Contratto di agenzia e indennità di fine rapporto

La Corte di Cassazione torna a parlare delle indennità di fine rapporto nel contratto di agenzia.

Con una pronuncia che ripercorre brevemente i contributi forniti in materia della giurisprudenza, comunitaria e nazionale (ordinanza n. 12113 del 6 maggio 2024), la Suprema Corte evidenzia, in particolare, quali siano i presupposti per il riconoscimento dell’indennità suppletiva di clientela.

La vicenda

Un agente aveva convenuto in giudizio la preponente al fine di ottenere il pagamento di provvigioni maturare e asseritamente non riscosse, le indennità conseguenti alla cessazione del rapporto, nonché il

risarcimento del danno patito per essere stato costretto a lavorare in condizioni non conformi rispetto a quelle previste dal contratto.

 Il Tribunale aveva accolto parzialmente la domanda, condannando la Società al pagamento di € 37.000,00, compensando le spese.

La Corte d’appello, in parziale accoglimento del gravame dell'agente, aveva condannato la società al pagamento di un terzo delle spese, per il resto compensate.

La Corte di merito aveva ritenuto che, in virtù dell’art. 1751 comma 1 c.c., per accedere alle indennità richieste, l’agente avrebbe dovuto dimostrare di aver procurato nuovi clienti, o comunque incrementato sensibilmente gli affari esistenti, il perdurante ricevimento di sostanziali vantaggi da parte del preponente e che il pagamento fosse equo rispetto a tutte le circostanze del caso. Secondo la Corte territoriale tale prova non era stata offerta.

L’agente aveva così proposto ricorso per cassazione.

Il motivo di ricorso accolto e le indennità ex art. 1751 c.c.

Con il primo motivo di ricorso, poi parzialmente accolto dalla Corte, l’agente aveva lamentato la violazione e falsa applicazione dell'art. 12 dell’A.E.C. Commercio del 2009 con riguardo al mancato riconoscimento dell'indennità di fine rapporto ovvero dell'indennità di risoluzione del rapporto/firr/indennità suppletiva di clientela/indennità meritocratica.

La Corte ha reputato parzialmente fondato il motivo prendendo le mosse dall’art. 1751 c.c.,a norma del quale, in caso di cessazione del rapporto, il preponente deve corrispondere all'agente - che abbia procurato nuovi clienti o abbia sensibilmente sviluppato gli affari con i clienti esistenti dai quali il preponente riceva ancora sostanziali vantaggi – un’indennità che va calcolata in base ai criteri dettati dal secondo comma.

Si tratta di una disposizione, inderogabile a svantaggio dell’agente (art. 1751 quinto comma c.c.), che, come ricorda la Corte, è suscettibile di previsioni migliorative da parte degli Accordi Economici Collettivi.

L’indennità suppletiva negli A.E.C. e l’art. 1751 c.c.

Con riferimento all’indennità suppletiva di clientela, avente origine e disciplina esclusivamente collettiva, nella vicenda affrontata, precisa la Cassazione, l’A.E.C. applicabile al rapporto dispone che questa:

  • è riconosciuta all'agente se il contratto si scioglie ad iniziativa della casa mandante e per fatto non imputabile all’agente;
  • è calcolata, in aggiunta all'indennità di risoluzione del rapporto, sull'ammontare globale delle provvigioni per le quali è sorto il diritto al pagamento per tutta la durata del rapporto, anche se le stesse somme non sono state interamente corrisposte al momento della cessazione del rapporto.

Si tratta di un emolumento che risponde al principio di equità e che non necessita, per la sua erogazione, della sussistenza della prima condizione indicata nell’art. 1751 primo comma c.c.

Nel caso di specie, la Corte di merito – si legge nell’ordinanza – avrebbe errato nel ritenere che il riconoscimento dell'indennità suppletiva fosse condizionato e precluso dal fatto che non sarebbe stato dimostrato dall'agente l'apporto di nuovi clienti o lo sviluppo sensibile degli affari con persistenza dei vantaggi, atteso che, come detto, l'A.E.C. non condiziona il diritto alla prestazione alla sussistenza della prima condizione indicata nell'art. 1751 primo comma c.c., requisito che è invece necessario per conseguire l' indennità meritocratica.

La Cassazione ha così chiaramente evidenziato che “mentre l'art. 1751 cod.civ. individua i presupposti per il riconoscimento dell'indennità per la cessazione del rapporto di agenzia nel fatto che l'agente abbia procurato nuovi clienti al preponente o abbia sensibilmente sviluppato gli affari già esistenti e, senza tipizzarne i criteri, la disposizione prevede che l'indennità sia equa con riguardo alle circostanze del caso, con ciò intendendosi tutti gli elementi, ulteriori e diversi rispetto a quelli costitutivi, che siano idonei a pervenire ad una adeguata personalizzazione del "quantum" spettante all'agente (cfr. Cass. 29/08/2018 n. 21377) - sicché per il suo riconoscimento non è sufficiente la provvista di nuovi clienti né il sensibile incremento degli affari rispetto a quelli vecchi, ma occorre anche che alla cessazione del rapporto il preponente continui a ricevere sostanziali vantaggi dai clienti nuovi procurati dall'agente ovvero dall'incremento di affari con i preesistenti (cfr. Cass. 06/10/2016 n. 20047 e Cass. n. 30487 del 2021) – per l'indennità suppletiva di clientela la ratio è diversa e del pari lo sono i presupposti più favorevoli all'Agente”.

Pertanto, il motivo di ricorso è stato accolto con riguardo all’indennità suppletiva.

L’indennità meritocratica

Per quanto riguarda, invece, l’indennità meritocratica, secondo la Cassazione, la Corte avrebbe correttamente escluso la sua spettanza, alla luce dell’accertamento dell’insussistenza dei presupposti per il suo riconoscimento. In particolare, la Corte territoriale aveva escluso che fosse stata offerta la prova della persistenza in capo al preponente dei vantaggi e, anzi, era risultato un decremento di fatturazione.

L’interpretazione della giurisprudenza

Nell’ambito dell’esame del secondo motivo (che censurava la sentenza per non aver questa svolto la comparazione dei due sistemi per individuare quello più favorevole) e del terzo motivo di ricorso (che addebitava alla pronuncia il vizio di motivazione apparente) reputati infondati, la Cassazione ha richiamato l’interpretazione delle disposizioni fornita dalla Corte di Giustizia Europea nonché dalla stessa giurisprudenza di legittimità.

In particolare, la Corte ha ricordato che “ai fini della quantificazione dell'indennità di fine rapporto dovuta all'agente in caso di cessazione del rapporto di agenzia, l'art. 1751 cod. civ. (nel testo introdotto dall'art. 4 del D.Lgs. n.303 del 1991, attuativo della direttiva 86/653/CEE sul coordinamento del diritto degli Stati membri concernenti gli agenti commerciali indipendenti - per la parte in cui prevede che le disposizioni ivi fissate in materia di indennità di fine rapporto sono inderogabili a svantaggio dell'agente) si interpreta nel senso che il giudice deve sempre applicare la normativa che assicuri all'agente, alla luce delle vicende del rapporto concluso, il risultato migliore, siccome la prevista inderogabilità a svantaggio dell'agente comporta che l'importo determinato dal giudice ai sensi della normativa legale deve prevalere su quello, inferiore, spettante in applicazione di regole pattizie, anche collettive. A tale conclusione si perviene in forza dell’interpretazione si perviene “in forza dell'interpretazione degli artt. 17 e 19 della direttiva 86/653 data dalla Corte di giustizia (sentenza 23 marzo 2006, in causa C-465/04) ma essa non impone il calcolo dell'indennità in maniera analitica, mediante la stima delle ulteriori provvigioni che l'agente avrebbe presumibilmente percepito negli anni successivi alla risoluzione del rapporto, in quanto a norma del citato art. 17 gli Stati membri godono di un potere discrezionale di fissare metodi di calcolo diversi, di carattere anche sintetico, in modo da valorizzare il criterio dell'equità, che tenga conto delle circostanze del caso concreto ed in particolare delle provvigioni perse dall'agente (Cass., Sez. lav., 3 ottobre 2006, n. 21301; Cass., Sez. lav., 23 aprile 2007, n. 9538; Cass., Sez. lav., 24 luglio 2007, n. 16347; Cass., Sez. lav., 19 febbraio 2008, n. 4056; Cass., Sez. lav., 22 settembre 2008, n. 23966)”.

La Corte ha rammentato che, in questa materia, il compito del giudice del merito è quello di verificare se - fermi i limiti posti dall'art. 1751 cod. civ., comma 3 - l'indennità determinata secondo l'accordo collettivo sia equa e compensativa del particolare merito dimostrato, tenuto conto di tutte le circostanze del caso e, in particolare, delle provvigioni che l'agente perde. In caso contrario, occorrerà riconoscere la differenza necessaria per ricondurre l’indennità ad equità.

Secondo la Cassazione, nel caso di specie, la Corte territoriale si sarebbe attenuta a tali principi.

In conclusione, il ricorso è stato parzialmente accolto nel suo primo motivo e rigettato nel resto.

Altri articoli di 
Maria Santina Panarella
linkedin facebook pinterest youtube rss twitter instagram facebook-blank rss-blank linkedin-blank pinterest youtube twitter instagram