E’ sufficiente il mancato raggiungimento di un obbiettivo prefissato dall’impresa per intimare il licenziamento ad un dipendente per scarso rendimento?

Roberto Lama
14 Aprile 2023

A questo interrogativo ha fornito una risposta la Cassazione con la recente ordinanza n. 9453 del 6 aprile 2023.

La Cassazione ha innanzi tutto chiarito che il licenziamento per “scarso rendimento” rientra nel novero dei licenziamenti intimati per un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali.

Tuttavia, affinché uno “scarso rendimento” del dipendente possa ritenersi idoneo ad integrare un “notevole inadempimento degli obblighi contrattuali” e quindi quel giustificato motivo soggettivo che ne rende legittimo il relativo licenziamento, non è di per sé sufficiente provare il mancato raggiungimento da parte del predetto dipendente di un obbiettivo prefissato dal datore di lavoro. E’ necessario invece ricorrere a “parametri per accertare se la prestazione sia eseguita con diligenza e professionalità medie, proprie delle mansioni affidate al lavoratore”; l’eventuale, e purché notevole, scostamento da tali parametri di produttività “può costituire segno o indice di non esatta esecuzione della prestazione, sulla scorta di una valutazione complessiva dell’attività resa per un apprezzabile periodo di tempo”.

Da tale inquadramento teorico discendono precise conseguenze in ordine agli oneri probatori gravanti sulle parti.

Poiché, come noto, ai sensi dell’art. 5 L. n. 604/1966, grava sul datore di lavoro l’onere di provare la causale addotta a fondamento del recesso, ove il licenziamento sia intimato per scarso rendimento del dipendente, il datore di lavoro “non può limitarsi a provare solo il mancato raggiungimento del risultato atteso o l’oggettiva sua esigibilità, ma deve anche provare che esso derivi da colpevole negligente inadempimento degli obblighi contrattuali da parte del lavoratore nell’espletamento della sua normale prestazione”.

Viceversa, conformemente al paradigma dell’art. 1218 c.c., il lavoratore che contesta giudizialmente la legittimità del licenziamento intimato nei suoi confronti per scarso rendimento, ha l’onere di allegare, e provare, che “lo scostamento dai parametri di produttività dei colleghi con mansioni analoghe”, che lo “scarso rendimento” al medesimo imputato che integra il notevole inadempimento o l’inesatta esecuzione della prestazione, siano dipesi da causa a lui non imputabile.

In punto di fatto, la Suprema Corte ha rilevato come – del tutto correttamente – la Corte territoriale avesse accertato la sussistenza di uno scarso rendimento imputabile, da intendersi come notevole e colpevole scostamento dai parametri medi di produttività, in base al rilievo per cui il lavoratore licenziato “nel primo trimestre 2016 aveva effettuato complessivamente 16 visite a clienti e/o filiali (rispetto alle 120 degli altri colleghi dell'ufficio sviluppo) e acquisito un solo cliente”. I predetti dati, soggiunge la Corte, “sono stati posti a confronto con i dati di produzione (raccolta impieghi) degli altri colleghi - enormemente superiori a quelli del ricorrente (pag. 15) - sì da concludere per l'effettività dello scarso rendimento e della sua gravità”.

Non è, dunque, sufficiente ad integrare il presupposto legittimante il licenziamento per scarso rendimento il mancato raggiungimento degli obiettivi fissati dal datore di lavoro; ma occhio ai dati medi di produzione dei colleghi!

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