Errore medico: è risarcibile il danno da perdita anticipata della vita?

In caso di errore medico, è risarcibile il danno da perdita anticipata della vita?

La Cassazione è tornata a pronunciarsi sul tema in una recente sentenza (la n. 35998 del 27 dicembre 2023) che offre elementi senz’altro utili a rispondere a questa domanda.

Già qualche mese fa la Corte aveva approfondito la questione nell’ambito di una articolata sentenza, la n. 26851 del 2023 (per un commento, si veda Danno da perdita di chance di sopravvivenza e danno da perdita anticipata della vita: sono entrambe risarcibili?), i cui principi vengono infatti ora ribaditi.

La Cassazione, infatti, conferma i seguenti punti:

  • in ipotesi di condotta colpevole del sanitario, cui sia conseguita la perdita anticipata della vita, perdita che si sarebbe comunque verificata, sia pur in epoca successiva, per la pregressa patologia del paziente, non è concepibile, né logicamente né giuridicamente, un danno da ‘perdita anticipata della vita’ trasmissibile iure successionis, non essendo predicabile, nell’attuale sistema della responsabilità civile, la risarcibilità del danno tanatologico;
  • è possibile, dunque, risarcire il danno da perdita anticipata della vita, con riferimento al diritto iure proprio degli eredi, rappresentato dal pregiudizio da minor tempo vissuto dal congiunto;
  • in ipotesi di morte del paziente dipendente (anche) dall’errore medico, qualora l’evento risulti riconducibile alla concomitanza di una condotta umana e di una causa naturale, l’autore del fatto illecito risponde in toto dell’evento eziologicamente riconducibile alla sua condotta, in base ai criteri di equivalenza della causalità materiale, potendo l'eventuale efficienza concausale dei suddetti eventi naturali rilevare esclusivamente sul piano della causalità giuridica, ai sensi dell’art. 1223 c.c.

È la stessa Corte che ci offre, poi, una esemplificazione: causare la morte di un ottantenne sano, che ha dinanzi a sé cinque anni di vita sperata, non diverge, ontologicamente, dal causare la morte d’un ventenne malato che, se correttamente curato, avrebbe avuto dinanzi a sé ancora cinque anni di vita.

L'unica differenza tra le due ipotesi starebbe nel fatto che, nel primo caso, la vittima muore prima del tempo che gli assegnava la statistica demografica, mentre, nel secondo caso, muore prima del tempo che gli assegnava la statistica e la scienza clinica: ma tale differenza – precisa la Corte - non consente di pervenire ad una distinzione ‘morfologica’ tra le due vicende, così da affermare la risarcibilità soltanto della seconda ipotesi di danno.

È possibile, dunque, parlare (risarcendolo) di danno da perdita anticipata della vita, con riferimento al diritto iure proprio degli eredi, solo definendolo come il pregiudizio da minor tempo vissuto ovvero da valore biologico relazionale residuo di cui non si è fruito, correlato al periodo di tempo effettivamente vissuto.

In conclusione, nell’ipotesi di un paziente che, al momento dell’introduzione della lite, sia già deceduto, sono, di regola, alternativamente concepibili e risarcibili iure hereditario, se allegati e provati, i danni conseguenti:

a) alla condotta del medico che abbia causato la perdita anticipata della vita del paziente (determinata nell'an e nel quantum), come danno biologico differenziale (peggiore qualità della vita effettivamente vissuta), considerato nella sua oggettività, e come danno morale da lucida consapevolezza della anticipazione della propria morte, eventualmente predicabile soltanto a far data dall’altrettanto eventuale acquisizione di tale consapevolezza in vita;

b) alla condotta del medico che abbia causato la perdita della possibilità di vivere più a lungo (non determinata né nell’an né nel quantum), come danno da perdita di chances di sopravvivenza.

In nessun caso sarà risarcibile iure hereditario, e tanto meno cumulabile con i pregiudizi di cui sopra, un danno da perdita anticipata della vita, con riferimento al periodo di vita non vissuta dal paziente.

Con l’intento (rinnovato) di pervenire ad una terminologia chiara e condivisa, la Cassazione ha chiarito, con evidente sforzo di sintesi, che:

  • vivere in modo peggiore, sul piano dinamico-relazionale, la propria malattia negli ultimi tempi della propria vita a causa di diagnosi e/o cure tardive da errore medico, rappresenta un danno biologico (differenziale);
  • nel contempo, trascorrere quegli ultimi tempi della propria vita con l’acquisita consapevolezza delle conseguenze sulla (ridotta) durata della vita stessa a causa di diagnosi e/o cure tardive da errore medico, costituisce un danno morale, inteso come sofferenza interiore e come privazione della capacità di battersi ancora contro il male;
  • perdere la possibilità, seria, apprezzabile e concreta, ma incerta nell’an e nel quantum, di vivere più a lungo a causa di diagnosi e/o cure tardive da errore medico, è un danno da perdita di chance;
  • la perdita anticipata della vita per un tempo determinato a causa di un errore medico in relazione al segmento di vita non vissuta, è un danno risarcibile non per la vittima, ma per i suoi congiunti, nei termini prima chiariti, quale che sia la durata del ‘segmento’ di esistenza cui la vittima ha dovuto rinunciare.

Da qui la conclusione secondo la quale non vi sarebbe spazio, in linea generale, per sovrapposizioni concettuali tra istituti speculari (chance e perdita anticipata della vita), salvo che si chiariscano e si accertino, motivando rispetto alla concreta fattispecie, le differenze come sinora ricostruite. Ne consegue, pertanto, che:

  1. nel caso di perdita anticipata della vita (una vita che sarebbe comunque stata perduta per effetto della malattia) sarà risarcibile il danno biologico differenziale (nelle sue due componenti, morale e relazionale), sulla base del criterio causale del più probabile che non: l’evento morte della paziente, verificatosi in data X, si sarebbe prodotto, in assenza dell’errore medico, dopo il tempo (certo) X+Y, dove Y rappresenta lo spazio temporale di vita non vissuta: il risarcimento sarà riconosciuto, con riferimento al tempo di vita effettivamente vissuto - e non a quello non vissuto, che rappresenterebbe un risarcimento del danno da morte (riconoscibile, viceversa, iure proprio, ai congiunti) stante la già rammentata irrisarcibilità del danno tanatologico - in tutti i suoi aspetti, morali e dinamico-relazionali;
  2. il danno da perdita di chance di sopravvivenza sarà invece risarcito, equitativamente, quando vi sia incertezza sull’efficienza causale della condotta illecita quoad mortem, ma, al contempo, vi sia certezza eziologica che la condotta colpevole abbia cagionato la perdita della (come detto apprezzabile) possibilità di vivere più a lungo (possibilità non concretamente accertabile nel quantum né predicabile quale certezza nell’an, a differenza che nell'ipotesi sub a);
  3. il danno da perdita anticipata della vita e il danno da perdita di chance di sopravvivenza, di regola, non saranno né sovrapponibili né congiuntamente risarcibili, pur potendo eccezionalmente costituire oggetto di separata ed autonoma valutazione qualora l’accertamento si sia concluso nel senso dell’esistenza di un danno tanto da perdita anticipata della vita, quanto dalla possibilità di vivere ancora più a lungo, qualora questa possibilità non sia quantificabile temporalmente, ma risulti seria, concreta e apprezzabile, e sempre che entrambi i danni siano riconducibili eziologicamente (secondo i criteri rispettivamente precisati) alla condotta colpevole dell’agente.

Fermo il principio generale, come sopra rammentato, della generale irrisarcibilità dell'ulteriore danno da perdita di chance in presenza di un danno da perdita anticipata della vita, secondo la Corte, in via eccezionale, potrebbero sussistere ipotesi in cui in cui il Giudice di merito ritenga, anche sulla base della prova scientifica acquisita, che esista, in relazione alle specifiche circostanze del caso concreto, la seria, concreta e apprezzabile possibilità (sulla base dell'eziologica certezza della sua riconducibilità all'errore medico) che, oltre quel tempo, il paziente avrebbe potuto sopravvivere ancora più a lungo. In tal caso, sempre che e soltanto se tale possibilità non si risolva in una mera speranza, ovvero si collochi in una dimensione di assoluta incertezza eventistica, che non attinga la soglia di quella seria, concreta, apprezzabile possibilità (come lascerebbe intendere, in via di presunzione semplice, l'avvenuta morte, benché' anticipata, del paziente), tale ulteriore e diversa voce di danno risulterà concretamente e limitatamente risarcibile, in via equitativa, al di là e a prescindere dai parametri (sia pur diminuiti percentualmente) relativi al danno biologico e al quello da premorienza.

Nel caso di specie, secondo la Corte, sarebbe stato accertato che senza l’omissione del sanitario, colposamente causale, la vittima, deceduta per infarto due giorni dopo, avrebbe “più probabilmente che non” vissuto un periodo di vita determinato, di sette anni, come tale risarcibile iure proprio e non iure successionis.

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Maria Santina Panarella
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