Il Tribunale di Busto Arsizio, con ordinanza del 21 marzo 2022, ha ritenuto discriminatoria la condotta del datore di lavoro che aveva adottato, nei confronti di due lavoratori non vaccinati, misure finalizzate al contenimento della Covid 19, di maggiore cautela rispetto a quelle vigenti all’epoca dei fatti.

L’antefatto processuale

La vicenda processuale trae origine dal ricorso proposto da due lavoratori i quali, dopo aver dato atto di non essersi sottoposti a vaccinazione anti Covid, hanno chiesto al Giudice del Lavoro di ordinare al datore la cessazione di condotte discriminatorie tenute nei loro confronti e consistenti nella richiesta di green pass (rafforzato) per l’accesso in azienda (nonostante la presentazione di un tampone rapido negativo nelle 48 ore precedenti), nello spostamento in sede distaccata “non riscaldata ed inidonea allo svolgimento dell’attività lavorativa” e nell’esercizio di pressioni affinchè si sottoponessero alla vaccinazione.

Il Tribunale, in composizione collegiale, all’esito del giudizio di reclamo, ha confermato l’ordinanza cautelare monocratica, ritenendo che le misure adottate dalla Società convenuta “all’interno dei luoghi di lavoro siano eccessive e lesive della libertà di autodeterminazione dei dipendenti”.

Il quadro normativo di riferimento

La vicenda decisa dall’ordinanza in commento risale al periodo settembre – ottobre 2021, quando ancora non era vigente l’obbligo di esibire il green pass (né base, né rafforzato) per accedere ai luoghi di lavoro.

Si rammenta che il D.L. n. 221 del 24 dicembre 2021, convertito con L. 18 febbraio 2022 n. 11 (per un primo commento del quale si rimanda all'articolo di Santina Panarella nel contributo Obbligo vaccinale covid per operatori sanitari ed esercenti professioni sanitarie: (per) ora la sospensione e il demansionamento dei no vax sono legge") ha esteso la platea dei lavoratori interessati dall’obbligo di green Pass rinforzato mentre il D.L. n. 1 del 7 gennaio 2022 ha introdotto l’obbligo vaccinale per tutti coloro che hanno compiuto i 50 anni. Solo a partire dal 15 febbraio 2022, dunque, per i lavoratori pubblici e privati con 50 anni di età è stata prevista la necessità di Green Pass c.d. rafforzato per l’accesso ai luoghi di lavoro.

Pertanto, all’epoca dei fatti di causa, sussisteva esclusivamente l’obbligo di green pass c.d. base, essendo consentito l’accesso al luogo di lavoro a fronte della presentazione (in alternativa all’attestato vaccinale) di un tampone negativo.

Il vaccino anti Covid 19 e la tutela dei lavoratori

Il Tribunale di Busto Arsizio individua la questione oggetto di giudizio nella verifica della compatibilità della scelta datoriale di isolare i dipendenti con l’obbligo di cui all’art. 2087 c.c. a carico del datore di lavoro di  adottare “le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”.

Il problema era già stato affrontato da diversi precedenti, con riguardo a particolari categorie di lavoraori (e soprattutto agli operatori sanitari), prima dell’introduzione dell’obbligo vaccinale (previsto per gli operatori sanitari dall’art. 4, D.L. n. 44/2021) e dell’obbligo di presentazione del green pass per l’accesso ai luoghi di lavoro.

Il primo provvedimento risale all’ordinanza del Tribunale di Belluno del 19 marzo 2021, commentata sul nostro sito da Santina Panarella nel contributo Se l’operatore socio-sanitario si rifiuta di vaccinarsi contro il Covid – 19, la sua collocazione in ferie forzate è legittima”. In quel caso, era stata reputata legittima la decisione di una struttura sanitaria che aveva posto in ferie forzate alcuni operatori no vax.

Nello stesso senso si sono espressi, in epoca successiva, il Tribunale di Verona, ord. 24 maggio 2021 e il Tribunale di Modena, ord. 19 maggio 2021, che  hanno rigettato le domande, proposte in via d'urgenza, da operatori sociosanitari  addetti aRSA, collocati in aspettativa non retribuita in ragione del rifiuto di sottoporsi al vaccino anti Covid 19.

In epoca più recente, il Tribunale di Roma, con ordinanza del 28 luglio 2021 (oggetto di un nostro commento dal titolo Legittima la sospensione dal lavoro e dalla retribuzione del lavoratore che non si è sottoposto a vaccino anti Covid 19) ha ritenuto legittima la sospensione dal lavoro e dalla retribuzione del dipendente che non si era sottoposto al vaccino anti Covid 19, a seguito del giudizio di idoneità con limitazioni (consistenti nel non poter entrare “in contatto con i residenti del villaggio”), espresso dal medico competente, a tutela della salute del lavoratore e del pubblico potenzialmente a contatto con il medesimo.

La soluzione adottata dal Tribunale di Busto Arsizio

Il Collegio, nell’ordinanza in esame, ha censurato la pretesa del datore di lavoro convenuo di “non ammettere il lavoratore munito di Green pass base ad operare nella propria postazione, all’interno del consueto ambiente lavorativo“ in quanto “misura che non tiene conto della particolarità della lavorazione (diverso discorso, come già detto, si può fare per il personale sanitario) e dell’esperienza e tecnica alla base dei protocolli anti Covid adottati nel nostro Stato tenuto conto delle conoscenze scientifiche in materia”.

Occorre evidenziare come il provvedimento in esame – ad onta di quanto si legge in qualche articolo di stampa, sulla base di una lettura superficiale delle motivazioni adottate dal Tribunale – non riguardi la previsione dell’obbligo vaccinale (peraltro nemmeno introdotto all’epoca dei fatti). La legittimità delle disposizioni che hanno previsto l’obbligo vaccinale per determinate categorie di cittadini è ormai affermata dalla costante giurisprudenza intervenuta in materia (v. tra le tante, Consiglio di Stato sentenza 20 ottobre 2021, n. 7045, commentata sul nostro sito: Per il Consiglio di Stato è legittimo l’obbligo vaccinale per i sanitari; ed ancora sentenza n. 6476 del 3 dicembre 2021, commentata sul nostro sito: L’obbligo vaccinale per i sanitari è legittimo e ragionevole).

Viene, invece, in rilievo nel caso di specie la diversa questione dei limiti delle misure che il datore può disporre nei confronti dei lavoratori non vaccinati ai fini del contenimento del contagio da Sars-Covid 2, in assenza di obbligo vaccinale. Il problema è qunque quello del contemperamento dell’obbligo di sicurezza dei luoghi di lavoro e del diritto all’autodeterimazione dei lavoratori.

Occorre muovere dal referente normativo, e dunque dal D.Lgs. 81/08.

In particolare, ai sensi dell’art. 15, lett. m), rientra nelle misure generali di tutela della salute sui luoghi di lavoro, a carico del datore, “l'allontanamento del lavoratore dall'esposizione al rischio per motivi sanitari inerenti la sua persona e l'adibizione, ove possibile, ad altra mansione”. L’art. 20, poi, impone ad ogni lavoratore di“prendersi cura della propria salute e sicurezza e di quella delle altre persone presenti sul luogo di lavoro, su cui ricadono gli effetti delle sue azioni o omissioni”.

Sembrerebbe dunque potersi trarre il corollario, colto dal Tribunale di Modena, nella citata ord. 19 maggio 2021, che “la protezione e salvaguardia della salute dell’utenza rientra nell’oggetto della prestazione esigibile” in quanto la “tutela della salute dell’utenza penetra nella struttura del contratto tanto da qualificare la prestazione lavorativa”.

In quest’ottica ci si può porre in una diversa prospettiva, che guarda all’incidenza della mancata copertura vaccinale sulla causa del contratto.

In assenza di un obbligo vaccinale si può ritenere che la scelta del dipendente di non sottoporsi al vaccino, non può legittimare l’adozione di provvedimenti limitativi della esplicazione della sua professionalità (quale l’assegnazione a mansioni diverse da quelle esplicate in epoca antecedente all’avvento della pandemia), se non nella misura in cui il contegno del lavoratore che decida di non vaccinarsi incida sulla oggettiva idoneità a svolgere determinate mansioni ovvero ponga in pericolo la salute di coloro che frequentano i luoghi di lavoro. Se dunque può ritenersi illegittima l’adozione di misure preventive ad hoc nei confronti del lavoratore non vaccinato in assenza di condizioni che possano porre in pericolo la salute del lavoratore stesso e dei terzi (si pensi a quello che era il caso di chi lavorava a contatto col pubblico prima dell’entrata in vigore dell’obbligo vaccinale), appare invece ragionevole prevedere da parte del datore di lavoro, per il tramite delle prescrizioni del medico competente, l’assegnazione a mansioni compatibili con la tutela della salute del lavoratore stesso e di tutti i soggetti con cui può venire potenzialmente in contatto, come visto oggetto di uno specifico dovere di sicurezza in capo allo stesso prestatore di lavoro.

Il Tar Lazio, con due decreti n. 4531 e 4532 del 2 settembre 2021 (che si allegano in calce), ha dichiarato la legittimità dei provvedimenti ministeriali che prevedono la sospensione del docente senza green pass, atteso che il diritto a non vaccinarsi non è assoluto e intangibile in presenza di diritti fondamentali di rango superiore come quello alla salute pubblica.

I provvedimenti impugnati

La vicenda processuale origina da due ricorsi proposti da alcuni docenti e da una sigla sindacale (Anief) nei confronti del Ministero dell’Istruzione per l’annullamento:

  • del Decreto del Ministero dell’Istruzione del 6 agosto 2021, nella parte in cui sancisce che "è essenziale che il personale docente e non docente, su tutto il territorio nazionale, assicuri piena partecipazione alla campagna di vaccinazione";
  • della Nota AOODPIT prot. n. 1237 del 13 agosto 2021 del Ministero dell'Istruzione, nella parte in cui pone a carico del personale scolastico “un obbligo di possesso e un dovere di esibizione della certificazione verde”,qualifica il mancato possesso della certificazione verde come “assenza ingiustificata” e sancisce che “il personale scolastico che ne è privo non può svolgere le funzioni proprie del profilo professionale, né permanere a scuola,…. oltre l'anzidetta sanzione della sospensione del rapporto di lavoro e di quella amministrativa, comminabili a partire dal quinto giorno - per norma dicarattere generale, anche per quelle comprese fra il primo e il quarto giorno, al personale non sono dovute “retribuzione né altro compenso o emolumento,comunque denominato”;
  • della Nota del Ministero dell'Istruzione AOODPPR prot. n. 900 del 18 agosto 2021, nella parte in cui dispone che le scuole potranno utilizzare parte delle risorse assegnate, e in corso di assegnazione, per l'effettuazione tramite le ASL o strutture diagnostiche convenzionate di tamponi nei confronti del solopersonale scolastico fragile, dunque esentato dalla vaccinazione”;
  • del Protocollo d'intesa per l'avvio in sicurezza dell'anno scolastico 2021/2022 nel rispetto delle norme per il contenimento della diffusione del Covid-19, nella parte in cui conferma l'obbligo dei soli dipendenti non vaccinati di effettuare il tampone, senza prevedere la gratuità dei tamponi effettuati da tutto il personale non vaccinato, ed impone che “ciascun lavoratore è tenuto ad informare tempestivamente il Dirigente scolastico o un suo delegato di eventuali contatti stretti con persone positive, della presenza di qualsiasisintomo influenzale durante l'espletamento della propria prestazione lavorativa o della presenza di sintomi negli studenti presenti all'internodell'istituto”.
Il quadro normativo di riferimento

I provvedimenti impugnati dai docenti ricorrenti costituiscono la mera applicazione delle previsioni di cui all’art. 9 ter D.L. 52/2021, il quale – “al fine di tutelare la salute pubblica e mantenere adeguate condizioni di sicurezza nell'erogazione in presenza del servizio essenziale di istruzione” – pone in capo a “tutto il personale scolastico del sistema nazionale di istruzione e universitario, nonché gli studenti universitari” l’obblogo di possedere ed esibire “la certificazione verde COVID-19”. Il comma 2 della medesima norma individua, nel mancato rispetto delle disposizioni cui sopra, una “assenza ingiustificata e a decorrere dal quinto giorno di assenza il rapporto di lavoro” con sospensione dal lavoro e dalla retribuzione.

Già sotto tale profilo, dunque, le previsioni ministeriali non possono riteneresi illegittime.

Il preteso diritto del docente a non vaccinarsi

A quanto è dato desumere dalla parte motivata, i ricorrenti individuano nelle previsioni dei provvedimenti impugnati una violazione (o, almeno, limitazione) del diritto alla salute, che troverebbe concretizzazione nel diritto a non vaccinarsi.

Il Tar rileva che tale diritto “non ha valenza assoluta né può essere inteso come intangibile, avuto presente che deve essere razionalmente correlato econtemperato con gli altri fondamentali, essenziali e poziori interessi pubblici quali quello attinente alla salute pubblica a circoscrivere l’estendersi della pandemia e a quello di assicurare il regolare svolgimento dell’essenziale servizio pubblico della scuola in presenza”.

Il Tribunale, dunque, non si ferma al piano formalistico, ma opera un bilanciamento dei diversi interessi involti, concludendo nel senso della prevalenza degli interessi di natura pubblicistica (quali quello alla salute pubblica o all’esercizio del servizio pubblico scolastico) rispetto a quello individuale a non vaccinarsi.

Le argomentazioni proposte dal Tar si inseriscono nel solco tracciato dalla Corte Europea dei diritti dell’Uomo (Decisione dell’8 aprile 2021, Caso di Vavřička and Others v. the Czech Republic, commentata sul nostro sito da Maria Santina Panarella, "Corte Europea dei diritti dell’Uomo: i vaccini obbligatori possono essere considerati necessari in una società democratica"), che ha defiito come “Necessary in a democratic society” le misure nazionali, adottate dalla Repubblica Ceca, prevedenti l’obbligatorietà di vaccini.

Peraltro, e come pure rileva il Tar, il diritto a non sottoporsi a vaccino è garantito dalla legge attraverso la possibilità di ottenere il green pass tramite la presentazione di un tampone, molecolare o antigenico, che attesti la negatività al Sars-Cov 2.

Dal momento in cui l’ottenimento del green pass tramite l’esecuzione del tampone, in alternativa al vaccino, è previsto, nell’impianto delineato dal legislatore, ad esclusiva tutela della scelta del docente a non vaccinarsi, il Tribunale ritiene ragionevole che “il costo del tampone venga a gravare sul docente che voglia beneficiare di tale alternativa”.

La la sospensione docente senza green pass

Calando tali principi sul piano del rapporto di lavoro del personale scolastico, alla violazione dell’obbligo di presentare il green pass per l’esercizio di attività in ambito scolastico, previsto dal art. 9 ter, co. 1, D.L. 52/2021, consegue automaticamente la sospensione del docente senza green pass, dal lavoro e dalla retribuzione, sancita dall’art. 9 ter, co. 2, sopra trascritto.

Tale conclusione, anche a prescindere da una espressa previsione normativa in tal senso, è condivisa da un orientamento giurisprudenziale che si sta anadando consolidando, e che ritiene legittima la sospensione del lavoratore non vaccinato anche ove non sia previsto l’obbligo di vaccinarsi ovvero di presentare il green pass, in caso di attività lavorative a contatto col pubblico.

Così, di recente, Il Tribunale di Roma, con ordinanza del 28 luglio 2021 (per un commento del provvedimento si richiama il nostro articolo “Legittima la sospensione dal lavoro e dalla retribuzione del lavoratore che non si è sottoposto a vaccino anti Covid 19”) ha dichiarato la legittimità sospensione dal lavoro e dalla retribuzione del dipendente di un villaggio, che non si era sttoposto al vaccino anti Covid 19, e pertanto ritenuto, dal medico comptetente, inidoneo alle mansioni espletate, a tutela della salute del lavoratore e del pubblico potenzialmente a contatto con il medesimo.

Nello stesso senso, si erano espressi il Tribunale di Verona, ord. 24 maggio 2021 e il Tribunale di Modena, ord. 19 maggio 2021, che  hanno rigettato le domande, proposte in via d'urgenza, da operatri sociosanitari operanti presso RSA, collocati in aspettativa non retribuita in ragione del rifiuto di sottoporsi al vaccino anti Covid 19. Ed ancora il Tribunale di Belluno, ord. del 19 marzo 2021, commentata sul nostro sito da Santina Panarella nel contributo “Se l’operatore socio-sanitario si rifiuta di vaccinarsi contro il Covid – 19, la sua collocazione in ferie forzate è legittima”. In quel caso, era stata reputata legittima la decisione di una struttura sanitaria che aveva posto in ferie forzate alcuni operatori “no vax”.

In conclusione, la previsione dell’obbligo di presentare il green pass in capo al personale scolastico risponde perfettamente alla ratio di tutela della salute pubblica, prevalente sul diritto a non vaccinarsi. La sospensione del docente senza green pass costituisce una conseguenza ineludibile, sia a tutela della salute pubblica, sia in ragione del venire meno della sinallagmaticità del rapporto.

Il controllo del green pass e la tutela dei dati personali

Allo stato, la disciplina legislativa (art. 9 ter D.L. 52/2021) individua nei “dirigenti scolastici e i responsabili dei servizi educativi dell'infanzia nonché delle scuole paritarie e delle università” i soggetti tenuti a verificare il possesso della certificazione verde.

Quanto alle modalità di trattamento dei dati emergenti dalla certificazione, in attesa dell’emanazione del DPCM, da adottare ai sensi dell’art. 9, co. 10, del citato decreto legge n. 52/2021, non potrà che aversi riguardo alla normativa, europea e nazionale, in materia di trattamento dei dati personali.

I due decreti in commento escludono possa individuarsi nelle disposizioni che prevedono l’obbligo di esibizione del certificato verde la violazione della normativa in materia trattamento dei dati personali, nella misura in cui il personale deputato al cotrollo “abbia riportato fedelmente l’esito degli stessi al Dirigente scolastico”.

Nello stesso senso è legittima, secondo il Tar, la previsione dell’obbligo in capo al lavoratore di informare il datore di lavoro circa contatti stretti con persone positive o presenza di sintomatologia da Covid-19, trattandosi di obblogo “essenziale per individuare e circoscrivere tempestivamente situazioni di potenziale contagio al fine di assicurare il regolare svolgimento della didattica in presenza”.

Il Tribunale di Roma, con ordinanza del 28 luglio 2021 ha ritenuto legittima la sospensione del dipendente che non si è sottoposto al vaccino anti Covid 19, sino alla cessazione delle limitazioni imposte dal medico competente, a tutela della salute del lavoratore e del pubblico potenzialmente a contatto con il medesimo.

A quanto è dato apprendere dalla motivazione, il datore di lavoro aveva comunicato la sospensione dall’attività lavorativa ad una dipendente, addetta ad un villaggio turistico, a seguito del giudizio di idoneità con limitazioni (consistenti nel non poter entrare “in contatto con i residenti del villaggio”), espresso dal medico competente, in assenza di posizioni lavorative confacenti alla professionalità della ricorrente.

La lavoratrice ha impugnato il provvedimento, sostenendo di non essere soggetta ad obbligo vaccinale e che la sospensione avrebbe costituito un (illegittimo) provvedimento disciplinare conseguente al rifiuto della dipendente di sottoporsi al vaccino.

Il Tribunale di Roma ha escluso, innanzi tutto, che il provvedimento di sospensione disposto dal datore di lavoro integrasse una sanzione disciplinare, essendo invece connesso alla “parziale inidoneità alle mansioni della lavoratrice” espressa dal medico competente. Ha quindi concluso nel senso della legittimità, ed anzi doverosità, della sospensione del dipendente che non si è sottoposto al vaccino anti Covid 19, a tutela della salute e sicurezza dei lavoratori e dei terzi, di cui il datore è garante, ai sensi dell’art. 2087 c.c. e del D.Lg.s 81/2008. Il Giudice capitolino ha poi ritenuto legittima la sospensione del pagamento della retribuzione, essendo venuta meno la sinallagmaticità del rapporto, in assenza della prestazione lavorativa.

L’ordinanza in commento costituisce un ulteriore tassello nel dibattito giurisprudenziale circa le conseguenze sul rapporto di lavoro del rifiuto di sottoporsi al vaccino anti Covid, anche in assenza di disposizioni legislative che lo impongano.

Nel caso deciso dal Tribunale di Roma, infatti, la lavoratrice non era sottoposta all’obbligo vaccinale (invece previsto per gli operatori sanitari dall’art. 4, D.L. n. 44/2021: v. sul punto il contributo di Maria Santina Panarella, "Obbligo vaccinale covid per operatori sanitari ed esercenti professioni sanitarie: (per) ora la sospensione e il demansionamento dei no vax sono legge") né alla presentazione del green pass per l’accesso ai luoghi di lavoro.

La giurisprudenza che per prima ha affrontato la questione, con riguardo in particolare agli operatori sanitari, ha individuato nell’art. 2087 c.c. un obbligo in capo al datore di imporre al lavoratore la vaccinazione anti Covid, motivando sulla base necessità di tutelare l'interesse prevalente dei soggetti assistiti. 

Il primo provvedimento risale all’ordinanza del Tribunale di Belluno del 19 marzo 2021, commentata sul nostro sito da Maria Santina Panarella nel contributo “Se l’operatore socio-sanitario si rifiuta di vaccinarsi contro il Covid – 19, la sua collocazione in ferie forzate è legittima”. In quel caso, era stata reputata legittima la decisione di una struttura sanitaria che aveva posto in ferie forzate alcuni operatori “no vax”.

Nello stesso senso si sono, più di recente, espressi il Tribunale di Verona, ord. 24 maggio 2021 e il Tribunale di Modena, ord. 19 maggio 2021, che  hanno rigettato le domande, proposte in via d'urgenza, da operatri sociosanitari operanti presso RSA, collocati in aspettativa non retribuita in ragione del rifiuto di sottoporsi al vaccino anti Covid 19.

Il Tribunale di Roma, facendo leva sulle limitazioni imposte dal medico competente, si pone in una diversa prospettiva, che guarda all’incidenza della mancata copertura vaccinale sulla causa del contratto. In questa prospettiva, l’“ingiustificato contegno astensivo” del lavoratore, in quanto tale da porre in pericolo la salute propria e dell’utenza, determina l’inesigibilità della prestazione lavorativa, certificata dalle limitazioni fissate dal medico competente.

Occorre muovere dal referente normativo, e dunque dal D.Lgs. 81/08.

In particolare, ai sensi dell’art. 15, lett. m), rientra nelle misure generali di tutela della salute sui luoghi di lavoro, a carico del datore, “l'allontanamento del lavoratore dall'esposizione al rischio per motivi sanitari inerenti la sua persona e l'adibizione, ove possibile, ad altra mansione”. L’art. 20, poi, impone ad ogni lavoratore di“prendersi cura della propria salute e sicurezza e di quella delle altre persone presenti sul luogo di lavoro, su cui ricadono gli effetti delle sue azioni o omissioni”.

Sembrerebbe dunque potersi trarre il corollario, colto dal Tribunale di Modena, ord. 19 maggio 2021, che “la protezione e salvaguardia della salute dell’utenza rientra nell’oggetto della prestazione esigibile” in quanto la “tutela della salute dell’utenza penetra nella struttura del contratto tanto da qualificare la prestazione lavorativa”.

Sviluppando questi rilievi il datore sarebbe tenuto a sospendere il lavoratore no vax ove questi svolga attività a contatto con il pubblico. Questa considerazione sarebbe invero difficilmente conciliabile con l’apparato normativo a tutela della privacy del lavoratore, non essendo presente, allo stato, nel nostro ordinamento una disposizione di legge che imponga al dipendente di fornire informazioni circa il proprio stato vaccinale.

Sul punto, è intervenuto anche il Garante della Privacy, nell’ambito del recente Provvedimento del 22 luglio 2021 (avente ad oggetto l’ordinanza n. 75 del 7 luglio 2021 della Regione Siciliana, ove è stato tra l’altro previsto, all’art. 3, che tutti i dipendenti a contatto diretto con l’utenza siano “formalmente invitati” a ricevere la vaccinazione e, in assenza di questa, assegnati ad altra mansione).

L’Autorità ha premesso che i trattamenti di dati personali relativi allo stato vaccinale dei dipendenti pubblici e degli enti regionali, determinando limitazioni dei diritti e delle libertà individuali, possono essere introdotte solo da una norma nazionale di rango primario, previo parere dell’Autorità.

Ha quindi chiarito che il trattamento dei dati personali anche relativi alla vaccinazione dei dipendenti, può certamente essere effettuato dal solo del medico competente (art. 9, parr. 2, lett. h), e 3 del Regolamento GDPR; cfr. anche art. 2-sexies, comma 2, lett. u), del Codice in materia di Protezione dei Dati Personali), stante gli specifici limiti per il trattamento di tali dati da parte del datore di lavoro, ma ciò “deve comunque avvenire nei limiti e alle condizioni stabilite dalla richiamata disciplina di settore in materia di sicurezza sul lavoro”.

Le conclusioni cui è pervenuto il Tribunale di Roma, secondo cui è legittima la sospensione del dipendente che non si è sottoposto al vaccino anti Covid 19, sono perfettamente compatibili con questo quadro normativo, contemperando ragionevolmente le esigenze di tutela della salute con il diritto alla riservatezza del lavoratore.

Allo stato dell’arte, ed in attesa di un intervento legislativo che disciplini l’obbligo vaccinale, si può ritenere che, da un lato, la scelta del dipendente di non sottoporsi al vaccino, in assenza di un obbligo di fonte legislativa, non può legittimare l’adozione di provvedimenti disciplinari, dall’altro, il contegno del lavoratore che decida di non vaccinarsi, incidendo sulla oggettiva idoneità a svolgere determinate mansioni, impone, per il tramite delle prescrizioni del medico competente, la sospensione del lavoratore (ove non sia possibile l’assegnazione a mansioni compatibili), a tutela della salute del lavoratore stesso e di tutti i soggetti con cui può venire potenzialmente in contatto, come visto oggetto di uno specifico dovere di sicurezza in capo allo stesso prestatore di lavoro.

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