art. 32, co. 3°, l.  n. 183/2010.

Decadenza evitata, pretesa salvata.

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