Con l’ordinanza n. 7385 del 16 marzo 2021 la 3ª sezione civile della Corte di Cassazione, ha cassato la sentenza della Corte d’appello di Milano che, nel confermare la sentenza di primo grado, aveva respinto la richiesta di risarcimento danni avanzata dai genitori di una bambina nata con una grave patologia cromosomica non diagnosticata dalla struttura sanitaria.

I Giudici di merito avevano rigettato la richiesta di risarcimento danni dei ricorrenti non avendo la gestante dimostrato che, laddove tempestivamente informata dell’anomalia fetale, la stessa avrebbe fatto ricorso all’interruzione della gravidanza (mancata prova di una propria propensione abortiva). Inoltre, negavano la ricorrenza del diritto della neonata al risarcimento del danno derivante dalla propria nascita non desiderata in quanto affetta da patologia cromosomica non comunicata alla madre, non trovando accoglimento nell’ordinamento italiano l’asserito diritto di non nascere se non sani.

Nella pronuncia in commento la Cassazione si è soffermata sull’individuazione dei danni risarcibili derivanti dall’omessa diagnosi prenatale sia sotto il profilo della violazione del diritto all’autodeterminazione quanto sotto il profilo del danno patito dalla neonata per il ritardo con cui erano state diagnosticate le patologie da cui era affetta.

L’omessa diagnosi prenatale di patologie fetali incide non solo sulle scelte abortive della gestante, ma può avere anche altre conseguenze parimenti meritevoli di essere risarcite. Laddove i genitori fossero stati informati della malattia del feto avrebbero potuto prepararsi psicologicamente e materialmente alla nascita di un bambino con problemi, in quanto avrebbero potuto programmare interventi chirurgici o cure tempestive per eliminare il problema o attenuarne le conseguenze predisponendo anche una diversa organizzazione di vita.

I ricorrenti hanno censurato la sentenza per non aver tenuto in considerazione il fatto che, a causa della omissione, gli stessi sono stati così privati della facoltà di scegliere tra le diverse opzioni di trattamento, nonché della possibilità di chiedere il parere di altri medici o di rivolgersi ad altra struttura sanitaria.

La conoscenza dello stato di salute del feto, afferma la Cassazione, si pone quale antecedente causale di una serie di altre possibili scelte, non solo di natura terapeutica (come può essere l’interruzione della gravidanza), ma anche di natura esistenziale e familiari, svolgendo la diagnosi prenatale una pluralità di funzioni.

La Cassazione conclude ricordando che, in forza dell’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 2059 c.c., la lesione del diritto a prepararsi al trauma della nascita di una figlia o di un figlio affetto da gravi patologie dà luogo ad un danno patrimoniale risarcibile solo allorquando lo stesso sia causalmente collegato all’inadempimento informativo e superi la soglia della gravità dell’offesa secondo quanto statuito dalle sentenze di San Martino.

La Suprema Corte non affronta invece la questione relativa alla propagazione soggettiva dei suddetti danni, rinviando al giudice di merito stabilire se in concreto tale danno vi sia stato, chi lo abbia subito e quale ne sia stata l’entità. Infine, rileva che sul piano generale la tutela risarcitoria anche del padre è stata ormai affermata dalla giurisprudenza di legittimità con la pronuncia n. 20320 del 20 ottobre 2005.

Concludendo, anche, ed anzi soprattutto nella materia della diagnosi prenatale, l’adempimento dell’obbligo informativo da parte del medico assume una rilevanza particolarmente pregnante, per la ricchezza delle possibili scelte di vita che un’informazione puntuale e completa può dischiudere alla parte titolare del corrispondente diritto.

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