Furto dell’orologio di valore dall’armadietto: il gestore della palestra non è responsabile se il cliente ha agito in maniera colposa

Chiunque abbia frequentato una palestra si è ritrovato a leggere, magari mentre era intento a sollevare un bilanciere o a riporre il borsone nell’armadietto, un cartello nel quale veniva espressamente esclusa la responsabilità della struttura per smarrimento o furto di oggetti personali.

Eppure, il codice civile è chiaro nel valutare nulli i patti o le dichiarazioni tendenti ad escludere o limitare preventivamente la responsabilità del gestore (cfr. art. 1785 - quater c.c. data l’applicabilità, come a breve si dirà, della disciplina del deposito in albergo).

Allora, e al contrario, il gestore della palestra è sempre responsabile del furto avvenuto negli spogliatoi o negli altri locali dell’impianto sportivo?

A quanto pare, la risposta non è affatto scontata e dipende (anche) da dove l’oggetto era stata riposto. Lo sa bene il cliente che si è visto rigettare dal Tribunale di Milano (sent. 2 novembre 2021, n. 8865)la domanda, avanzata nei confronti del gestore della palestra, di risarcimento del danno  patito per effetto del furto dell’orologio dal valore di oltre cinquanta mila euro che aveva riposto nell’armadietto prima di svolgere l’attività sportiva.

Punto di partenza dell’iter argomentativo svolto dal Tribunale di Milano è la constatazione secondo cui si tratta di un’ipotesi di responsabilità contrattuale ai sensi degli artt. 1783 ss. c.c.

Come si è sopra accennato, l’orientamento consolidato della giurisprudenza ritiene applicabili i principi sulla responsabilità dell’albergatore anche ad altre strutture, tra le quali, appunto, le palestre. In effetti, pure in tali fattispecie, l’utente, per fruire appieno dei servizi, abbandona provvisoriamente la custodia di alcuni oggetti personali (cfr., in questo senso, già Trib. Venezia 16 ottobre 1996; più di recente, anche Corte d’Appello di L’Aquila, n. 878 del 22 giugno 2020).

Si ritiene, infatti, che l’art. 1786 c.c., nell’estendere la disciplina relativa al contratto di deposito in albergo agli imprenditori di case di cura, stabilimenti di pubblici spettacoli, stabilimenti balneari, pensioni, trattorie, carrozze letto e simili, integri una disposizione esemplificativa. Ne consegue che la stessa ricomprende ogni attività imprenditoriale di natura tale “da implicare, avuto riguardo all’uso, la necessità di liberare il cliente dalla cura di custodire direttamente le cose che porta con sé, alfine di agevolare il godimento del servizio” (già, a suo tempo, Cass. n. 1740/78).

Come ha rammentato il Giudice nella pronuncia in esame, il contratto concluso col titolare di un impianto sportivo è di natura complessa: da un lato, vi è l’obbligo principale del gestore (di far utilizzare ai clienti le attrezzature sportive, le docce e gli spogliatoi) nonché quello accessorio di permettere l’utilizzo degli armadietti nei quali riporre gli oggetti personali, fino al termine dell’esercizio dell’attività sportiva. Dall’altro, vi è l’obbligo del cliente di pagare i servizi principali ed accessori.

Tuttavia, secondo il Tribunale, al di là dell’estensione della disciplina operata dall’art. 1786 c.c. sopra citato, vi sono alcune differenze - strutturali e di natura qualitativa, quantitativa, e temporale, dei servizi offerti - tra l’albergatore ed il gestore di un impianto sportivo.

La responsabilità dell’albergatore per le cose dei clienti sorge, infatti, per il solo fatto dell’introduzione delle stesse nell’albergo, indipendentemente, dunque, da una qualche consegna. Per il gestore di un impianto sportivo, invece, la responsabilità, per le cose non consegnategli in custodia, è limitata solo a quelle di cui è opportuno liberarsi per il miglior godimento della prestazione.

Va poi rammentato che, ai sensi dell’art. 1785 c.c., l’albergatore – così come, dunque, anche il gestore - non risponde “quando la sottrazione o il deterioramento sono dovuti al cliente (...) a forza maggiore, alla natura della cosa”.

Applicando tali principi al caso di specie, è indubbio che l’orologio da polso rientri tra i beni di cui il cliente è costretto a disfarsi per poter usufruire delle strutture della palestra.

Premesso che il servizio di custodia degli effetti personali costituisce, come si è già detto, un servizio accessorio necessario per la corretta esecuzione della prestazione principale, nella vicenda concreta, erano presenti sia armadietti con chiusura a codice presso l’area non sorvegliata degli spogliatoi, sia cassette di sicurezza adiacenti alla reception e facilmente controllabili dagli addetti.

Come e quanto rileva, allora, nella prospettiva risarcitoria, la scelta dell’attore di non riporre l’orologio nella cassetta di sicurezza?

A questo riguardo, il Tribunale ha osservato, in primo luogo, che non risultava l’assunzione di uno specifico obbligo sul punto da parte dell’attore, né che l'utilizzo delle cassette potesse ritenersi obbligatorio per le parti in assenza di specifiche previsioni normative.

Tuttavia, la decisione del cliente di riporre oggetti di valore e denaro contante all’interno dell’armadietto comporta una limitazione dell’obbligo risarcitorio posto a carico della struttura. Infatti, mentre quest’ultima deve dirsi responsabile per l’intero valore sottratto o distrutto nel caso in cui i beni siano stati oggetto di specifica consegna in custodia al personale (ai sensi dell’art. 1784 c.c.), laddove il cliente abbia preferito usufruire dei soli armadietti si applicherà, a meno di dimostrare la colpa del gestore, il limite previsto dall’art. 1783 comma 3 c.c. ed il risarcimento sarà eventualmente dovuto per un valore pari, al massimo, a cento volte il prezzo del biglietto d'ingresso.

Nel caso di specie – ha osservato il Giudice - l’orologio era stato riposto nell’armadietto sito nello spogliatoio e l’attore non si era rivolto al personale della palestra per l’utilizzo delle cassette di sicurezza. Inoltre, la deduzione attorea che le cassette di sicurezza fossero fuori servizio non era stata confermata da nessuno dei testi escussi.

Pertanto, secondo il Tribunale, avuto riguardo alla natura dell’oggetto ed al fatto che lo stesso fosse stato riposto all’interno di un armadietto, chiuso con codice di sicurezza, la fattispecie non potrebbe essere ricondotta alla responsabilità prevista dall’art. 1784 c.c. per le cose prese in custodia.

Ne consegue che, avendo l’attore deciso di riporre i propri oggetti personali nell’armadietto posto nello spogliatoio maschile, deve trovare applicazione, in difetto di un obbligo normativo e contrattuale di deposito nelle apposite cassette, l’art. 1783 c.c.

Escluso qualsiasi profilo di colpa della convenuta, il Giudice ha individuato una serie di circostanze (quali la consapevolezza di avere introdotto un effetto personale avente valore molto ingente, che avrebbe sicuramente reso estremamente opportuna la custodia presso le cassette di sicurezza site in prossimità della reception, ove per la struttura stessa degli ambienti avrebbe potuto essere vigilato dagli addetti della stessa, la precarietà della chiusura dell’armadietto per riporre i beni portati dall’esterno, l’avvertita presenza di una persona che aveva con ogni probabilità notato un oggetto di tale valore ed il luogo in cui l'orologio era stato riposto) che inducevano a ritenere integrata una colpa del cliente, tale escludere ex art. 1785 n. 1) c.c., una responsabilità del gestore.

Se proprio non puoi fare a meno di andare in palestra con l’orologio di valore, ti conviene, senza dubbio, riporlo nella cassetta di sicurezza posta (si spera) vicino alla reception. Di certo, ne trarranno giovamento la tranquillità dell’allenamento…ed anche il tuo bilancio personale.

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Maria Santina Panarella
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