La decadenza dall’impugnativa dell’appalto illecito di manodopera non si applica in assenza di comunicazione scritta

Stefano Guadagno
23 Dicembre 2022

La decadenza dall’impugnativa stragiudiziale, prevista dalla L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 4, lett. d), non si applica ove non si rinvenga un atto che neghi la titolarità del rapporto.   

Questo il principio affermato dall’ordinanza resa dalla Cassazione in data 21 novembre 2022, n. 34181.

Giova rammentare che la L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 3, prevede che: "Le disposizioni di cui alla L. 15 luglio 1966, art. 6, come modificato dal comma 1, del presente articolo, si applicano anche: … d) in ogni altro caso in cui, compresa l'ipotesi prevista dal D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 276, art. 27, si chieda la costituzione o l'accertamento di un rapporto di lavoro in capo ad un soggetto diverso dal titolare del contratto".

L’ordinanza in commento ha escluso che il termine di decadenza possa trovare applicazione alla richiesta di costituzione o di accertamento di un rapporto di lavoro, ormai risolto, in capo a un soggetto diverso dal titolare del contratto, ove manchi un provvedimento in forma scritta o un atto equipollente che neghi la titolarità del rapporto stesso. E ciò sulla base di molteplici ragioni.

In primo luogo, venendo in rilievo una limitazione temporale per l'esercizio dell'azione giudiziaria di notevole incidenza sui diritti del lavoratore, alla norma deve essere attribuito carattere di eccezionalità, imponendosene una interpretazione particolarmente rigorosa.

Nel senso della impossibilità di una interpretazione estensiva dall’art. 32, lett. d) si è espressa, tra le tante, Cass. civ. Sez. lavoro, 7 novembre 2019, n. 28750, che ha escluso l’applicabilità dei termini di decadenza, previsto dall’art. 32, n. 4, lett. c) e d), L. 183/10, all’ipotesi del lavoratore che non impugna la cessione del contratto di lavoro nell'ambito di un trasferimento ex art. 2112 c.c., ma, all'inverso, la rivendica. E ciò perché, il legislatore utilizzando la locuzione "in ogni altro caso in cui, compresa l'ipotesi prevista dal D.Lgs. 20 settembre 2003, n. 276, art. 27....", ha inteso “escludere le fattispecie riconducibili, in qualche modo, a quelle già regolate dalle diverse lettere della norma in questione”. Pertanto, se “il fenomeno della cessione del contratto di lavoro, avvenuta ai sensi dell'art. 2112 c.c., è stata già disciplinata dal legislatore (lett. c), nella misura in cui risulta essere stata precisata e limitata da questa Corte di legittimità, non può poi una fattispecie relativa allo stesso fenomeno, ma posta in termini differenti e già esclusa dalla ipotesi tipizzata, considerarsi disciplinata dalla norma di chiusura di natura eccezionale” (nello stesso senso, Cass., 4 aprile 2019, n. 9469).

Sotto altro profilo, l’introduzione di “nuovi termini decadenziali per l’esercizio d’un diritto appartiene alla discrezionalità del legislatore” e non potrebbe determinare, “nel bilanciamento di interessi costituzionalmente rilevanti, il totale sacrificio o la compromissione eccessiva di uno di essi, dovendosi invece tenere conto della proporzionalità dei messi rispetto alle esigenze obiettive da soddisfare e delle finalità che si vogliono perseguire, considerate le circostanze e le limitazioni concretamente sussistenti”. Su queste premesse, a giudizio del Supremo Collegio, ammettere “il decorso della decadenza anche in difetto d'una formale comunicazione di cessazione di tale utilizzo renderebbe eccessivamente aleatorio l'esercizio del diritto d'azione del lavoratore, stante l'intrinseca difficoltà di identificarne con esattezza il dies a quo”.

Inoltre, dalla applicazione del termine di decadenza, anche a fattispecie in cui manchi un provvedimento datoriale che neghi la sussistenza del rapporto di lavoro, deriverebbe un’aporia rispetto al combinato disposto degli artt. 6 L. n. 604/1966 e 32 L. n. 183/2010 e alla consolidata giurisprudenza della Corte di Cassazione.

In questo senso, è fermo l’orientamento che esclude l’applicabilità del termine di decadenza dall'impungativa del recesso datoriale, previsto dall’art. 6 L. 604/1966, in caso di licenziamento orale (Cass., 11 gennaio 2019, n. 523).

Con riguardo poi al contratto di collaborazione a progetto - risoltosi per effetto della manifestazione di volontà del collaboratore di voler recedere dal rapporto, ovvero cessato per la sua naturale scadenza - presso la Corte di Cassazione si è andato consolidando l’orientamento che esclude l’estensibilità del termine decadenziale, riferendosi il regime decadenziale di cui all’art. 32, co. 3, lett. b), L. 183/2010 al caso di recesso del committente e mancando, in ogni caso, “un atto che il lavoratore abbia interesse a contestare o confutare” (Cass., 8 luglio 2020, n.14131); in tal caso, l’azione di accertamento della subordinazione e del diritto alla riammissione in servizio può essere esercitata nell’ordinario termine prescrizionale.

L’ordinanza in esame si inserisce, dunque, nel solco della più recente giurisprudenza di legittimità che, proprio con riferimento alla richiesta di accertamento dell’illiceità dell’appalto (o della interposizione fittizia) ha escluso l’applicabilità della decadenza di cui all’art. 32, co. 3, lett. d), L. 183/2010, sul presupposto che “sia nei casi di richiesta di costituzione (ove è chiara la volontà dell'istante di ripristino immediato e/o di stabilizzazione) sia nei casi di richiesta di accertamento (ove l'azione dichiarativa richiede un accertamento "ora per allora") del rapporto di lavoro alle dipendenze di un soggetto diverso dal titolare del contratto, occorre pur sempre un atto o un provvedimento datoriale che renda operativo e certo il termine di decorrenza della decadenza di cui alla L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 4, lett. d), in un'ottica di bilanciamento di interessi costituzionalmente rilevanti” (in questi termini, di recente, Cass. n. 40652 del 17 dicembre 2021, commentata sul nostro sito: “Decadenza dall’accertamento del rapporto di lavoro con datore diverso da quello formale”).

Nell’ordinanza in commento, la Corte esclude che il dies a quo del termine di decadenza possa coincidere “nell'esatta data di scadenza dell'appalto medesimo con l'impresa appaltatrice, vuoi perché una precisa data di scadenza ben può mancare, vuoi perché di essa il lavoratore - vale a dire il soggetto onerato dell'impugnativa - normalmente non è a conoscenza”.

Ancora di recente, Cass., 28 ottobre 2021, n. 30490 ha ritenuto non applicabile “l'art. 39, comma 1, del d.lgs. n. 81 del 2015 - che prevede l'applicazione del termine di decadenza di 60 giorni e la sua decorrenza "dalla data in cui il lavoratore ha cessato di svolgere la propria attività presso l'utilizzatore" - … essendo riferito alla sola somministrazione di lavoro e non anche all'appalto illecito, sicchè in virtù del carattere di stretta interpretazione delle norme sulla decadenza, non è suscettibile di estensione analogica

Né rileverebbe, ai fini del decorso del termine decadenziale, la data “dell'eventuale licenziamento intimato dall'interposto nel rapporto di lavoro: tale licenziamento è giuridicamente inesistente perché proviene da soggetto diverso da quello che si assume essere il reale datore di lavoro”.

Sulla base delle considerazioni e dei principi sopra passati in rassegna, il Collegio conclude che non possa estendersi “analogicamente ad un "fatto" (la cessazione dell'attività del lavoratore presso il committente) una norma (l'art. 32 cit.) calibrata in relazione ad "atti" scritti e recettizi o ad un diverso e tipizzato fatto (scadenza del contratto a tempo determinato)”.

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