Il Tribunale di Busto Arsizio, con ordinanza del 21 marzo 2022, ha ritenuto discriminatoria la condotta del datore di lavoro che aveva adottato, nei confronti di due lavoratori non vaccinati, misure finalizzate al contenimento della Covid 19, di maggiore cautela rispetto a quelle vigenti all’epoca dei fatti.
L’antefatto processuale
La vicenda processuale trae origine dal ricorso proposto da due lavoratori i quali, dopo aver dato atto di non essersi sottoposti a vaccinazione anti Covid, hanno chiesto al Giudice del Lavoro di ordinare al datore la cessazione di condotte discriminatorie tenute nei loro confronti e consistenti nella richiesta di green pass (rafforzato) per l’accesso in azienda (nonostante la presentazione di un tampone rapido negativo nelle 48 ore precedenti), nello spostamento in sede distaccata “non riscaldata ed inidonea allo svolgimento dell’attività lavorativa” e nell’esercizio di pressioni affinchè si sottoponessero alla vaccinazione.
Il Tribunale, in composizione collegiale, all’esito del giudizio di reclamo, ha confermato l’ordinanza cautelare monocratica, ritenendo che le misure adottate dalla Società convenuta “all’interno dei luoghi di lavoro siano eccessive e lesive della libertà di autodeterminazione dei dipendenti”.
Il quadro normativo di riferimento
La vicenda decisa dall’ordinanza in commento risale al periodo settembre – ottobre 2021, quando ancora non era vigente l’obbligo di esibire il green pass (né base, né rafforzato) per accedere ai luoghi di lavoro.
Si rammenta che il D.L. n. 221 del 24 dicembre 2021, convertito con L. 18 febbraio 2022 n. 11 (per un primo commento del quale si rimanda all'articolo di Santina Panarella nel contributo “Obbligo vaccinale covid per operatori sanitari ed esercenti professioni sanitarie: (per) ora la sospensione e il demansionamento dei no vax sono legge") ha esteso la platea dei lavoratori interessati dall’obbligo di green Pass rinforzato mentre il D.L. n. 1 del 7 gennaio 2022 ha introdotto l’obbligo vaccinale per tutti coloro che hanno compiuto i 50 anni. Solo a partire dal 15 febbraio 2022, dunque, per i lavoratori pubblici e privati con 50 anni di età è stata prevista la necessità di Green Pass c.d. rafforzato per l’accesso ai luoghi di lavoro.
Pertanto, all’epoca dei fatti di causa, sussisteva esclusivamente l’obbligo di green pass c.d. base, essendo consentito l’accesso al luogo di lavoro a fronte della presentazione (in alternativa all’attestato vaccinale) di un tampone negativo.
Il vaccino anti Covid 19 e la tutela dei lavoratori
Il Tribunale di Busto Arsizio individua la questione oggetto di giudizio nella verifica della compatibilità della scelta datoriale di isolare i dipendenti con l’obbligo di cui all’art. 2087 c.c. a carico del datore di lavoro di adottare “le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”.
Il problema era già stato affrontato da diversi precedenti, con riguardo a particolari categorie di lavoraori (e soprattutto agli operatori sanitari), prima dell’introduzione dell’obbligo vaccinale (previsto per gli operatori sanitari dall’art. 4, D.L. n. 44/2021) e dell’obbligo di presentazione del green pass per l’accesso ai luoghi di lavoro.
Il primo provvedimento risale all’ordinanza del Tribunale di Belluno del 19 marzo 2021, commentata sul nostro sito da Santina Panarella nel contributo “Se l’operatore socio-sanitario si rifiuta di vaccinarsi contro il Covid – 19, la sua collocazione in ferie forzate è legittima”. In quel caso, era stata reputata legittima la decisione di una struttura sanitaria che aveva posto in ferie forzate alcuni operatori no vax.
Nello stesso senso si sono espressi, in epoca successiva, il Tribunale di Verona, ord. 24 maggio 2021 e il Tribunale di Modena, ord. 19 maggio 2021, che hanno rigettato le domande, proposte in via d'urgenza, da operatori sociosanitari addetti aRSA, collocati in aspettativa non retribuita in ragione del rifiuto di sottoporsi al vaccino anti Covid 19.
In epoca più recente, il Tribunale di Roma, con ordinanza del 28 luglio 2021 (oggetto di un nostro commento dal titolo “Legittima la sospensione dal lavoro e dalla retribuzione del lavoratore che non si è sottoposto a vaccino anti Covid 19”) ha ritenuto legittima la sospensione dal lavoro e dalla retribuzione del dipendente che non si era sottoposto al vaccino anti Covid 19, a seguito del giudizio di idoneità con limitazioni (consistenti nel non poter entrare “in contatto con i residenti del villaggio”), espresso dal medico competente, a tutela della salute del lavoratore e del pubblico potenzialmente a contatto con il medesimo.
La soluzione adottata dal Tribunale di Busto Arsizio
Il Collegio, nell’ordinanza in esame, ha censurato la pretesa del datore di lavoro convenuo di “non ammettere il lavoratore munito di Green pass base ad operare nella propria postazione, all’interno del consueto ambiente lavorativo“ in quanto “misura che non tiene conto della particolarità della lavorazione (diverso discorso, come già detto, si può fare per il personale sanitario) e dell’esperienza e tecnica alla base dei protocolli anti Covid adottati nel nostro Stato tenuto conto delle conoscenze scientifiche in materia”.
Occorre evidenziare come il provvedimento in esame – ad onta di quanto si legge in qualche articolo di stampa, sulla base di una lettura superficiale delle motivazioni adottate dal Tribunale – non riguardi la previsione dell’obbligo vaccinale (peraltro nemmeno introdotto all’epoca dei fatti). La legittimità delle disposizioni che hanno previsto l’obbligo vaccinale per determinate categorie di cittadini è ormai affermata dalla costante giurisprudenza intervenuta in materia (v. tra le tante, Consiglio di Stato sentenza 20 ottobre 2021, n. 7045, commentata sul nostro sito: “Per il Consiglio di Stato è legittimo l’obbligo vaccinale per i sanitari”; ed ancora sentenza n. 6476 del 3 dicembre 2021, commentata sul nostro sito: “L’obbligo vaccinale per i sanitari è legittimo e ragionevole”).
Viene, invece, in rilievo nel caso di specie la diversa questione dei limiti delle misure che il datore può disporre nei confronti dei lavoratori non vaccinati ai fini del contenimento del contagio da Sars-Covid 2, in assenza di obbligo vaccinale. Il problema è qunque quello del contemperamento dell’obbligo di sicurezza dei luoghi di lavoro e del diritto all’autodeterimazione dei lavoratori.
Occorre muovere dal referente normativo, e dunque dal D.Lgs. 81/08.
In particolare, ai sensi dell’art. 15, lett. m), rientra nelle misure generali di tutela della salute sui luoghi di lavoro, a carico del datore, “l'allontanamento del lavoratore dall'esposizione al rischio per motivi sanitari inerenti la sua persona e l'adibizione, ove possibile, ad altra mansione”. L’art. 20, poi, impone ad ogni lavoratore di“prendersi cura della propria salute e sicurezza e di quella delle altre persone presenti sul luogo di lavoro, su cui ricadono gli effetti delle sue azioni o omissioni”.
Sembrerebbe dunque potersi trarre il corollario, colto dal Tribunale di Modena, nella citata ord. 19 maggio 2021, che “la protezione e salvaguardia della salute dell’utenza rientra nell’oggetto della prestazione esigibile” in quanto la “tutela della salute dell’utenza penetra nella struttura del contratto tanto da qualificare la prestazione lavorativa”.
In quest’ottica ci si può porre in una diversa prospettiva, che guarda all’incidenza della mancata copertura vaccinale sulla causa del contratto.
In assenza di un obbligo vaccinale si può ritenere che la scelta del dipendente di non sottoporsi al vaccino, non può legittimare l’adozione di provvedimenti limitativi della esplicazione della sua professionalità (quale l’assegnazione a mansioni diverse da quelle esplicate in epoca antecedente all’avvento della pandemia), se non nella misura in cui il contegno del lavoratore che decida di non vaccinarsi incida sulla oggettiva idoneità a svolgere determinate mansioni ovvero ponga in pericolo la salute di coloro che frequentano i luoghi di lavoro. Se dunque può ritenersi illegittima l’adozione di misure preventive ad hoc nei confronti del lavoratore non vaccinato in assenza di condizioni che possano porre in pericolo la salute del lavoratore stesso e dei terzi (si pensi a quello che era il caso di chi lavorava a contatto col pubblico prima dell’entrata in vigore dell’obbligo vaccinale), appare invece ragionevole prevedere da parte del datore di lavoro, per il tramite delle prescrizioni del medico competente, l’assegnazione a mansioni compatibili con la tutela della salute del lavoratore stesso e di tutti i soggetti con cui può venire potenzialmente in contatto, come visto oggetto di uno specifico dovere di sicurezza in capo allo stesso prestatore di lavoro.