Con ordinanza del 24 gennaio 2025, n. 1720 la Corte di Cassazione, uniformandosi ai principi già espressi dalle Sezioni Unite con la sentenza del 16 novembre 2022, n. 33719, ha escluso la nullità del mutuo fondiario concesso in violazione dei limiti previsti dall’art. 38, co. 2, t.u.b.
Nell’ordinanza in commento la Cassazione ha accolto il primo motivo di ricorso, con cui la ricorrente aveva contestato la ritenuta nullità del mutuo per effetto del superamento del limite di finanziabilità. Nello specifico la ricorrente aveva rilevato che l'indirizzo giurisprudenziale seguito dal provvedimento impugnato era stato superato da un successivo orientamento che ammette la conversione e/qualificazione del mutuo fondiario in mutuo ipotecario ordinario nell'ipotesi di violazione dell'art. 38 comma 2 TUB.
La questione della rilevanza del superamento della soglia di finanziabilità del mutuo fondiario è stata oggetto di un’annosa querelle giurisprudenziale risolta con la sentenza n. 33719 del 2022 dalle Sezioni Unite, le quali, “pur premettendo che la mancanza di una espressa sanzione di nullità del contratto per superamento della predetta soglia, non riscontrabile tra le nullità testuali di cui all'articolo 117, ottavo comma, d.lgs. n. 385 del 1993, non escluderebbe, in astratto, la possibilità che sussista una nullità virtuale del contratto medesimo per violazione di norme imperative, hanno nondimeno escluso, in concreto, che l'art. 38, secondo comma, del predetto decreto legislativo integri una norma imperativa a presidio della validità del contratto. Esso, invece, quale regola con la quale il legislatore ha demandato all'Autorità di vigilanza sul sistema bancario di fissare il limite di finanziabilità nell'ambito della «vigilanza prudenziale», costituisce - secondo le Sezioni Unite - piuttosto un elemento meramente specificativo o integrativo dell'oggetto del contratto, e, dunque, in altri termini, una norma dispositiva, derogabile dalle parti senza conseguenze sul sinallagma contrattuale”.
Con la predetta sentenza n. 33719 del 2022 le Sezioni Unite hanno altresì precisato che “la negazione del carattere imperativo della norma ha indotto a escludere che il limite di finanziabilità da essa previsto costituisca un elemento essenziale del contenuto del contratto, sicché il suo superamento non è suscettibile di determinare la nullità del contratto medesimo”.
In applicazione dell'insegnamento impartito dalle Sezioni Unite, la Cassazione nell’ordinanza in commento ha escluso che l'eccedenza della soglia di finanziabilità, anche se concretamente sussistente, fosse idonea ad incidere sulla validità del negozio.
Per leggere il testo integrale della sentenza clicca qui Cassazione civile sez. I, 24/01/2025, (ud. 10/12/2024, dep. 24/01/2025), n. 1720
Sullo stesso tema leggi anche sul nostro sito l’articolo di Camilla Maranzano “La decisione delle Sezioni Unite sulla sorte del mutuo fondiario concesso in violazione dei limiti previsti dall'art. 38, co. 2, t.u.b.”
Le Sezioni Unite della Cassazione con la sentenza del 4 dicembre 2024 n. 31136 hanno chiarito che, nel caso di domande avvinte da un nesso di cumulo alternativo soggettivo sostanziale per incompatibilità, affinché il giudice d’appello, adito in via principale sul punto dal convenuto soccombente, possa accogliere la pretesa azionata verso il litisconsorte alternativo assolto in primo grado, l’attore deve avanzare appello incidentale condizionato, non potendo limitarsi a riproporre ex art. 346 c.p.c. la rispettiva domanda, esaminata e respinta nella sentenza impugnata.
1. - I fatti di causa
V.R. proponeva ricorso per cassazione contro la sentenza della Corte d’appello di Roma che, nel riformare la sentenza di 1° grado, aveva respinto la domanda avanzata da quest’ultimo volta ad ottenere la condanna, in via alternativa, della Regione Lazio, del Comune di Latina o dell'INPS a pagare una somma di denaro a titolo di differenze retributive dovute per lo svolgimento di mansioni superiori.
Il giudice di 1° grado aveva accolto il ricorso di V.R. condannando l'INPS a corrispondere l’importo richiesto, “in quanto il lavoratore era stato comandato alle dipendenze dell'INPS dagli enti di appartenenza (prima Comune di Latina e poi Regione Lazio), e doveva perciò essere l’amministrazione ove era stato comandato, la quale aveva indebitamente utilizzato il dipendente nelle mansioni de quibus, a corrispondere le relative differenze retributive”.
La sentenza di primo grado è stata impugnata, in via principale, dall’INPS e, in via incidentale, da V.R. limitatamente al capo sulla compensazione delle spese.
La Corte d’appello, nell’accogliere il gravame principale proposto dall’INPS, ha rilevato che, poiché V.R. nel costituirsi in giudizio aveva proposto appello incidentale limitatamente al capo sulle spese di lite e non aveva riproposto le domande, ai sensi dell'art. 346 c.p.c., nei confronti del Comune di Latina e della Regione Lazio, in ordine alle stesse non poteva esserci pronuncia nel giudizio di impugnazione.
Per il giudice di secondo grado la proposizione dell’appello incidentale sul solo capo attinente alle spese “attesterebbe l'accettazione della sentenza del Tribunale nelle parti relative al rigetto delle domande verso gli altri convenuti”.
Contro la sentenza d’appello V.R. ha proposto ricorso per cassazione, denunciando la violazione e falsa applicazione degli artt. 343 e 346 c.p.c., per avere la sentenza impugnata ritenuto la necessità di proporre appello incidentale condizionato al fine di ottenere il riesame e l’eventuale accoglimento delle pretese verso il Comune di Latina e la Regione Lazio.
2. - L’ordinanza interlocutoria
La questione giuridica sottesa al ricorso proposto da V.R. è stata ritenuta di particolare importanza dalla Cassazione che con l’ordinanza interlocutoria n. 3358/2024, pubblicata il 6 febbraio 2024, ha rimesso la causa alla Prima Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite.
3. - Le Sezioni Unite n. 31136/2024
La questione sollevata nell’ordinanza interlocutoria è stata esaminata dalle Sezioni Unite della Cassazione con la sentenza in commento del 4 dicembre 2024 n. 31136 ed è stata così riassunta: nel caso di cumulo soggettivo passivo alternativo di domande, ovvero di un litisconsorzio soggettivamente alternativo, le possibili risposte circa la condotta che deve osservare l'attore appellato, a seguito del gravame avanzato dall'unico convenuto soccombente, sono tre:
“1) egli è tenuto a proporre appello incidentale condizionato contro i convenuti andati assolti;
2) egli è tenuto a riproporre espressamente in appello, ai sensi dell'art. 346 c.p.c., le domande verso i convenuti non soccombenti;
3) egli non dovrebbe fare alcunché, bastando l'appello del soccombente a rimettere per intero in discussione il tema della individuazione dell'effettivo debitore”.
Nella sentenza in commento, le Sezioni Unite hanno ricordato che in materia si era già espressa la giurisprudenza di legittimità con la sentenza n. 11202 del 2002, resa sempre a Sezioni Unite, che aveva prescelto univocamente la tesi secondo cui, “avendo l'appellato, con la sentenza di condanna di un convenuto, visto per intero realizzato il proprio interesse, gli basta (ma gli occorre) la riproposizione ex art. 346 c.p.c. della(e) domanda(e) nei confronti dell'altro (degli altri) convenuto(i). Una manifestazione di volontà ad hoc da parte dell'appellato è richiesta giacché l'unicità del rapporto sostanziale di credito, con titolare passivo incerto, non toglie che due e distinte siano le formali pretese, caratterizzate, pur nell'identità del petitum, dalla diversità dei soggetti convenuti (personae) e in parte dai fatti e dagli argomenti di sostegno (causae petendi)”.
In altro precedente giudiziario (Cass. S.U., sent. n. 7700 del 2016) la Corte ha preliminarmente stabilito la linea di demarcazione fra l’appello incidentale e il concetto di riproposizione ex art. 346 c.p.c.
Per la Corte alla riproposizione “deve ritenersi estraneo ogni profilo di deduzione di una critica alla decisione impugnata, il che è connaturato al concetto di impugnazione… con la riproposizione il legislatore ha inteso alludere alla prospettazione al giudice di appello di domande ed eccezioni che possono essere nuovamente “proposte” come lo erano state al primo giudice, giacché da questo “non accolte”, ma senza che egli le abbia considerate espressamente o implicitamente nella sua motivazione, e dunque senza che le valutazioni su di esse abbiano concorso a determinare il contenuto della decisione, altrimenti imponendosi una critica alla sentenza e, perciò, un appello incidentale”.
Alla luce della predetta distinzione, la sentenza n. 7700 del 2016 si è posta in contrasto con la sentenza n. 11202 del 2002, avendo espunto dall'ambito di operatività dell'art. 346 c.p.c. “ogni ipotesi di domanda o eccezione respinta, cioè su cui il giudice di primo grado abbia espresso una decisione o sia incorso in un error in procedendo”. Pertanto, nel caso di rigetto espresso (o implicito) di una domanda, per ridiscuterne, sarà di regola necessario l’appello, che potrà assumere carattere principale oppure incidentale e non sarà mai utilizzabile l’art. 346 c.p.c.
Con riferimento specifico all’ipotesi di domande alternative, Cass., S.U. sent. n. 7700 del 2016 ha preliminarmente distinto il caso in cui si configura un’alternatività oggettiva per incompatibilità nello stesso diritto sostanziale(il giudice per ritenerne fondata una domanda deve necessariamente reputare infondata l'altra) dal caso in cui l'alternatività non sia tale (potendo coesistere i fatti costitutivi di entrambe le domande ed essendo essa solo espressione dell'indifferenza dell'interesse della parte all'accoglimento di una di esse).
Orbene, nella prima ipotesi la decisione impugnata deve aver necessariamente pronunciato (anche implicitamente) su entrambe le domande, per cui l’attore, a seguito dell'impugnazione del convenuto, non si troverà nella condizione né di dover proporre appello incidentale né di dover riproporre l'altra domanda, “qualora l'appellante convenuto proponga il suo appello censurando la sentenza di primo grado con una prospettazione che neghi la fondatezza di entrambe le domande, cioè sia di quella accolta, sia di quella esclusa solo perché incompatibile con quella accolta”. In tal caso, la discussione su entrambe le domande è stata già sollecitata dallo stesso appellante.
Semmai per l’attore, dicono le S.U. del 2006, si porrà un problema di devoluzione al giudice d'appello di eventuali questioni decise espressamente o implicitamente dalla sentenza di primo grado. L'appello incidentale sarà quindi configurabile in relazione a tali questioni.
Allo stesso modo, se il convenuto proponga appello avverso la decisione di accoglimento di una domanda per ragioni solo ad essa intrinseche, che non comporterebbero la fondatezza di quella invece ritenuta infondata, “l'attore, per ottenere che sia riesaminata la domanda reputata infondata, essendovi stata una decisione espressa (o implicita) riguardo ad essa, deve criticarla e, quindi, deve proporre appello incidentale quanto alla sua decisione”.
Nella seconda ipotesi, se il primo giudice ha accolto una domanda e rigettato l'altra, la posizione di indifferenza dell'attore rispetto all'accoglimento dell'una o dell'altra, esclude che egli abbia interesse ad impugnare, essendo la sua soccombenza non pratica ma solo teorica. L’impugnazione del convenuto non potrà che dirigersi contro la domanda accolta e l'attore, a questo punto, vedrà sorgere il suo interesse a rimettere in discussione il rigetto dell’altra domanda, attraverso l’appello incidentale condizionato all'eventuale accoglimento dell'appello del convenuto sull'altra domanda.
Secondo le Sezioni Unite del 2006, in tal caso “la mera riproposizione ai sensi dell'art. 346 c.p.c. non sarà, dunque, sufficiente”.
L’interpretazione sui limiti di operatività dell'art. 346 c.p.c. data nella sentenza n. 7700 del 2016 (nel senso che alla riproposizione debba ritenersi estraneo ogni profilo di critica ad una decisione comunque, espressamente o implicitamente, resa) trova più ampia conferma, dicono le Sezioni Unite, nella recente giurisprudenza di legittimità (si v. sent. nn. 7940/2019; 13195/2018; 11799/2017).
In particolare, la sentenza n. 11799 del 2017, ricorda la Corte, nel tracciare i confini fra “appello incidentale” e c.d. “mera riproposizione”, ha richiamato puntualmente la sentenza n. 7700 del 2016, “confermando i legami di rigorosa consequenzialità, rispettivamente, tra: enunciazione espressa o anche indiretta, ma comunque chiara ed inequivoca, di infondatezza e gravame incidentale; carenza di enunciazione espressa, o comunque chiara ed inequivoca, di infondatezza e riproposizione”.
Le Sezioni Unite nella sentenza in commento n. 31136/2024 hanno rilevato che i profili problematici colti dall'ordinanza interlocutoria si pongono soltanto nel caso di “cumulo alternativo sostanziale incondizionato di domande tra loro incompatibili” che si ha quando l'attore proponga in giudizio due (o più) pretese tra loro incompatibili nei confronti di due (o più convenuti).
In altre parole, tale cumulo si verifica quando l'attore fa causa alternativamente nei confronti di due o più convenuti, “richiedendo uno stesso bene della vita, ma le domande sostanzialmente cumulate divergono, oltre che per la persona del destinatario della pretesa, eventualmente anche per il petitum immediato e/o per la causa petendi, sicché l'una domanda non può dirsi fondata ed essere accolta se risulta fondata e si accoglie l'altra, mentre esse ben possono essere entrambe rigettate”.
Le domande, dicono le Sezioni Unite, restano, pertanto, due, sotto il profilo strutturale, seppure avvinte da unitarietà funzionale e da interdipendenza processuale, atteso che la soluzione dell'una non può aversi se non in funzione della soluzione dell'altra, e ciò delinea l'unitarietà del litisconsorzio.
In caso di cumulo alternativo sostanziale incondizionato, il rispetto della regola di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato “impone al giudice di primo grado di adempiere al proprio dovere decisorio in maniera da dirimere il dubbio irrisolto nella individuazione dell'effettivo obbligato, pervenendo all'affermazione della responsabilità di uno di essi, sicché la sentenza contiene una pluralità di statuizioni, di fondatezza e di infondatezza delle rispettive pretese, l'una dipendente e discendente dall'altra”.
Come già riscontrato più volte da una costante elaborazione giurisprudenziale, il nesso di dipendenza implicato dal cumulo alternativo in sede di impugnazione comporta l'applicazione dell'art. 331 c.p.c. e cioè una situazione di litisconsorzio unitario (o necessario processuale).
Tuttavia, rileva la Cassazione, il litisconsorzio processuale in sede di gravame se, da una parte, garantisce, appunto, l'integrità del contraddittorio (quanto ai soggetti che devono prendere parte al giudizio), dall’altra, “non ne determina ipso iure l'ampiezza, questa dipendendo dalle specifiche iniziative dei singoli litisconsorti in relazione all'ambito oggettivo di quanto è devoluto al giudice del gravame”.
Ne deriva che l'appellato, soccombente sul capo che ha respinto le domande verso i convenuti alternativi, deve proporre impugnazione incidentale per chiedere che le stesse siano nuovamente decise nel merito.
Gli effetti dell'eventuale accoglimento dell'appello formulato dal singolo convenuto alternativo rimasto soccombente in primo grado vanno stabiliti alla luce del principio simul stabunt simul cadent.
Nello specifico, il capo dipendente di sentenza recante l'enunciazione espressa (o indiretta) di infondatezza della pretesa azionata dall'attore verso il convenuto alternativo rispetto a quello condannato, “subisce l'effetto espansivo interno della riforma derivante dall'accoglimento del gravame principale e, dunque, non passa in giudicato, sicché dall'accoglimento dell'appello principale non discende una duplice soccombenza dell'attore stesso”.
L'effetto espansivo della riforma provocato dal nesso di dipendenza tra le pretese in cumulo alternativo e tra i correlativi capi della decisione inerenti alla titolarità passiva del rapporto dedotto in lite non comporta, dice la Cassazione, la devoluzione automatica al giudice d'appello della pronuncia sulla domanda dell'attore verso il litisconsorte alternativo assolto, non potendosi giustificare la modifica della prima sentenza su tale punto, nel senso di condannare l'altro convenuto, in forza soltanto dei motivi dell'appello principale.
Le pretese in cumulo alternativo verso i distinti convenuti, reciprocamente incompatibili sul piano sostanziale, concorrono, ha affermato la Cassazione, “in modo apparente ai fini del soddisfacimento del medesimo interesse e si pongono tra loro in relazione di esclusione (non di assorbimento), sicché la decisione del giudice nel merito deve riguardare sempre entrambe perché, se è fondata l'una, è infondata l'altra. L'eguaglianza del risultato economico cui mirano le domande cumulate non ne giustifica, tuttavia, la simultanea integrale devoluzione al giudice d'appello sol perché il convenuto soccombente con l'impugnazione principale rimette in discussione la statuizione inerente alla sua condanna, e quindi alla individuazione del soggetto passivo della pretesa azionata”.
In definitiva, l'effetto espansivo della riforma della sentenza che abbia visto condannato uno dei convenuti alternativi non può quindi giovare oltre i limiti della soccombenza di quest'ultimo ed in favore dell'attore, il quale non abbia proposto alcuna doglianza volta a sovvertire l'esito del giudizio in danno dell'altro convenuto.
4. - Il principio di diritto espresso dalle Sezioni Unite
In conclusione, nella sentenza in commento le Sezioni Unite, hanno pronunciato il seguente principio di diritto: “Nel caso di domande avvinte da un nesso di cumulo alternativo soggettivo sostanziale per incompatibilità, proposte dall'attore nei confronti di due diversi convenuti, la sentenza di primo grado che condanna colui che sia individuato come effettivo obbligato contiene una statuizione di fondatezza della rispettiva pretesa e una statuizione di rigetto nel merito della pretesa alternativa incompatibile. Il nesso di dipendenza implicato dal cumulo alternativo comporta in sede di impugnazione l'applicazione dell'art. 331 c.p.c. e la riforma del capo della sentenza inerente alla titolarità passiva del rapporto dedotto in lite, conseguente all'accoglimento dell'appello formulato dal convenuto alternativo rimasto soccombente in primo grado, ha effetto anche sul capo dipendente recante l'enunciazione espressa, o anche indiretta, ma comunque chiara ed inequivoca, di infondatezza della pretesa azionata dall'attore verso l'altro convenuto. Affinché il giudice d'appello, adito in via principale sul punto dal convenuto soccombente, possa altresì accogliere la pretesa azionata verso il litisconsorte alternativo assolto in primo grado e perciò condannare quest'ultimo, l'attore non può limitarsi a riproporre ex art. 346 c.p.c. la rispettiva domanda, esaminata e respinta nella sentenza impugnata, ma deve avanzare appello incidentale condizionato”.
In applicazione del principio enunciato e sopra riportato, la Cassazione ha ritenuto infondato il ricorso proposto da V.R., in quanto, essendo le domande da quest’ultimo proposte avvinte da un nesso di cumulo alternativo sostanziale per incompatibilità, il ricorrente avrebbe dovuto proporre appello incidentale condizionato per far valere in sede di gravame le domande contro la Regione Lazio e il Comune di Latina respinte dal Tribunale.
Per leggere il testo integrale della sentenza della Cassazione, Sezioni Unite, del 4 dicembre 2024, n. 31136 clicca qui: https://www.cortedicassazione.it/resources/cms/documents/31136_12_2024_civ_noindex.pdf
Per leggere il testo integrale dell’ordinanza interlocutoria della Cassazione del 6 febbraio 2024, n. 3358 clicca qui: https://www.cortedicassazione.it/resources/cms/documents/3358_02_2024_civ_noindex.pdf
Con decreto del 10 ottobre 2024, la Prima Presidente della Corte di Cassazione ha dichiarato l’ammissibilità del rinvio pregiudiziale disposto dal Tribunale di Siracusa ai sensi dell’art. 363 bis c.p.c. in tema di obblighi restitutori in caso di mutuo.
La questione centrale posta alla base dell’ordinanza di rinvio attiene al momento in cui, in alcune convenzioni negoziali, sia possibile ravvisare una traditio che comporti effettivamente la disponibilità delle somme mutuate in capo al mutuatario, con corollari di notevolissimo rilievo anche dal punto di vista dell’idoneità del contratto, ove stipulato nelle forme dell’atto pubblico o della scrittura privata autenticata da notaio, ad integrare un titolo esecutivo.
Più precisamente, le questioni di diritto oggetto del rinvio pregiudiziale possono essere riassunte come segue:
La Prima Presidente ha ritenuto ammissibili le questioni sollevate dal Tribunale di Siracusa essendo le stesse oggetto di un contrasto giurisprudenziale non ancora risolto dalla Cassazione.
Secondo un primo orientamento l’accordo negoziale stipulato nella forma dell’atto pubblico o della scrittura privata autenticata, con cui una banca concede una somma a mutuo effettivamente erogandola al mutuatario ma convenendo al tempo stesso che tale importo sia immediatamente ed integralmente restituito alla mutuante con l’intesa che esso sarà svincolato in favore del mutuatario solo al verificarsi di determinate condizioni, è da solo idoneo a costituire titolo esecutivo nonostante all’erogazione iniziale del denaro al cliente abbiano fatto immediato seguito la sua restituzione alla banca e la sua costituzione in deposito (v. ex multis Cass. 9229/2022).
Secondo altro orientamento invece il predetto accordo “ancorchè idoneo a perfezionare un contratto reale di mutuo, non consente di ritenere che dal negozio stipulato tra le parti risulti una obbligazione attuale, in capo al mutuatario, di restituzione della predetta somma (immediatamente rientrata nel patrimonio della mutuante) in quanto tale obbligo sorge, per esplicita volontà delle parti stesse, solo nel momento in cui l’importo erogato è successivamente svincolato ed entrato nel patrimonio del soggetto finanziato”. I fautori del secondo orientamento ritengono di escludere che un siffatto contratto possa costituire titolo esecutivo contro il mutuatario “essendo necessario a tal fine un ulteriore atto, necessariamente consacrato nelle forme richieste dall’art. 474 c.p.c. (atto pubblico o scrittura privata autenticata) attestante l’effettivo svincolo della somma già mutuata (e ritrasferita alla mutuante) in favore della parte mutuataria, sorgendo in capo a quest’ultima, solo da tale momento, l’obbligazione di restituzione di detto importo” (v. la recentissima Cass., 12007/2024).
Il tema centrale dell’ordinanza di rinvio presenta numerose difficoltà interpretative e costituisce questione di massima particolare importanza, essendo in parte già oggetto di altro precedente giurisprudenziale della stessa Corte di Cassazione.
Il riferimento è all’ordinanza interlocutoria n. 18903 del 10 luglio 2024, che ha rimesso alle Sezioni Unite la questione, seppur differente da quella affrontata dal Tribunale di Siracusa, riguardante il c.d. ‘mutuo solutorio’ stipulato per ripianare la pregressa esposizione debitoria del mutuatario verso il mutuante. Per l’esame dei diversi orientamenti in materia si rinvia ad un nostro precedente commento (v. sul nostro sito l’articolo di Camilla Maranzano “Profili giuridici del mutuo solutorio e la possibile rimessione alle Sezioni Unite”).
In conclusione, la Prima Presidente ha ammesso il rinvio sollevato dal Tribunale di Siracusa assegnando il suo esame alle Sezioni Unite.
Per leggere il testo integrale del decreto della Prima Presidente della Cassazione e dell’ordinanza di rinvio pregiudiziale del Tribunale di Siracusa clicca qui:
https://www.cortedicassazione.it/page/it/ordinanza_pregiudiziale_31072024?contentId=RPC33455
Sullo stesso tema leggi anche sul nostro sito l’articolo di Camilla Maranzano “Profili giuridici del mutuo solutorio e la possibile rimessione alle Sezioni Unite”.