Cambiamento climatico: il Tribunale di Roma (non) decide e dichiara inammissibile la domanda contro lo Stato italiano

Il Tribunale di Roma (non) decide e dichiara inammissibile la domanda proposta da 24 associazioni e 179 cittadini contro lo Stato (Trib. Roma, sent. n. 3552 del 26 febbraio 2024).

Gli attori avevano convenuto in giudizio lo Stato italiano e la Presidenza del Consiglio dei Ministri, chiedendo l’accertamento della loro responsabilità ex art. 2043 c.c. e, per l’effetto, la condanna ex art. 2058, co. 1, c.c. all’adozione di ogni necessaria iniziativa per l’abbattimento, entro il 2030, delle emissioni nazionali artificiali di CO2 nella  misura del 92% rispetto ai livelli del 1990.

Le difese delle parti

Come si evince dalla lettura della sentenza, gli attori, a sostegno della propria domanda, avevano evidenziato che la grave e preoccupante condizione planetaria di emergenza climatica era stata accertata dalla comunità scientifica mondiale e dichiarata dall’UE.

Le stesse parti avevano descritto la condizione emergenziale nel territorio italiano e gli obblighi dello Stato di intervento al fine di “porre fine all’aumento costante della temperatura, perseguire e mantenere la stabilità climatica, contribuire ad arrestare gli effetti degenerativi dell’emergenza climatica, quindi rendere effettivi, nel presente e nel futuro, i contenuti essenziali dei diritti fondamentalissimi della persona umana, prevenendone la lesione”, evidenziando le fonti di tali “doveri statali”, rinvenibili, oltre che nella Costituzione e nella Convenzione Europea sui Diritti Umani (CEDU), anche nell’ordinamento euro-unitario. Sul presupposto della “perdurante (permanente) violazione dei modi e tempi dei doveri statali di protezione”, gli attori avevano rilevato “una responsabilità climatica” dello Stato italiano convenuto, riconducibile alle fattispecie di cui agli artt. 2043 c.c. ovvero 2051 c.c., nonché degli artt. 1173 e 1218 c.c.

La Presidenza del Consiglio dei Ministri, pur evidenziando la consapevolezza delle autorità italiane delle gravi problematiche indicate dagli attori, dopo aver fornito una ricostruzione della normativa in materia di settore diretta a dimostrare l’impegno profuso dallo Stato per fronteggiare l’emergenza connessa ai cambiamenti climatici, aveva eccepito:

  1. l’inammissibilità della domanda svolta, diretta alla condanna dello Stato “all’esercizio del potere egislativo, governativo e amministrativo per sconfinamento ed eccesso di potere giurisdizionale”, e il difetto di giurisdizione del giudice ordinario;
  2. il difetto di legittimazione ad agire dei singoli cittadini e delle associazioni attoree titolari di un mero interesse semplice e di fatto, non qualificato, né differenziato da quello della collettività generale;
  3. l’insussistenza di una responsabilità dello Stato, in mancanza di una obbligazione civile degli Stati nei confronti dei singoli riguardo agli interventi da adottare e stabiliti dalle fonti sovranazionali, a fronte del carattere planetario del fenomeno del surriscaldamento globale, non essendo peraltro i danni dedotti nell’atto introduttivo collegabili causalmente alla condotta dello Stato italiano.

La convenuta aveva altresì precisato che la richiesta condanna ex art. 2058 c.c. avrebbe comportato un'inammissibile intrusione del potere giudiziario nell'ambito delle competenze del Parlamento e del Governo, così violando il superiore principio della separazione dei poteri. Aveva poi escluso la configurabilità di una responsabilità della convenuta ai sensi dell’art. 2051 c.c. e da contatto sociale ex art. 1173 e 1218 c.c., in difetto dei presupposti di fatto e giuridici-normativi

Lo scenario europeo

Come ha ricordato il Tribunale, la domanda, poi dichiarata inammissibile, si inseriva nell’ambito di una serie di controversie azionate in diversi Paesi europei aventi quale comune denominatore la tematica del cambiamento climatico antropogenico.

Il riferimento è al contenzioso sviluppatosi a seguito del noto caso Urgenda, nell’ambito del quale lo Stato olandese, nel dicembre 2019, è stato condannato dalla Corte Suprema a ridurre del 25 % le emissioni di CO2 nell’atmosfera entro la fine del 2020 e del 40 % entro il 2030.

Successivamente, altre pronunce sono state rese in cause promosse in diversi Stati. Ad esempio, il Tribunale amministrativo di Parigi, con sentenza del 3 febbraio 2021, ha riconosciuto una responsabilità omissiva in relazione agli obiettivi e agli impegni comunitari e nazionali in materia derivanti dalla Decisione n. 406/2009/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 23 aprile 2009. Analogamente, la Corte Costituzionale tedesca, con sentenza del 29 aprile 2021, si è pronunciata sulla parziale incostituzionalità della legge federale sui cambiamenti climatici del 2019.

Il quadro normativo di riferimento

Il Giudice ha dapprima svolto un’ampia ricostruzione del quadro normativo di riferimento in materia di contrasto al fenomeno del riscaldamento globale.

A livello internazionale, sono stati richiamati i vari accordi intervenuti negli ultimi decenni. In particolare:

  • la Convenzione quadro delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico (UNFCCC) del 1992 e che rappresenta la prima risposta globale al problema;
  • il Protocollo di Kyoto del 1997, poi modificato dall’emendamento di Doha del 2012, ratificato dall’Italia e approvato dall’UE, con cui è stato previsto un rafforzamento degli impegni delle parti;
  • la Convenzione Aarhus del 1998, entrata in vigore in Italia nel 2001, ed il cui obiettivo è

quello di assicurare ai cittadini l’informazione e la partecipazione alle decisioni in materia di

ambiente;

-  l’Accordo di Parigi entrato in vigore nel 2016, firmato dall’EU e da tutti gli Stati membri,

con cui sono stati fissati alcuni obiettivi a lungo termine per la riduzione delle emissioni e piani

aggiornati in materia di clima.

Per quanto riguarda, poi, la normativa comunitaria, al fine di realizzare gli impegni assunti con l’accordo di Parigi, vengono in rilievo i piani europei per il clima.

La disciplina europea è contenuta in una serie di atti legislativi raggruppabili in due periodi. Il primo periodo dal 2007-2020 (pacchetto clima-energia 2020) ed il periodo 2021- 2030 (il cd. pacchetto "Energia pulita per tutti gli europei"). Il Consiglio UE del dicembre 2020 ha approvato un orientamento generale e ha indicato un obiettivo UE di riduzione interna netta delle emissioni di gas a effetto serra di almeno il 55% entro il 2030 rispetto ai livelli del 1990, per consentire all’UE il raggiungimento della neutralità climatica entro il 2050.

Inoltre, l’intero sistema normativo europeo è oggetto di una pregnante rivisitazione per effetto del c.d. Green Deal europeo (patto europeo per il Clima) rappresentato da un insieme di iniziative politiche, coinvolgenti diversi settori, proposte dalla Commissione europea al fine di raggiungere tale obiettivo.

L’eccezione di difetto di giurisdizione

Come si è anticipato in apertura,le domande sono state dichiarate inammissibili in relazione alla questione del difetto di giurisdizione, qualificata dallo stesso Giudice “delicata e complessa”.

Il Tribunale è giunto a tale conclusione prendendo le mosse dalla interpretazione delle domande formulate dagli attori.

In particolare, secondo il Giudice, gli attori avrebbero lamentato la lesione di una situazione giuridica soggettiva qualificata e differenziata da quella della collettività generale, non avendo attivato i rimedi previsti dall’ordinamento europeo per contestare la legittimità degli atti dell’UE. Neppure avrebbero inteso censurare gli atti emanati dalle istituzioni europee, né avrebbero esperito l’azione risarcitoria ex art. 340 TFUE. Inoltre, la pretesa risarcitoria non sarebbe neppure collegata, nella prospettiva attorea, alla violazione da parte dello Stato degli obblighi assunti nell’ordinamento euro unitario.

In sintesi, gli attori avrebbero espressamente azionato un rimedio civilistico previsto dall’ordinamento italiano, individuando il fondamento normativo della domanda esperita negli artt. 2043 e 2051 c.c.

In effetti, come si è visto, la domanda era stata espressamente inquadrata nella fattispecie della responsabilità extracontrattuale ex art. 2043 c.c. (o, in subordine, ex art. 2051 c.c.), a fronte della lesione di un diritto di cui tutti gli esseri umani sono titolari, considerato diritto fondamentale della persona e presupposto di ogni altro diritto umano, anche nella prospettiva delle generazioni future, con richiamo alla c.d. tutela intergenerazionale dei diritti umani che troverebbe fondamento nell’art. 2 della Cost.

Secondo il Tribunale, con la pretesa risarcitoria azionata, sarebbe stato chiesto, nella sostanza, al giudice civile, di imporre alle Autorità statali la forzata adozione di una politica normativa necessaria al fine di contrastare il grave e complesso fenomeno del cambiamento climatico, evidentemente nelle materie dove può risultare più incisiva l’azione per fronteggiare il grave fenomeno in atto (settore energetico, industriale, della agricoltura, dei trasporti, dei rifiuti ecc.). Tuttavia, così facendo, si chiederebbe di imporre allo Stato la realizzazione di un preciso risultato più ambizioso di quello previsto a livello euro unitario.

Orbene, a dire del Giudice, l’interesse di cui si è invocata la tutela risarcitoria ex artt. 2043 e 2051 c.c., non rientrerebbe nel novero degli interessi soggettivi giuridicamente tutelati, in quanto “le decisioni relative alle modalità e ai tempi di gestione del fenomeno del cambiamento climatico antropogenico - che comportano valutazioni discrezionali di ordine socio-economico e in termini di costi-benefici nei più vari settori della vita della collettività umana - rientrano nella sfera di attribuzione degli organi politici e non sono sanzionabili nell’odierno giudizio”. Difatti, con l’azione civile proposta, gli attori avrebbero chiesto al Tribunale di annullare i provvedimenti anche normativi di carattere primario e secondario che costituiscono “attuazione delle scelte politiche del legislatore e del governo per il raggiungimento degli obiettivi assunti a livello internazionale ed europeo (nel breve e lungo periodo) in violazione di un principio cardine dell’ordinamento rappresentato dal principio di separazione dei poteri”.

Pertanto, nel contestare l’inadeguatezza e l’insufficienza della condotta dello Stato nel contrastare i

cambiamenti, gli attori avrebbero lamentato una responsabilità del c.d. Stato-legislatore, non predicabile fuori dai casi di violazione del diritto dell’Unione europea.

In conclusione, secondo il Tribunale, le domande sarebbero inammissibili per difetto assoluto di giurisdizione.

Alcuni commentatori hanno parlato della pronuncia in esame come di un’occasione persa.

È davvero così?

L’atto di citazione era stato notificato nel giugno del 2021, la sentenza è stata pubblicata alla fine del mese di febbraio 2024. Si dice che tutto arriva in tempo per chi sa aspettare. In un momento storico in cui non si può più parlare (solo) di cambiamento climatico, bensì di crisi climatica, forse l’attesa è un’opzione che non può più essere neppure tollerata.

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Maria Santina Panarella
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