Secondo un orientamento, ormai consolidato, della giurisprudenza di legittimità, la prestazione lavorativa eccedente, che supera di gran lunga i limiti previsti dalla legge e dalla contrattazione collettiva, e che si protrae per diversi anni, cagiona al lavoratore un danno da usura – psicofisica.

Si tratta, secondo la Corte, di un pregiudizio di natura non patrimoniale e distinto da quello biologico, la cui esistenza è presunta nell’an in quanto lesione del diritto garantito dall’art. 36 della Costituzione.

Ai fini della determinazione del quantum, invece, occorre tener conto della gravità della prestazione e delle indicazioni della disciplina collettiva intesa a regolare il risarcimento in oggetto (Cass. 10 maggio 2019, n. 12540; Cass. 14 luglio 2015, n. 14710; Cass. 23 maggio 2014, n. 11581).

Questi principi sono stati ribaditi dalla Suprema Corte anche in una recente ordinanza (Cass. 29 settembre 2021, n. 26450) nell’ambito della quale la Corte ha escluso la sussistenza di un difetto di allegazione e di prova da parte del lavoratore.

In quel caso, infatti, secondo il Collegio, il ricorrente aveva prospettato, nei gradi di merito, sia il numero delle ore straordinarie svolte, sia il periodo di riferimento.

Da tali elementi, la Corte territoriale aveva rilevato la abnormità della prestazione eseguita, tale da compromettere l’integrità psico – fisica e la vita di relazione del lavoratore.

E nel caso in cui sia stato lo stesso lavoratore a chiedere di poter lavorare più ore?

A fronte di un obbligo ex art. 2087 c.c. per il datore di lavoro di tutelare l’integrità psico-fisica e la personalità morale del lavoratore, la volontarietà di quest’ultimo, ravvisabile nella mera disponibilità alla prestazione lavorativa straordinaria, non può connettersi causalmente all’evento rappresentando una esposizione a rischio non idonea a determinare un concorso giuridicamente rilevante (in questo senso, Cass. 10 maggio 2019, n. 12540; cfr. Cass. 19 gennaio 2017 n. 1295).

Il nostro ordinamento non lascia spazio al “concorso colposo” del lavoratore.

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