Ferie forzate e cassa integrazione: la Corte di Cassazione ribadisce i principi alla base della fruizione delle ferie

Maria Santina Panarella
13 Settembre 2022

I principi alla base della fruizione delle ferie rispondono ad un equilibrato soddisfacimento delle posizioni soggettive contrapposte. Questo è quanto ha ribadito la Corte di Cassazione in una recentissima pronuncia (ordinanza n. 24977/2022) pubblicata il 19 agosto 2022.

Nel caso affrontato, la Corte d’appello aveva confermato la sentenza di primo grado che, in accoglimento delle domande avanzate da numerosi lavoratori, aveva dichiarato l’illegittimità della condotta della Società datrice e, conseguentemente, aveva condannato la stessa a ripristinare, in favore di ciascun lavoratore, il monte ore illegittimamente decurtato.

In particolare, il giudice di appello aveva evidenziato che le modalità di collocazione in ferie del lavoratore e la sua comunicazione devono essere tali da consentirgli di organizzarsi per fruirne in concreto nel periodo di riposo determinato unilateralmente dal datore di lavoro. Nel caso di specie, secondo la Corte territoriale, non era stata allegata né provata la preventiva comunicazione ai singoli lavoratori della necessità di esaurire le ferie residue. La comunicazione, inviata solo alla RSU, non era paragonabile a quella dovuta singolarmente e con l’indicazione per ciascun lavoratore del lasso temporale entro il quale lo stesso sarebbe stato collocato in ferie. Inoltre, alcune ore di CIGS erano state indicate in busta paga come ferie fruite e, dunque, i lavoratori avevano appreso del forzoso collocamento in ferie solo dall’esame dei prospetti paga.

Pertanto, la sentenza di secondo grado aveva confermato il diritto di lavoratori al risarcimento del danno, atteso che le modalità di concessione delle ferie in concreto adottate avevano precluso, presuntivamente, una effettiva programmazione delle ferie e determinato l’impossibilità di un reale ristoro delle energie psicofisiche.

La società ha così proposto ricorso per cassazione che, però, è stato rigettato.

Nell’escludere la fondatezza delle censure proposte, la Cassazione ha dapprima richiamato le situazioni giuridiche soggettive contrapposte in materia: da un lato, quella del datore di organizzare le ferie privilegiando le proprie necessità; dall’altro, quella dei lavoratori di conseguire il beneficio al quale le ferie sono preordinate, e, cioè, il recupero di energie psicofisiche.

Ecco, allora, che la Suprema Corte ha ribadito che “il potere attribuito all’imprenditore, a norma dell’art. 2109 c.c., di fissare il periodo di godimento delle ferie da parte dei dipendenti implica anche quello di modificarlo pur in difetto di fatti sopravvenuti, in base soltanto a una considerazione delle esigenze aziendali, senza che in senso contrario rilevi la prescrizione relativa alla comunicazione preventiva ai lavoratori del periodo stabilito, dalla quale tuttavia si desume, da un lato, che anche le modifiche debbono essere comunicate con preavviso e, dall’altro, che gli eventuali rilievi del lavoratore, che ritenga l’indicazione del datore di lavoro in contrasto con i propri interessi, devono intervenire senza dilazione”.

La pronuncia in esame ha così rammentato che l’esatta determinazione del periodo feriale, presupponendo una valutazione comparativa di diverse esigenze, spetta unicamente all’imprenditore quale estrinsecazione del generale potere organizzativo e direttivo dell’impresa; al lavoratore, invece, compete soltanto la mera facoltà di indicare il periodo entro il quale intende fruire del riposo annuale, anche nell’ipotesi in cui un accordo sindacale o una prassi aziendale stabilisca – al solo fine di una corretta distribuzione dei periodi feriali – i tempi e le modalità di godimento delle ferie.

Peraltro, nel caso in cui il lavoratore non goda delle ferie nel periodo stabilito dal turno aziendale e non chieda di goderne in altro periodo dell’anno, non può desumersi alcuna rinuncia, che, comunque, sarebbe nulla per contrasto con norme imperative (art. 36 Cost. e art. 2109 c.c.), e quindi il datore di lavoro è tenuto a corrispondere la relativa indennità sostitutiva delle ferie non godute.

Nella vicenda di specie, la comunicazione inviata alla RSU non poteva sostituire una comunicazione inviataai singoli lavoratori e diretta ad evidenziare la necessità di fruire delle ferie maturate ed ancora da godere prima dell’attivazione della CIGS.

Inoltre, il collocamento forzoso in ferie dei lavoratori era stato disposto con una modalità peculiare (due, quattro, o otto ore giornaliere durante il periodo di CIGS), della quale gli stessi erano stati resi edotti solo successivamente al godimento e dalla consultazione delle buste paga. Tale modalità di comunicazione, secondo la Suprema Corte, contrasta con l’oggettivo conseguimento della finalità alla quale le ferie sono intrinsecamente preordinate e, cioè, come si è ricordato, il ristoro delle energie psico fisiche.

Il ricorso è stato rigettato e le spese sono state posto a carico della società.

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