Nella sentenza del 15 novembre 2022 il Tribunale di Torino, ricostruite nel dettaglio le modalità di svolgimento delle prestazioni del rider, ha accertato, con riferimento al rapporto di lavoro instaurato da quest’ultimo con la società di food delivery, i caratteri propri della subordinazione.
Al fine di individuare il confine tra lavoro autonomo e lavoro subordinato, il Tribunale ha richiamato il consolidato orientamento della Corte di Cassazione secondo cui “l'elemento essenziale di differenziazione tra lavoro autonomo e lavoro subordinato consiste nel vincolo di soggezione del lavoratore al potere direttivo, organizzativo e disciplinare del datore di lavoro, da ricercare in base ad un accertamento esclusivamente compiuto sulle concrete modalità di svolgimento della prestazione lavorativa. In particolare, mentre la subordinazione implica l'inserimento del lavoratore nella organizzazione imprenditoriale del datore di lavoro mediante la messa a disposizione, in suo favore, delle proprie energie lavorative (operae) ed il contestuale assoggettamento al potere direttivo di costui, nel lavoro autonomo l'oggetto della prestazione è costituito dal risultato dell'attività (opus)” (v. Cass. n. 23324/2021).
Nella sentenza in commento è stata accertata la messa a disposizione da parte del rider delle proprie energie in favore dell’organizzazione imprenditoriale della società di food delivery e l’esercizio da parte di quest’ultima dei tre poteri caratterizzanti la subordinazione: potere direttivo, potere di controllo e potere disciplinare.
In relazione al potere direttivo, il Tribunale ha accertato la mancanza di autonomia del rider in relazione alla scelta del se e quando lavorare.
Invero, i rider sono risultati essere assoggettati nello svolgimento dell’attività lavorativa a puntuali indicazioni sotto ogni profilo. Tali indicazioni, per il Tribunale, “rendono il lavoro di ciascuno di essi completamente standardizzato, identico a quello degli altri e, come tale, del tutto fungibile. Pertanto è esclusa ogni autonomia al riguardo”.
La fase di affidamento della consegna è assoggettata a precise direttive. La stessa può avvenire solo utilizzando l’app scaricata sul cellulare, occorre trovarsi nella zona di consegna ed avere la batteria del cellulare carica almeno al 20%.
La scelta dell’ordine da consegnare viene fatta esclusivamente dall’algoritmo senza alcuna facoltà di scelta da parte del rider.
Anche per la fase esecutiva della consegna vi sono precise indicazioni da seguire sempre stabilite dall’app il cui utilizzo anche per tale fase risulta obbligatorio.
Lo stesso percorso da seguire per raggiungere il punto di ritiro e poi quello di consegna è stabilito dall’app. Il compenso, per la parte parametrata in km percorsi, viene calcolato in base al percorso suggerito dall’app.
Il mancato rispetto delle predette direttive impedisce di procedere nella sequenza presente sull’app stessa e, dunque, di formalizzare la conclusione della consegna e creare così le condizioni per ricevere l’ordine seguente.
Da ciò il Tribunale ha ritenuto che “tali direttive – specifiche, relative ad ogni singolo passaggio e sostanzialmente vincolanti – costituiscono indubbia espressione di una pesante eterodirezione dell’attività del ricorrente da parte della convenuta che la distingue nettamente dall’attività di consegna svolta da un lavoratore autonomo, il quale scelga personalmente come concretizzare ogni suo passaggio come, ad esempio, per quale esercente effettuare i trasporti e/o in quale zona effettuare le consegne, come orientarsi e quale percorso seguire, l’ordine con cui effettuare plurime consegne”.
Sotto il profilo dell’esercizio del potere di controllo è emerso che la società di food delivery, sempre attraverso la piattaforma digitale, è in grado di esercitare un controllo altrettanto esteso e pervasivo. Il sistema informatico registra per ogni rider gli slot prenotati, le informazioni del profilo del corriere, tutte le consegne accettate ed evase etc.
Infine, sotto il profilo del potere disciplinare, il Tribunale, ricordando l’orientamento della Corte di Cassazione, sent. n. 9343/2005, ha affermato “come la forte standardizzazione delle modalità della prestazione ed il suo assoggettamento a ‘continui controlli e diretti interventi di correzione’ riduca alquanto il possibile spazio di concreta presenza di un vero e proprio potere disciplinare”.
È la stessa piattaforma a ricondurre il rider al comportamento corretto rendendo ad es. automaticamente impossibile per quest’ultimo effettuare il check-in per lo slot prenotato se la batteria è sotto il 20% o se si trova fuori dalla zona di consegna.
I ricordati interventi di diretta correzione, avendo l’effetto di impedire al rider di lavorare e guadagnare, possono essere comparati alla sanzione disciplinare della sospensione dal lavoro e dalla retribuzione.
Anche l’articolato meccanismo di attribuzione di premi e punizioni conseguenti al come e il quando il rider lavora rientrano in tale schema non dissimile dall’esercizio di un potere disciplinare. La performance del rider è valutata in forza di vari parametri tutti connessi o alle modalità con cui lo stesso svolge la prestazione o alla sua produttivita nel tempo.
Secondo il Tribunale, “il sistema di reazioni al mancato rispetto da parte del rider delle numerose indicazioni che deve seguire nell’effettuare la consegna, così come la valorizzazione in termini di punteggio della sua produttività, lo collocano invece in una situazione analoga a quella del lavoratore subordinato”.
In tale contesto, l’attività che la società di food delivery svolge è ben diversa dall’attività di intermediazione tra esercenti e consumatori. La piattaforma, dice il Tribunale, “non si limita effettivamente a mettere in contatto gli uni con gli altri in uno spazio virtuale in cui i primi promuovono i loro prodotti e i secondo scelgono ciò che vogliono acquistare”, ma “offre un servizio aggiuntivo di ‘consegna ai consumatori’ … che realizza attraverso una complessa organizzazione incentrata sui rider e sulla loro gestione da parte della piattaforma”.
Con la conseguenza che nel caso di specie si è realizzata l’essenza stessa della subordinazione.
Per il testo integrale della sentenza clicca qui:
https://www.wikilabour.it/wp-content/uploads/2023/02/20221115_Trib-Torino.pdf
Sullo stesso argomento leggi anche:
La natura subordinata del rapporto di lavoro tra Uber Italy s.r.l. e i rider.
Riders e dati personali: arriva la multa del Garante privacy
https://www.bollettinoadapt.it/wp-content/uploads/2020/03/Cassazione-1663-2020-riders.pdf
Con la sentenza del 12 gennaio 2023 il Tribunale di Bologna ha respinto l’opposizione proposta dalla società Deliveroo Italy s.r.l., ai sensi dell’art. 28, co. 3, L. 300/70, contro il decreto di accoglimento del ricorso delle organizzazioni sindacali (Nidil Cgil di Bologna, Filt Cigl di Bologna e Filcams Cgil di Bologna) con cui era stata lamentata l’antisindacalità della condotta della società successivamente alla stipula di un CCNL tra Assodelivery e la sigla sindacale UGL Rider.
Il caso è del tutto sovrapponibile a quello affrontato dalla sentenza del Tribunale di Firenze del 24 novembre 2021 oggetto di un nostro precedente commento (v. per approfondimenti “Condotta antisindacale di Deliveroo Italy srl. Il Tribunale di Firenze condanna alla rimozione degli effetti”).
Le organizzazioni sindacali ricorrenti, così come nel caso affrontato dal Tribunale di Firenze, avevano contestato il comportamento di Deliveroo Italy s.r.l., che, con una comunicazione inoltrata a tutti i rider il 2 ottobre 2020, aveva imposto a questi ultimi, come condizione per continuare a lavorare, l’accettazione del contratto collettivo sottoscritto da UGL Rider, soggetto non qualificato avendo ricevuto un sostegno illegittimo, anche di natura finanziaria, da parte della stessa Deliveroo.
Il comportamento di Deliveroo aveva determinato la lesione del diritto delle ricorrenti alla consultazione, informazione e coinvolgimento in qualità di organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative, nonché del loro ruolo e della loro immagine nei confronti dei lavoratori iscritti.
1. – Sull’incompetenza del Tribunale di Milano
Il Tribunale, sulla scorta delle medesime motivazioni contenute nel decreto in data 9 febbraio 2021 del Tribunale di Firenze (relativo ad una causa ‘gemella’ proposta dalle medesime organizzazioni sindacali contro Deliveroo per analoghe condotte), ha ritenuto infondata l’eccezione di incompetenza sollevata dalla società opponente.
Il Tribunale di Bologna ha ritenuto sussistente la propria competenza e non quella del Tribunale di Milano, luogo della sede degli organi direttivi della società.
Nel decidere in tal senso ha richiamato quanto affermato nella sentenza n. 781 del 24 novembre 2021 dal Tribunale di Firenze e cioè: “Sussiste la competenza del giudice adito alla luce dell'ormai consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui ai fini della determinazione della competenza per territorio in tema di repressione di condotta antisindacale ai sensi dell'art. 28 della legge n. 300 del 1970 è rilevante il luogo di commissione del comportamento denunciato, non già il luogo in cui tale comportamento è stato deliberato. (Cfr tra le altre Cass Sez. 6 - L, Ordinanza n. 8938 del 19/04/2011, la quale ha affermato il principio, ai sensi dell'art. 360 bis, primo comma, cod. proc. civ. nonché Cass Sez. L, Ordinanza n. 23895 del 23/12/2004 e tutta la giurisprudenza ivi richiamata)”.
2. – Sull’ammissibilità del ricorso ex art. 28, co. 3, L. 300/70
Il Tribunale di Bologna, nella sentenza in commento, ha concluso per il rigetto dell’eccezione di inammissibilità del ricorso per inapplicabilità alla fattispecie in esame dell’art. 28, co. 3, L. 300/70.
Secondo la difesa di parte opponente lo strumento di cui all’art. 28 potrebbe essere azionato esclusivamente nei confronti di un datore di lavoro subordinato e non invece nei confronti di un committente di lavoro autonomo, parasubordinato o eterorganizzato, qual è Deliveroo.
Tale conclusione si desumerebbe, sempre secondo l’impostazione ermeneutica adottata dalla società di food delivery, da molteplici elementi quali la lettera della norma, che fa espresso riferimento al “datore di lavoro”, dal naturale ambito dell’azione sindacale e dall’area di applicazione della L. 300/1970, nonché dalla giurisprudenza di legittimità richiamata (Cass. 18975/2015). Sempre secondo la società il carattere eccezionale del rimedio previsto dall’art. 28, co. 3, L. 300/70 escluderebbe una sua applicazione analogica o estensiva al di fuori dello stretto contesto della subordinazione.
Il Tribunale, come già anticipato, non ha condiviso gli assunti di parte opponente e, a tal proposito, ha richiamato nella motivazione quanto affermato già dal Tribunale di Milano nel decreto n. 889/2021 e cioè che: “la disposizione di cui all’art. 28 St. Lav. si colloca in un momento temporale e storico non recente e che, dal 1970, vi sono stati numerosi interventi legislativi, da ultimo l’art. 2, dlgs 81/15. (…) La disposizione si colloca all’interno di una serie di interventi legislativi (decreti attuativi del JOB Act) con i quali si è inteso prendere consapevolezza delle numerose innovazioni, anche di carattere tecnologico che, negli ultimi anni, hanno caratterizzato il mondo del lavoro introducendo figure di lavoratori prima sconosciuti e forme di rapporti diversi da quelli tradizionali. Riprendendo la disposizione in esame, laddove la stessa estende la disciplina del rapporto subordinato ai rapporti di collaborazione, l’estensione non può che riguardare ogni profilo, sia di carattere sostanziale che processuale.
Riduttivo sarebbe, invero, se il legislatore avesse riconosciuto ai collaboratori un diritto privo della possibilità di tutela. A tale conclusione, si potrebbe replicare asserendo che i diritti estesi anche ai collaboratori potrebbero trovare sufficiente protezione attraverso la tutela ordinaria. L’azione prevista dall’art. 28 st. lav. è uno strumento d’urgenza finalizzato ad offrire alle associazioni sindacali un rimedio immediato, quindi diverso da quello di cui all’art. 414 c.p.c.”
Alla luce di ciò, l’espressa menzione del ‘datore di lavoro’ nell’art. 28 della L. 300/70 non costituisce argomento sufficiente per sottrarre alle organizzazioni, che operano nel quadro di rapporti di collaborazione, la tutela d’urgenza proprio alla luce del disposto del nuovo art. 2 del d.lgs. 81/2015.
Il Tribunale di Bologna ha poi richiamato quanto stabilito dalla Cassazione con la sentenza n. 1663/2020 secondo cui l’intenzione del legislatore con la norma sopra citata sarebbe stata proprio quella di selezionare, in un’ottica sia di prevenzione che rimediale, “taluni elementi ritenuti sintomatici ed idonei a svelare possibili fenomeni elusivi delle tutele previste per i lavoratori” e che “quando l'etero-organizzazione, accompagnata dalla personalità e dalla continuità della prestazione, è marcata al punto da rendere il collaboratore comparabile ad un lavoratore dipendente, si impone una protezione equivalente e, quindi, il rimedio dell'applicazione integrale della disciplina del lavoro subordinato”. Si tratta dunque di una “scelta di politica legislativa volta ad assicurare al lavoratore la stessa protezione di cui gode il lavoro subordinato”. Tale intento del legislatore, continua la Corte, “appare confermato dalla novella del 2019, “la quale va certamente nel senso di rendere più facile l'applicazione della disciplina del lavoro subordinato, stabilendo la sufficienza - per l'applicabilità della norma - di prestazioni "prevalentemente" e non più "esclusivamente" personali, menzionando esplicitamente il lavoro svolto attraverso piattaforme digitali e, quanto all'elemento della "etero-organizzazione", eliminando le parole "anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro", così mostrando chiaramente l'intento di incoraggiare interpretazioni non restrittive di tale nozione”.
Il Tribunale di Bologna, alla luce dell’orientamento giurisprudenziale in materia, ha ritenuto che l’intera disciplina della subordinazione e, in particolare, la disciplina in tema di repressione delle condotte antisindacali debba essere estesa anche ai rider, a prescindere dal nomen iuris attribuito dalle parti al contratto di lavoro.
Altresì privo di pregio è stato ritenuto l’argomento, svolto dalla società opponente, secondo il quale l’art. 28, co. 3, L. 300/70 farebbe riferimento alla sola disciplina sostanziale del rapporto di lavoro subordinato e non anche a quella processuale. L’art. 28 in verità non può considerarsi norma meramente processuale in quanto, secondo quanto affermato dal Tribunale di Bologna, “individua beni giuridici da tutelare, di rilevanza costituzionale (libertà ed attività sindacale e diritto di sciopero) e mira a reprimere, mediante uno strumento processuale di particolare efficacia (soprattutto considerata l’epoca in cui fu ideato!), qualunque comportamento, non tassativamente individuato, che leda i beni tutelati. Inoltre, i comportamenti da reprimere hanno sovente natura plurioffensiva, in quanto i beni tutelati non pertengono esclusivamente all’organizzazione sindacale, ma anche al singolo lavoratore. Appare innegabile che il diritto alla libertà e all’attività sindacale ed il diritto di sciopero siano diritti propri anche del singolo lavoratore e proprio per tale tipologia di diritti è stata individuata la fattispecie del diritto individuale ad esercizio collettivo. Ed invero, l’intreccio fra diritto processuale e diritto sostanziale e la possibile plurioffensività dei comportamenti antisindacali appare particolarmente evidente nel caso di azione ex art. 28 esercitata al fine della caducazione di un licenziamento antisindacale, appalesandosi in tal caso l’intreccio fra diritto del sindacato e diritto del singolo. L’interpretazione qui accolta sembra a questo giudicante avere anche il pregio di corrispondere al criterio ermeneutico di interpretazione della legge ordinaria secondo i principi costituzionali, atteso il particolare rilievo assegnato dalla Costituzione ai diritti sindacali (v.art.39 e 40 della Costituzione)”.
3. - La sussistenza dei requisiti di cui all’art. 2 d.lgs. n. 81/2015
Dopo aver affermato l’utilizzabilità in astratto dello speciale strumento di tutela previsto dall’art. 28, co. 3, L. 300/70 nell’ambito delle collaborazioni individuate dall’art. 2 D.Lgs 81/2015, il Tribunale ha verificato, con esito positivo, la sussistenza nel caso di specie dei presupposti di cui al predetto art. 2.
Secondo il Tribunale, le attività svolte dai rider in favore di Deliveroo “hanno natura prevalentemente personale, perché consistono nella prestazione di una attività lavorativa individuale e strettamente personale (senza ausilio di collaboratori) consistente nella consegna di cibo a domicilio”.
Nella sentenza in commento, il Tribunale specifica inoltre che il carattere della personalità della prestazione non può essere escluso per il fatto che le consegne vengono effettuate con l’uso di un mezzo di trasposto, come una bicicletta o un motociclo, nella disponibilità del rider. A tal proposito è stato richiamato l’orientamento della Corte di Cassazione in forza del quale il requisito della personalità della prestazione “non può escludersi “sulla base di una comparazione meramente quantitativa del capitale impiegato…. utilizzato per il servizio, rispetto all'apporto lavorativo in questione” e rilevando che nella comparazione del bene "capitale" rispetto al bene "lavoro", quest'ultimo va apprezzato non solo in termini quantitativi, di "tariffa", o corrispettivi, ma anche in termini qualitativi, di esclusività e di continuatività dell'attività prestata, in maniera stabile, senza ausilio di collaboratori, e in stretta dipendenza funzionale delle esigenze del committente (così già Cassazione civile sez. lav., 05/05/1999, n.4521 e molteplici successive conformi)”. Il Tribunale di Bologna ha dunque ritenuto che l’attività resa dai rider in favore di Deliveroo fosse “..sicuramente personale, non prevedendo la possibilità di avversi di collaboratori, nonché in stretta dipendenza funzionale con le esigenze del committente (che, senza riders, non potrebbe offrire alcun servizio) e viene prestata mediante l’impiego di mezzi modesti per consistenza e valore (una bicicletta o un motociclo e uno smartphone), di tal che, anche a voler procedere ad una comparazione “meramente quantitativa” (che la giurisprudenza di legittimità ha più volte dichiarato non corretta) comunque non potrebbe certo ritenersi la prevalenza del fattore “capitale” sul fattore lavoro”.
Quanto poi alla continuatività della prestazione, il Tribunale ha ritenuto che “se è vero (e pacifico) che il rider può rifiutare la singola proposta d’ordine così come può non prestare la propria attività lavorativa anche per lunghi periodi, è altrettanto vero che il rapporto tra Deliveroo e i suoi riders è strutturato come potenzialmente continuativo (tant’è che il contratto standard prevede una durata a tempo indeterminato, con recesso possibile a seguito di preavviso di 30 giorni) e che le prestazioni, nel loro concreto manifestarsi, risultano continuative, nel senso che non sono occasionali (cfr Corte appello Torino n. 26/19) e sono svolte in maniera reiterata nel tempo al fine di soddisfare un interesse duraturo del committente al continuativo adempimento… D’altro canto, la stessa incontestata previsione, in passato (fino al 2.11.2020), di un sistema di prenotazione basato sui parametri della “affidabilità” e “partecipazione” porta ad escludere la natura meramente occasionale della prestazione: che senso avrebbe infatti “premiare” i rider più attivi nelle fasce di picco di attività e più affidabili nello svolgimento della prestazione, se l’attività fosse strutturata come episodica o occasionale?”.
Infine, ha altresì ritenuto sussistente il carattere della etero-organizzazione “atteso che Deliveroo, tramite la piattaforma, organizza le attività di consegna e coordina il lavoro dei suoi riders. …una volta sottoscritto il contratto, il rider riceve delle credenziali che gli consentono di accedere alla applicazione (cd app) dal proprio smartphone; una volta fatto accesso alla app ed effettuato il log in, il rider riceve delle proposte d’ordine, che può accettare o meno (in precedenza, in particolare fino al 2.11.2020, era in vigore un sistema di prenotazione delle sessioni di lavoro, denominato SSB, ossia self service booking, che consentiva al rider di prenotare in anticipo una sessione di lavoro); una volta accettata la proposta d’ordine, il rider riceve l’indirizzo esatto dove deve recarsi per il ritiro del cibo da consegnare; durante la consegna, può essere contattato dalla società ma solo in casi eccezionali; il programma suggerisce il percorso da seguire per la consegna e monitora la prestazione attraverso una predeterminata scansione di fasi..”.
A conclusione di tale ragionamento, il Tribunale ha ritenuto sufficiente a legittimare l’utilizzo dello strumento processuale previsto dall’art. 28, co. 3, L. 300/70 la riconducibilità del rapporto alle collaborazioni eterorganizzate di cui all’art. 2, co. 1, l. 81/15 senza che fosse necessario a tal fine indagarne anche l’eventuale natura subordinata.
4. – Le condotte antisindacali poste in essere da Deliveroo Italy s.r.l.
4.1. - L’insussistenza in capo a Ugl Rider del requisito della maggiore rappresentatività.
Il Tribunale ha ritenuto fondate le argomentazioni addotte dalle organizzazioni sindacali convenute che avevano lamentato l’illegittimità e l’antisindacalità delle condotte poste in essere da Deliveroo.
È risultato pacifico in giudizio che Deliveroo fosse receduta da tutti i contratti in essere con i propri rider procedendo poi alla conclusione di nuovi contratti individuali secondo il contratto collettivo sottoscritto da UGL Rider.
Secondo il Tribunale la società opponente non aveva assolto all’onere probatorio sulla stessa gravante circa la maggiore rappresentatività del sindacato UGL Rider al fine di dimostrare l’assenza di profili di antisindacalità nel proprio agire.
All’esito dell’istruttoria è risultato del tutto assente in capo a UGL Rider il requisito della maggiore rappresentatività comparata a livello nazionale non essendo stata tale organizzazione sindacale convocata al tavolo ministeriale per la stipula del contratto collettivo dei rider. Ma anche perché prima della sottoscrizione del contratto collettivo del settembre 2020, UGL non aveva promosso per i rider alcuna iniziativa, né in sede giudiziaria né in sede di autotutela collettiva, e non aveva sottoscritto alcun altro accordo collettivo prima della firma del CCNL oggetto di causa. Non è stata dimostrata la rappresentatività di UGL Rider nemmeno in relazione alla consistenza numerica dei suoi iscritti. Al contrario è risultata dimostrata in giudizio la promozione da parte delle organizzazioni sindacali parti in causa di significative azioni giudiziarie a tutela degli interessi dei rider, la partecipazione delle stesse ai tavoli ministeriali, nonché la sottoscrizione da parte di queste ultime di vari contratti collettivi nel settore.
Sul punto il Tribunale di Bologna ha richiamato la sentenza del Tribunale di Firenze n. 781/2021 nella quale era stata affermata la natura di sindacato di comodo di UGL. La 'vicinanza' di UGL Rider alle posizioni datoriali era emersa, secondo il Tribunale di Firenze, dai seguenti elementi: “A) le modalità di sottoscrizione dell'accordo e cioè nell'ambito di una trattativa non pubblicizzata e parallela rispetto a quella in atto presso il Ministero del Lavoro cui partecipavano le associazioni sindacali giudicate maggiormente rappresentative dal Ministero stesso, tra cui figuravano le odierne ricorrenti ma non UGL ..; B) l'omissione di qualunque forma di confronto tra il sindacato e i riders circa il contenuto dell'accordo che UGL rider intendeva firmare …; C) l'assenza di vertenze collettive o individuali portate avanti da UGL (sia prima che dopo la firma dell'accordo) in favore dei riders..; D) il contenuto del contratto sottoscritto, che sostanzialmente riproduce la disciplina prevista nei contratti predisposti dalla odierna convenuta, (salvo le maggiorazioni previste per il lavoro notturno e festivo cfr tabella punto 78 del ricorso) e che, per la sua ritenuta non corrispondenza ad una tutela effettiva dei lavoratori, ha portato alla esclusione (con 87 voti a favore e 4 contro) dell'UGL dal Comitato Economico e Sociale Europeo..; E) l'arenamento (conseguente alla firma dell'accordo con UGL) delle trattative con le altre sigle sindacali per la firma di ulteriori e diversi contratti (ad oggi nessun altro accordo risulta firmato, nonostante l'attualità del problema e l'urgenza della disciplina del settore) che ha comportato, di fatto il riconoscimento dei diritti sindacali alla sola UGL”.
Tutto ciò premesso, secondo il Tribunale di Bologna il contratto collettivo sottoscritto nel settembre 2020 tra Assodelivery e UGL Rider, in assenza del requisito della maggiore rappresentatività comparata in capo a quest’ultima, non può essere idoneo a derogare alla disciplina di legge e quindi a produrre gli effetti di cui all’art. 47-quater, co. 1, del d.lgs. 81/2015.
4.2. - Il recesso unilaterale da tutti i contratti.
Sulla base di queste argomentazioni, deve essere affermata, secondo la sentenza, “la illegittimità e la antisindacalità della successiva condotta di Deliveroo che ha sostanzialmente imposto ai suoi rider l’adesione a nuove condizioni di contratto, conformi alle previsioni di un CCNL inidoneo a dettare validamente una disciplina prevalente rispetto a quella legale in quanto appunto sottoscritto da un sindacato non rappresentativo”.
Altrettanto illegittima e antisindacale è risultata la condotta di Deliveroo “consistente nel recesso unilaterale e nella definitiva cessazione del rapporto con quei rider che hanno rifiutato la adesione alle nuove condizioni conformi alle previsioni di un CCNL concluso con una organizzazione sindacale priva del requisito della maggiore rappresentatività”.
Inoltre, per il tribunale di Bologna il fatto che Deliveroo sia iscritta alla associazione firmataria Assodelivery non elide la discriminatorietà ed antisindacalità della sua condotta, “poiché la società opponente è receduta unilateralmente da tutti i contratti in essere di fatto obbligando i suoi rider ad aderire alle condizioni della nuova contrattazione collettiva, sostanzialmente imponendo l’adozione di un determinato CCNL come condizione alla prosecuzione del rapporto”.
Il recesso è stato esercitato, in palese violazione dei principi di buona fede e correttezza, come “strumento di coazione della volontà del rider per indurlo – con la esplicita e francamente brutale minaccia della immediata e definitiva risoluzione del rapporto –all’accettazione di condizioni negoziali non conformi a legge”.
4.3. – La violazione degli obblighi di informativa
Parimenti antisindacale è stata ritenuta la condotta di Deliveroo, consistente nella violazione degli obblighi di informativa.
Deliveroo ha proceduto alla risoluzione di massa dei rapporti contrattuali in essere con i suoi rider, senza far precedere tale condotta da alcuna procedura di consultazione sindacale e di informativa.
Poiché i rapporti di lavoro dei rider sono assoggettati 'alla disciplina del rapporto di lavoro subordinato', comprensiva delle norme previste in materia di recesso unilaterale di ciascuna delle parti, deve ritenersi applicabile anche il regime delle tutele previste dalla l. 223/91, ivi comprese le procedure stabilite dall’art. 4 della predetta legge per l’ipotesi di licenziamento collettivo e che prevedono la comunicazione preventiva per iscritto alle associazioni di categoria aderenti alle confederazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale.
Il Tribunale di Bologna, dopo aver verificato che tale comunicazione era stata pacificamente omessa nei confronti delle organizzazioni ricorrenti, confermando il provvedimento di prime cure, ha ritenuto la condotta di Deliveroo lesiva delle prerogative sindacali.
Sullo stesso argomento leggi anche i seguenti articoli:
La natura subordinata del rapporto di lavoro tra Uber Italy s.r.l. e i rider.
Con la sentenza del 18 novembre 2021, in seguito ad un ricorso ex art. 409 c.p.c. proposto da alcuni ciclo-fattorini, il Tribunale di Torino, sezione lavoro, ha accertato la sussistenza tra questi ultimi e Uber Italy s.r.l. dell’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato.
1. - Il ricorso proposto dai ciclo-fattorini.
Con ricorso ex art. 409 c.p.c., alcuni rider hanno chiesto al Tribunale di Torino di accertare l’esistenza di un’interposizione fittizia di manodopera, in base alla quale Flash Road City – soggetto interposto – avrebbe formalmente assunto i rider, per metterli sostanzialmente a disposizione di Uber Italy s.r.l., unico effettivo datore di lavoro dei ciclo-fattorini. Tra le altre domande, i ricorrenti hanno altresì chiesto al Tribunale adito di accertare la costituzione tra loro e la società Uber Italy s.r.l. di un ordinario rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato ovvero la costituzione di un rapporto di lavoro ai sensi dell’art. 2 del d.lgs. 81/2015. In particolare, i ricorrenti hanno accusato Uber Italy s.r.l. di aver svolto l’attività di gestione dei fattorini addetti alle consegne utilizzando un intermediario, per l’appunto FRC, nei rapporti di lavoro senza che vi fosse alcun contratto di appalto.
Il Tribunale ha ritenuto di non dover verificare la sussistenza o meno della somministrazione irregolare o dell’interposizione illecita di manodopera, in quanto la sussistenza del rapporto di lavoro subordinato non risultava dedotta ex ante, ma in relazione ad essa è stato richiesto l’accertamento ex post in via giudiziale.
La domanda dei ricorrenti riguardante la sussistenza di un rapporto di lavoro di natura subordinata tra gli stessi e Uber Italy ha invece trovato accoglimento. Il Tribunale ha accertato che il reale centro d’imputazione del rapporto contrattuale con i rider sia stata la società Uber Italy s.r.l. e non certo l’impresa FRC. I contratti stipulati con FRC sono stati dichiarati nulli ai sensi dell’art. 1343 c.c. in quanto connotati da una causa in concreto illecita, quali mezzi per eludere l’applicazione delle norme imperative relative alla disciplina del lavoro subordinato.
Non hanno, al contrario, trovato accoglimento le domande dei ricorrenti volte ad ottenere il risarcimento del danno per la violazione della normativa in materia di trattamento dei dati personali e sui controlli a distanza e per violazione delle norme sulla sicurezza sul lavoro.
2. - Il ruolo di Flash Road City (FRC) quale longa manus operativa della società Uber Italy s.r.l.
Uber Italy s.r.l. ha organizzato il servizio di consegna a domicilio mediante l’assunzione diretta dei ciclo-fattorini, ma anche attraverso l’affidamento in gestione dell’attività ad imprese terze come la Flash Road City. Tale società, con un capitale versato di 1.000 € ed un unico addetto all’impresa, è risultata del tutto priva dell’organizzazione di mezzi necessaria a gestire la flotta dei rider che, secondo le indagini della Procura di Milano, superava le 700 unità tra il 2018 e il 2019.
Nella sentenza in commento è stato accertato che la Flash Road City (FRC) ha agito sotto gli ordini e la direzione della società Uber Italy s.r.l. Diversi gli indicatori a sostegno di tale affermazione. L’addetto di FRC, il quale effettuava personalmente i colloqui agli aspiranti rider, ha riferito in giudizio che ai fattorini veniva fatto chiaramente intendere che avrebbero lavorato per conto della società genericamente chiamata “Uber”. In sede di colloquio, veniva spiegato ai lavoratori che avrebbero dovuto utilizzare il mezzo proprio per lavorare (bicicletta o motorino), avrebbero dovuto possedere un telefono moderno per poter scaricare l’app Uber Driver (alcune sim non andavano bene) e che il compenso sarebbe stato di 3,50 euro netti a consegna. L’addetto di FRC faceva firmare prima un precontratto al fine di scongiurare il rischio che la stipula del definitivo rappresentasse per il rider solo l’espediente per domandare la regolarizzazione della propria presenza sul territorio italiano. In seguito alla firma del precontratto ai lavoratori veniva consegnato lo zaino per trasportare cibi e bevande e altro materiale per lavorare (“anche la tuta da pioggia che però non c’era sempre”). Dall’istruttoria in giudizio è emerso che il compenso per le prestazioni veniva erogato da Uber Italy s.r.l. ad FRC e poi quest’ultima procedeva a corrispondere il pagamento ai singoli corrieri.
Dalla documentazione allegata in giudizio è emerso che l’intera attività lavorativa dei rider era scandita nei tempi e nei modi dalle indicazioni provenienti dall’applicazione Uber Driver gestita da Uber Italy s.r.l., vero datore di lavoro dei rider. Sia con riferimento al luogo che al quomodo della prestazione l’attività dei rider era in toto predeterminata dall’applicazione sul telefonino. L’attivazione e il blocco dell’account era gestita da Uber.
3. - Le modalità di svolgimento della prestazione dei rider e la natura subordinata del rapporto di lavoro instaurato.
Prima del 2019 ai rider veniva fatto firmare un contratto che riportava solo la dicitura “contratto di collaborazione occasionale”. Dopo il 2019, il lavoratore si obbligava a “svolgere una prestazione di lavoro autonomo occasionale avente ad oggetto l’attività di consegne di pasti”.
A prescindere dalla formulazione convenzionale attribuita dalle parti nel contratto, dall’istruttoria è emerso che i ciclo-fattorini solo formalmente avevano la facoltà di decidere se e quando collegarsi all’app e di decidere se e quando lavorare. I rider quotidianamente subivano pressioni ed esortazioni a collegarsi soprattutto nei giorni di pioggia o in occasione di eventi sportivi: “Ciao ragazzi, questa sera c’è la partita di calcio di Champions League Juventus – Atletico Madrid in TV e ci saranno più consegne. Ho bisogno del vostro aiuto se provate ad essere online alle 19:00. Potete guadagnare molti soldi!!! Grazie”….“oggi è domenica e ci sono più consegne… oggi ci sono bonus pioggia se rispettate tutte le regole”…..“per quanto riguarda te e gli altri due ragazzi che non hanno ricevuto la tuta da pioggia ok però siete solo in 3 a non avere ricevuto la tuta da pioggia le altre 18 persone ce l’hanno la tuta da pioggia e sanno benissimo che con la pioggia c’è molto più lavoro, si è più rischioso, ma è il rischio di questo mestiere, questo mestiere lavora di più in condizioni di clima avverse in condizioni di freddo, con il freddo e con la pioggia si lavora di più e noi ci dobbiamo essere perché se non garantiamo il servizio durante i giorni di pioggia Uber blocca definitivamente il servizio e nessuno di voi potrà continuare a lavorare e poi però non ci lamentiamo quando non si lavora quando non ci sono consegne perché è proprio questo il motivo perché se noi non garantiamo il servizio al cliente nei giorni di pioggia il cliente non ordina più perché abbiamo dato una cattiva pubblicità, dovete capire questa cosa”… “Nessuno online!! Perché? Vi ho detto che vi do i bonus! Andate online immediatamente. Nessuno online, complimenti ragazzi. Non ho parole per questa situazione. Se non riceverete il prossimo pagamento capirete la situazione?”.
Uber Italy s.r.l., attraverso FRC, ha compulsato il comportamento dei rider sotto la minaccia della sospensione dell’account. Qualora i rider si fossero connessi, avrebbero avuto l’obbligo di accettare tutte le consegne ricevute (“perché mi avete bloccato?” “se vuoi continuare a lavorare devi rispettare tutte le regole. Devi accettare tutte le consegne che ricevi sull’app, non puoi cancellare per la distanza e quando hai problemi devi chiamare il supporto Uber”… “Uber bloccherà i vostri account se non accettate tutte le consegne”… “accettate tutte le consegne, non potete cancellare per la lunga distanza”). La prospettazione della sospensione del pagamento è stata utilizzata da FRC come leva per indurre i rider ad accettare le consegne e rispettare le regole (“If you will not receive the next payment you understand the situation?”). La soluzione, ha sottolineato il Tribunale, è stata condivisa dai vertici di Uber Italy s.r.l.
Dall’istruttoria è ulteriormente risultato che FRC applicava penali sul compenso dei rider, ma tali penali erano conseguenza delle penali che Uber Italy s.r.l. applicava ad FRC “l’accettazione e cancellazione settimanale delle consegne influirà sul pagamento così: - penalità di € 0,50 per ogni consegna sarà applicata se la percentuale di accettazione è minore del 95% - penalità addizionale di € 0,50 sarà applicata per ogni consegna se la percentuale di cancellazione è più alta del 5%”.
Dal meccanismo di funzionamento della piattaforma digitale è emerso come fosse Uber Italy S.r.l. ad organizzare il tempo e le modalità di lavoro dei rider.
4. - La valutazione del contesto giurisprudenziale nazionale ed europeo.
Nella sentenza il Tribunale di Torino ha ricordato che “la questione circa la natura giuridica del rapporto intrattenuto fra i riders e le piattaforme digitali che ne organizzano l’attività è stata affrontata dalla giurisprudenza italiana ed europea negli ultimi anni, e l’attenzione dei giudici, al fine di accertare se i riders fossero lavoratori autonomi o subordinati, si è concentrata sul nesso tra le predeterminazione oraria per l’esercizio della loro attività e la sussistenza o meno di un vincolo di subordinazione”.
Un primo orientamento giurisprudenziale sviluppatosi in Italia ha escluso che il rapporto di lavoro instaurato tra le aziende di food delivery e i rider potesse avere natura subordinata essendo questi ultimi liberi di scegliere se e quando lavorare (v. Trib. Torino, 7 maggio 2018, n. 778; Trib. Milano, 10 settembre 2018, n. 1853).
La Corte d’appello di Torino con la sentenza n. 26/2019 del 4 febbraio 2019, poi confermata dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 1663/2020, ha riconosciuto la sussistenza di un’ipotesi di cui all’art. 2 del d.lvo. 81/2015, pur chiarendo che ciò non comporta la costituzione di un rapporto subordinato in quanto il fattorino “resta, tecnicamente, autonomo nell’esercizio della prestazione di lavoro”.
In senso opposto è andato il Tribunale di Palermo con la sentenza n. 3570 del 24 novembre 2020 che ha invece riconosciuto l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato tra le parti.
Anche la Corte di Giustizia dell’Unione Europea si è interrogata in merito all’effettiva libertà di scelta dei rider di poter rifiutare di rendere la prestazione lavorativa. In particolare, nella sua giurisprudenza la Corte di Giustizia ha chiarito che “l’elemento caratterizzante la condizione di subordinazione non è tanto l’etero-direzione, quanto piuttosto la etero-organizzazione, quale condizione che esclude una indipendenza organizzativa del lavoratore e implica, al contrario, la sua conseguente incapacità di offrire le sue prestazioni di servizio direttamente sul mercato ad altri potenziali utenti, assumendone in proprio il rischio imprenditoriale”.
Altre Corti Europee, avendo dubitato dell’autenticità della libera scelta dei rider se lavorare oppure no, hanno dichiarato la subordinazione del loro rapporto (v. Corte Suprema Spagnola sentenza n. 805/2020). Interessante è il riferimento alla sentenza francese della Cour de Cassation, Chambre Sociale del 4 marzo 2020 n. 374 relativa al diverso caso riguardante gli autisti di Uber. In relazione a tale sentenza il Tribunale di Torino ha evidenziato quanto segue “il prestatore di lavoro non è un partner commerciale; al contrario, nel momento della stipulazione del contratto, egli aderisce ad un servizio di trasporto interamente organizzato da Uber attraverso la piattaforma digitale e i sistemi di elaborazione algoritmici che ne determinano il funzionamento. L’autista che ricorre all’infrastruttura tecnologica non ha la possibilità di crearsi una propria clientela né di determinare liberamente le tariffe da applicare e, in tal modo, colloca la propria attività lavorativa entro un quadro di regole determinato dall’esterno. Dall’impossibilità di occupare una posizione autonomamente definita sul mercato dei servizi di trasporto sembra derivare una condizione di dipendenza economico-contrattuale che, nell’impostazione adottata dalla Corte francese, non è in grado di integrare da sola la subordinazione, atteso che la sentenza in esame valorizza l’inserimento del lavoro in un “service organisé” che “peut constituer un indice de subordination” soltanto quando “l’employeur en détermine unilatéralement les conditions d’exécution”. Quando è chiaro il carattere strumentale e integrato dell’attività del prestatore rispetto alla struttura economica della società, per raggiungere la soglia della subordinazione sarà sufficiente la presenza di indici che dimostrino la determinazione unilaterale delle regole destinate ai lavoratori. Questa prospettiva abbandona la ricerca di elementi di prova dell’esercizio dei poteri datoriali e valorizza diverse caratteristiche del rapporto che, unitariamente considerate, sono in grado di dimostrare che le “conditions d’exécution” della prestazione sono fissate dal titolare dell’organizzazione”.
Dalla sentenza della Grande Sezione della Corte di Giustizia UE 20 dicembre 2017, C-434/15 (vicenda UBER SYSTEM SPAIN), il Tribunale di Torino ha tratto conferma della natura della piattaforma digitale utilizzata da Uber Italy s.r.l. di impresa di trasporto e distribuzione e non di una piattaforma di intermediazione di servizi con la conseguenza che la stessa può bene essere titolare di un rapporto di lavoro con i suoi collaboratori. Ha così riconosciuto, viste le concrete modalità con le quali risulta essersi svolta l’attività lavorativa dei rider ricorrenti, un rapporto di lavoro subordinato fra la società Uber Italy s.r.l. ed i ricorrenti stessi e non solo un’ipotesi di collaborazione organizzata dal committente ex art. 2 D.L.vo n. 81/2015.
Il Tribunale di Torino ha poi specificato che “se fino ad ora il dibattito dottrinale e giurisprudenziale si è concentrato sulla ricerca di una distinzione qualitativa tra etero direzione ed etero organizzazione, ritenuta il discrimen fondamentale tra articolo 2 cit. e articolo 2094 c.c., tuttavia tale distinzione non appare centrale a fini qualificatori, perché “direzione” ed “organizzazione” sono entrambe componenti dell’attività imprenditoriale che è attività di direzione ed organizzazione dei fattori di produzione….In realtà, può affermarsi che ciò che davvero differenzia le due fattispecie – l’articolo 2094 c.c. e l’articolo 2 del D.L.vo n. 81/2015 – non è l’etero-direzione contrapposta all’etero-organizzazione, ma la “dipendenza” (intesa quale messa a disposizione da parte del lavoratore in favore dell’impresa del proprio tempo e delle proprie energie), tratto essenziale della subordinazione e non delle collaborazioni di cui all’art. 2 cit., dovendo il giudice verificare se e in quale misura il lavoratore abbia nel concreto la libertà di decidere il se e il quando della propria prestazione, anche verificando meccanismi contrattuali di incentivo/penalizzazione che, nei fatti, inducono il lavoratore a rendersi disponibile quanto più possibile”.
Dall’istruttoria è emerso non solo che il tempo di lavoro non dipendeva dalla libera determinazione del rider, ma anche che vi era un tempo variabile, ma consistente, in cui il rider per poter lavorare doveva mettere le proprie energie lavorative a disposizione del datore di lavoro, senza ricevere peraltro in cambio alcun compenso, e che tale disponibilità era resa obbligatoria dal funzionamento della piattaforma digitale.
Il Tribunale di Torino nella sentenza in commento ha infine concluso riconoscendo che “La collocazione del lavoratore nell'organizzazione imprenditoriale in modo di fatto obbligatorio, la messa a disposizione del datore di lavoro delle proprie energie lavorative sotto la direzione dell'app della piattaforma digitale, che fornisce indicazioni obbligatorie, passibili di essere solo accettate o rifiutate dal lavoratore e che, in tale ultimo caso, né comportano la possibile sospensione e, nei casi più gravi, il blocco, non può che ritenersi rientrare nel paradigma dell'articolo 2094 c.c., come interpretato dalla Corte Costituzionale con la sentenza numero 30 del 1996, non potendosi dubitare che sia il risultato dell'attività lavorativa che la sua organizzazione perseguono interessi unicamente datoriali e totalmente estranei al lavoratore”.
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