La Corte di Cassazione, Prima Sezione Civile, con sentenza n. 1517 del 25 gennaio 2021 torna ad affrontare la questione della natura e liceità del mutuo contratto allo scopo di estinguere una pregresso debito di natura chirografaria del correntista.

1. Il caso

La vicenda processuale trae origine dalla domanda della Banca di insinuazione al passivo fallimentare per credito derivante da mutuo. Il curatore, nel costituirsi, osservava che nonostante nel contratto di mutuo fosse prevista la destinazione della somma a investimenti immobiliari, l'importo mutuato era servito semplicemente a coprire un precedente scoperto di conto corrente chirografario senza creare una provvista autonomamente utilizzabile, così trasformando un debito chirografario in debito privilegiato ed aveva quindi chiesto accertarsi la nullità del contratto per mancanza di causa, ai sensi dell’art. 1418 c.c.

Il Tribunale adìto dalla Banca in opposizione ex art. 98 Legge Fallimentare accoglieva parzialmente l’opposizione, ammettendo il credito in via chirografaria e, quindi, escludendo la validità/efficacia della sola garanzia ipotecaria, sulla base del rilievo che le parti avevano indicato uno scopo del tutto inesistente sin dall’inizio. Il Giudice di merito, tuttavia, confermava la validità del mutuo sulla base dell’assunto che le parti avevano voluto realmente contrarre un finanziamento a lungo termine.

2. I presupposti per la qualificazione del contratto in termini di mutuo di scopo

La sentenza in commento chiarisce, in primo luogo, che “la mera enunciazione, nel testo contrattuale, che il mutuatario utilizzerà la somma erogatagli per lo svolgimento di una data attività o per il perseguimento di un dato risultato non è per sè idonea a integrare gli estremi del mutuo di scopo convenzionale, per il cui inveramento occorre, di contro, che lo svolgimento dell'attività dedotta o il risultato perseguito siano nel concreto rispondenti a uno specifico e diretto interesse anche proprio della persona del mutuante, che vincoli l'utilizzo delle somme erogate alla relativa destinazione”. Su queste premesse, la Corte ha escluso che il contratto in esame potesse configurarsi in termini di muto di scopo.

Tale statuizione riveste un significativo interesse pratico di carattere generale (interesse nel caso in esame assai attutito dalle conclusioni cui perviene la Corte con riguardo alla questione che affronteremo nel prossimo paragrafo), imponendo all’interprete – sulla base di principi già desumibili dai criteri dagli artt. 1362 ss. c.c. – di non fermarsi alle dichiarazioni, spesso ‘di stile’, inserite nei testi contrattuali, ma di verificare la sussistenza di un effettivo interesse, in capo all’istituto di credito, a che le somme siano concretamente destinate a realizzare le opere programmate dal mutuatario.

3. La natura del mutuo contratto per ripianare il debito

Quanto alla natura del mutuo contratto con lo scopo di estinguere un pregresso debito  mediante accredito su conto corrente del debitore della somma mutuata, nella giurisprudenza di legittimità si registrano due oriengamenti contrapposti:

  • secondo un orientamento, l’operazione è nulla in quanto mancante dell’elemento – essenziale – della effettiva consegna della somma di denaro (traditio rei) e, conseguentemente, non sono valide le ipoteche eventualmente concesse, siccome tali da alterare la par condicio creditorum (Cass., 5 agosto 2019, n. 20896; Cass., 8 aprile 2020, n. 7740);
  • Secondo una diversa opinione, l’operazione è valida ed efficace, realizzandosi la traditio rei con la messa a disposizione – mediante accredito (effettivo) sul conto corrente del mutuatario - della somma mutuata (Cass., 27 agosto 2015, n. 17194).

La sentenza in esame afferma, innanzi tutto, che l’accredito della somma oggetto di mutuo sul conto corrente che registra la posizione debitoria del mutuatario costituisce una operazione meramente contabile, atteso che la somma non entra nella piena disponibilità del mutuatario e dunque non determina l’effettivo passaggio del denaro dal mutuante al mutuatario, elemento essenziale del contratto di mutuo e presupposto dell’obbligazione restitutoria. 

Su queste premesse, la Corte conclude che l’operazione – finalizzata a ripianare il debito “a mezzo di nuovo "credito", che la banca già creditrice realizzi mediante accredito della somma su un conto corrente gravato di debito a carico del cliente” -non integra gli estremi del contratto di mutuo, bensì quelli di “una semplice modifica accessoria dell'obbligazione” sotto il profilo del differimente del termine di adempimento. Ne discende, quale corollario, che il mutuo in questione non possa legittimare l’ammissione al passivo con privilegio, atteso che l’ammissione al passivo del credito restitutorio vantato dalla banca, trova la propria ragione fondante nell'iniziale scoperto di conto corrente ed ha natura chirografaria.

4. Osservazioni critiche

La sentenza in esame lascia perplessi nella misura in cui non tiene conto che, sotto il profolo strettamente giuridico, l’accredito della somma mutuata sul conto corrente integra una effettiva messa a disposizione del correntista dell’importo mutuato e, quindi, può considerarsi alla stregua di un trasferimento della proprietà delle predette somme, seppur non in termini materiali, ma senz’altro in termini giuridici.

D’altronde, che il dibattito giurisprudenziale relativo alla qualificazione e alla validità dell’operazione di mutuo finalizzata a ripianare un debito pregresso con la medesima banca mutuante, sia tutt’altro che destinato a sopirsi, emerge ove solo si consideri che pochi giorni prima della pubblicazione della pronuncia in commento, la Corte di Cassazione, Sezione Terza Civile, con sentenza del 18 gennaio 2021, n. 724 ha reso statuizioni di segno opposto, affermando la validità di operazione analoga a quella esaminata dalla sentenza in esame, sulla base dell’assunto che “l'accredito contabile di una somma equivale alla sua materiale erogazione” e che “la costituzione di una garanzia reale ipotecaria per un preesistente credito chirografario rappresenta causa negoziale pienamente lecita”.

Anche avuto riguardo al principio della par condicio creditorum, la sentenza da ultimo richiamata ha rilevato che “l'eventuale pregiudizio che, in relazione alla predetta operazione, possa determinarsi per i creditori, non implica la nullità del negozio, ma al più, sussistendone i tutti presupposti previsti dalla legge, la possibile revocabilità della garanzia o, in determinate circostanze, dell'eventuale pagamento così operato”.

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