Con sentenza n. 146 depositata il 25 luglio 2024 la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 2, comma 3, del Decreto Legge 10 maggio 2023, n. 51, convertito, con modificazioni, nella Legge 3 luglio 2023, n. 87, nella parte in cui prevede la cessazione anticipata dalla carica, a decorrere dal primo giugno 2023, per i sovrintendenti delle fondazioni lirico-sinfoniche che, alla data di entrata in vigore del decreto-legge, abbiano compiuto il settantesimo anno di età, indipendentemente dalla data di scadenza degli eventuali contratti in corso.

La Corte ha ritenuto tale disposizione in contrasto con l’art. 77 Cost., sottolineando che “la pre-esistenza di una situazione di fatto comportante la necessità e l’urgenza di provvedere tramite l’utilizzazione di uno strumento eccezionale, quale il decreto-legge, costituisce un requisito di validità costituzionale dell’adozione del predetto atto, di modo che l’eventuale evidente mancanza di quel presupposto configura tanto un vizio di legittimità costituzionale del decreto-legge, in ipotesi adottato al di fuori dell’ambito delle possibilità applicative costituzionalmente previste, quanto un vizio in procedendo della stessa legge di conversione”.

Infatti, “I limiti costituzionali alla decretazione d’urgenza e alla legge di conversione non sono funzionali solamente al rispetto degli equilibri fondamentali della forma di governo, ma valgono anche a scoraggiare un modo di legiferare caotico e disorganico che pregiudica la certezza del diritto”.

Applicando tali principi, la Corte ha concluso che la disposizione che sancisce l’immediata cessazione dagli incarichi in corso, a decorrere da una data individuata nel primo giugno 2023, non presenta alcuna correlazione con le finalità di salvaguardare l’efficienza delle fondazioni liricosinfoniche, peraltro enunciate nel preambolo del decreto-legge «in termini generici e apodittici».

In materia di responsabilità ex art. 2051 c.c., il danneggiato deve provare soltanto la derivazione del danno dalla cosa e la custodia della stessa da parte del preteso responsabile non pure la propria assenza di colpa nel relazionarsi con essa.

Questo il principio affermato dalla terza Sezione della Corte di Cassazione, con ordinanza del 8 luglio 2024, n. 18518, nell’ambito di un’adunanza camerale dedicata a una pluralità di ricorsi in materia di danno da cose in custodia, secondo una metodologia già adottata con riferimento a peculiari questioni sottoposte al vaglio della medesima Sezione. 

La vicenda processuale trae origine dalla domanda risarcitoria proposta dagli eredi di un motociclista, rimasto vittima di un incidente mortale, nei confronti del Comune, gestore della rete stradale. I Giudici del merito avevano rigettato la domanda sulla base del rilievo che la condotta, ritenuta imprudente, del danneggiato – il quale, pur in presenza di condizioni metodologiche avverse, non aveva rispettato il limite di velocità e non aveva indossato un casco conforme alla normativa di sicurezza – avrebbe avuto una incidenza causale esclusiva nella produzione dell’evento dannoso.

L’ordinanza in commento muove dalla affermazione della natura oggettiva della nozione di "caso fortuito", che è andata accreditandosi presso la giurisprudenza di legittimità, in contrasto con la diversa tesi che identificava il “caso fortuito” con l'assenza di colpa.

Come ancora di recente ribadito dalla Corte di Cassazione, “la responsabilità ex art. 2051 c.c. ha natura oggettiva - in quanto si fonda unicamente sulla dimostrazione del nesso causale tra la cosa in custodia e il danno, non già su una presunzione di colpa del custode - e può essere esclusa: a) dalla prova del caso fortuito (che appartiene alla categoria dei fatti giuridici), senza intermediazione di alcun elemento soggettivo, oppure b) dalla dimostrazione della rilevanza causale, esclusiva o concorrente, alla produzione del danno della condotta del danneggiato o di un terzo (rientranti nella categoria dei fatti umani), caratterizzate, rispettivamente, la prima dalla colpa e x art. 1227 c.c. (bastando la colpa del danneggiato: Cass. n. 21675/2023; Cass. n. 2376/2024) o, indefettibilmente, la seconda dalla oggettiva imprevedibilità e imprevenibilità rispetto all'evento pregiudizievole” (in questi Cass., 27 aprile 2023, n. 11152, nel solco di quanto affermato dalle Sezioni Unite con sentenza n. 20943 del 2022; tale ricostruzione risale, peraltro, a cfr. Cass. Sez. 3, ord. 1° febbraio 2018, nn. 2477, 2478, 2479, 2480, 2481, 2482 e 2483).

Nel solco di tale principio, Cass., Sez. III, 7 settembre 2023, n. 26142, ha sottolineato che “il fatto integrante il "caso fortuito" e', dunque, un fatto diverso dal fatto della cosa, estraneo alla relazione custodiale, che assorbe in sé l'efficienza causale dell'evento dannoso, escludendo che esso possa reputarsi cagionato dalla res … Esso, quindi, si distingue dagli altri eventi, appartenenti alla diversa categoria degli atti giuridici (fatto del danneggiato e fatto del terzo), parimenti idonei ad escludere in tutto o in parte il nesso causale tra l'evento dannoso e la res, la cui rilevanza, ai sensi dell'art. 1227 c.c., comma 1, trova invece fondamento nella colpa dell'agente, dall'apprezzamento della cui gravità, nonché da quello delle conseguenze derivatene, riservati al giudice del merito, dipende anche l'efficienza causale, meramente concorrente o persino esclusiva, del fatto medesimo. Al di là di tali differenze, tanto il fatto giuridico integrante il "caso fortuito" in senso stretto quanto l'atto giuridico integrante il fatto colposo (concorrente od esclusivo) del danneggiato o del terzo, attengono, tuttavia, al profilo oggettivo dell'illecito, incidendo sull'elemento della causalità materiale”.

Nelle scorse settimane abbiamo dato conto delle argomentazioni proposte da Cass., 3 maggio 2024, n. 11942 (v. nota di commento Nessuna responsabilità da cose in custodia del comune se il runner è negligente), la quale ha ribadito la natura oggettiva della responsabilità da cose in custodia ex art. 2051 c.c. e sottolineato come la stessa possa essere esclusa o dalla prova del caso fortuito, oppure dalla dimostrazione della rilevanza causale, esclusiva o concorrente, alla produzione del danno della condotta del danneggiato o di un terzo.   

Già in precedenza, l’ordinanza n. 35966 del 27 dicembre 2023 (pubblicata sul nostro sito con commento di Maria Santina Panarella, La condotta del danneggiato eccezionalmente incauta può costituire caso fortuito?), ha sottolineato che, ai fini dell’esclusione della responsabilità ex art. 2051 c.c., deve attribuirsi “rilievo delle sole condotte "oggettivamente" non prevedibili secondo la normale regolarità causale, nelle condizioni date, in quanto costituenti violazione dei doveri minimi di cautela la cui osservanza è normalmente prevedibile (oltre che esigibile) da parte della generalità dei consociati e la cui violazione, di conseguenza, è da considerarsi, sul piano puramente oggettivo della regolarità causale (non quindi, con riferimento al piano soggettivo del custode), non prevedibile né prevenibile”. Su queste premesse ha ritenuto che la vittima di una rovinosa caduta, nel decidere di utilizzare la passerella al fine di accedere alla spiaggia, sebbene vi fosse un accesso all’arenile alternativo e più sicuro, avrebbe posto in essere una condotta assolutamente incauta che, per quanto in astratto prevedibile, integrerebbe gli estremi del caso fortuito.

Sviluppando questi rilievi, Cass., ordinanza 20 luglio 2023, n. 21675 (sul nostro sito con commento di Maria Santina Panarella, Responsabilità oggettiva per danno da cose in custodia e doveri di cautela: nessun risarcimento per chi cammina a piedi nudi a bordo piscina e cade), ha escluso il risarcimento per l’utente della piscina caduto mentre camminava a piedi nudi a bordo della piscina stessa.

L’ordinanza in commento, ricostruita la nozione di “caso fortuito” nei termini di cui sopra, si pone sul piano del corretto riparto dell’onere probatorio, evidenziando che i presupposti della responsabilità per i danni da cose in custodia, ai sensi dell'art. 2051 c.c., e cioè “la derivazione del danno dalla cosa e la custodia" devono essere provati dal danneggiato. Incombe, invece, sul custode "la prova (liberatoria) della sussistenza del «caso fortuito»”. Sviluppando questi rilievi, continua il Supremo Collegio, “se la colpa deI custode non integra un elemento costitutivo della sua responsabilità, la prova liberatoria che egli è onerato di dare, nell'ipotesi in cui il danneggiato abbia dimostrato il nesso di causalità tra la cosa in custodia e l'evento dannoso, non può avere ad oggetto l'assenza di colpa (ovverosia, la posizione in essere, da parte sua, di una condotta conforme aI modello di comportamento esigibile dall'homo eiusdem condicionis et professionis e allo sforzo diligente adeguato aIle concrete circostanze del caso), ma dovrà avere ad oggetto la sussistenza di un fatto (fortuito in senso stretto) o di un atto (del danneggiato o del terzo) che si pone esso stesso in relazione causale con l'evento di danno, caratterizzandosi, ai sensi dell'art. 41, secondo comma, primo periodo, cod. pen., come causa esclusiva di tale evento".

La Corte di Cassazione ha quindi cassato la sentenza di merito là dove aveva addebitato alla parte che assumeva essere stata danneggiata (ovvero, nella specie, ai congiunti della vittima del sinistro mortale), un onere probatorio gravante, invece, sul custode, affermando che “parte attrice, a fronte delle condizioni di luogo, strada percorsa di notte e con forte vento, non ha fornito alcun elemento idoneo a provare la condotta di guida diligente e prudente”.

L'ente pubblico è responsabile dei danni conseguenti alla lesione dei diritti soggettivi dei privati, cagionata da immissioni rumorose provenienti da aree pubbliche.

Sulla base di tale principio, Cass., ord. 9 luglio 2024, n. 18676 ha confermato la condanna di un Comune al risarcimento dei danni (non patrimoniali) conseguenti ai rumori generati dalle manifestazioni culturali organizzate nella piazza cittadina, che - superando la normale tollerabilità - pregiudicavano il godimento dell’appartamento che gli attori avevano destinato a residenza estiva.

L’ordinanza in esame, innanzi tutto, rigetta il primo motivo di gravame, secondo cui la valutazione delle immissioni non avrebbe potuto essere condotta alla stregua del DPCM del 14 novembre 1997, bensì tenendo conto del Regolamento Comunale, che aveva innalzato il livello di rumorosità consentito in caso di eventi culturali all’aperto. Come chiarito dalla Corte, “i limiti posti dai singoli regolamenti, compreso dunque quello richiamato dal comune, e dallo stesso comune approvato, sono puramente indicativi in quanto anche immissioni che rientrino in quei limiti possono considerarsi intollerabili nella situazione concreta, posto che la tollerabilità è, per l'appunto, da valutarsi tenendo conto dei luoghi, degli orari, delle caratteristiche della zona e delle abitudini degli abitanti” (in questi termini, v Cass., 20 gennaio 2023, n.1823, ed ancora, in precedenza, Cass., 5 agosto 2011, n. 17051).

Nella misura in cui la valutazione circa il superamento della soglia di tollerabilità, in concreto, sia stata compiuta dai Giudici del merito, la stessa è insindacabile innanzi alla Corte di Cassazione.

La Corte ribadisce quindi il principio affermato da Cass. n. 14209 del 23 maggio 2023 (per un commento alla quale si rimanda a Maria Santina Panarella, Il Comune deve risarcire i danni patiti dai cittadini per gli schiamazzi notturni), secondo cui il Comune è “responsabile dei danni conseguenti alla lesione dei diritti soggettivi dei privati, cagionata da immissioni provenienti da aree pubbliche, potendo conseguentemente essere condannata al risarcimento del danno, così come al "facere" necessario a ricondurre le dette immissioni al di sotto della soglia della normale tollerabilità, dal momento che tali domande non investono - di per sé - atti autoritativi e discrezionali, bensì un'attività materiale soggetta al richiamato principio del "neminem laedere"”.

E, d’altronde, il diritto del privato alla tutela dai pregiudizi conseguenti all’esercizio di attività rumorose da parte dell’ente pubblico, trova fondamento nel diritto alla salute, ma anche nel diritto alla vita familiare (garantito dall’art. 8 CEDU) e della stessa proprietà. Nel caso deciso dall’ordinanza in commento viene in rilievo anche il diritto al godimento della vacanza.

Inoltre, nella prospettiva in cui si pone la Corte di Cassazione, l’interesse pubblico sotteso allo svolgimento di manifestazione di carattere culturale “non può giustificare il sacrificio del diritto del privato oltre la normale tollerabilità”. Ove tale bilanciamento sia operato dal giudice del merito, peraltro, la relativa valutazione è sottratta al sindacato di legittimità, costituendo il giudizio circa la tollerabilità delle immissioni un giudizio tipicamente di merito.

Non resta che chiedersi se la ricostruzione che va accreditandosi nella giurisprudenza di legittimità, e ribadita dall’ordinanza in commento, disincentiverà l’organizzazione di manifestazioni nelle piazze, soprattutto in periodo estivo, quando il rischio di pregiudicare il godimento del riposo è assai più elevato.

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