Con l’ordinanza n. 27934/2021 del 13 ottobre 2021, la Corte di Cassazione ha affermato che il lavoratore che ha presentato le dimissioni non ha diritto al pagamento dell’indennità sostitutiva del preavviso se il datore lo ha esonerato dal prestare attività lavorativa durante il preavviso.
Come è noto, l’istituto del preavviso, comune alla maggior parte dei contratti di durata a tempo indeterminato, ha la funzione economica di attenuare le conseguenze pregiudizievoli della cessione del contratto per la parte che subisce il recesso.
In particolare, in tema di rapporto di lavoro a tempo indeterminato, l’istituto del recesso, disciplinato dall’art. 2118 c.c.,adempie ad una funzione destinata a variare dall’angolo visuale della parte non recedente. Infatti, si ritiene che il preavviso:
E, allora, secondo la Corte di Cassazione, il tema della rinunziabilità del periodo di preavviso da parte del soggetto non recedente e delle conseguenze giuridiche di tale rinunzia è strettamente connesso e condizionato dalla soluzione che si intende dare alla questione circa l’efficacia reale o obbligatoria del preavviso.
Se si optasse per la natura reale del preavviso, con diritto, quindi, della parte recedente alla prosecuzione del rapporto fino alla scadenza del relativo periodo, non potrebbe ipotizzarsi una rinunzia della parte non recedente idonea a determinare l’immediata estinzione del rapporto di lavoro.
Si perverrebbe, invece, alla soluzione opposta nel caso in cui si aderisca alla tesi dell’efficacia obbligatoria che configura il preavviso quale mero obbligo (accessorio e alternativo) dell’esercizio del recesso. Difatti, seguendo questa impostazione, la parte recedente sarebbe libera di optare tra la prosecuzione del rapporto durante il periodo di preavviso e la corresponsione a controparte dell’indennità (con immediato effetto risolutivo del recesso), con la conseguenza che, in capo alla parte non recedente, si configurerebbe un diritto di credito dalla stessa liberamente rinunziabile.
La Suprema Corte, nell’ordinanza sopra citata, ha dichiarato di voler dare continuità a questa seconda opzione interpretativa.
In effetti, già a partire da Cass. n. 11740/2007, la Cassazione era pervenuta al superamento della tesi della natura reale del preavviso, ritenendo che, alla stregua di una interpretazione letterale e logico-sistematica dell’art. 2118 c.c.,nel contratto di lavoro a tempo indeterminato, il preavviso ha, appunto, efficacia obbligatoria (si vedano Cass. n. 21216/2009, n. 13959/2009, n. 22443/2010, n. 27294/2018).
Dalla natura obbligatoria dell’istituto in esame discende che la parte non recedente, che - come nel caso affrontato dalla Corte nell’ordinanza richiamata - abbia rinunciato al preavviso, non deve nulla alla controparte, la quale non può vantare alcun diritto alla prosecuzione del rapporto di lavoro fino al termine del preavviso, dal momento che “alcun interesse giuridicamente qualificato è configurabile in favore della parte recedente; la libera rinunziabilità del preavviso esclude che ad essa possano connettersi a carico della parte rinunziante effetti obbligatori in contrasto con le fonti dell'obbligazioni indicate nell'art. 1173 c.c.”.