La natura di durata del contratto d’agenzia fa sì che, durante la sua esecuzione, si possa delineare un’esigenza del preponente di modificare alcuni degli aspetti della regolamentazione del rapporto.

Il problema non trova specifica disciplina nel sistema del nostro Codice Civile, mentre è stato da tempo oggetto di regolamentazione da parte degli a.e.c.

La contrattazione collettiva, pur tenendo conto della sopra menzionata esigenza, la contempera con quella di tutela della posizione dell’agente avverso modifiche che risultino tali da incidere in maniera significativa sulla sostanza economica del rapporto.

Si pensi, ad esempio, all’art. 3 dell’a.e.c. per gli agenti del settore Commercio, che, muovendo proprio dalla rilevazione dell’esigenza di flessibilità, contempla la possibilità di variare le provvigioni.

In sintesi, tale norma distingue varie ipotesi, prevedendo che:

  • le variazioni definite di lieve entità (che comportano modifiche comprese tra lo 0 ed il 5 % delle provvigioni di competenza dell’agente nell’anno civile precedente la variazione, ovvero nei 12 mesi antecedenti la variazione qualora l’anno precedente non sia stato lavorato per intero) possono essere realizzate senza preavviso, divenendo efficaci sin dal momento della ricezione della relativa comunicazione da parte dell’agente;
  • le variazioni di media entità (che comportano modifiche comprese tra il 5 % ed il 20 %) possono essere realizzate previa comunicazione scritta all’agente, con un preavviso variabile a seconda che si tratti di agenti plurimandatari o monomandatari;
  • le variazioni di sensibile entità (che determinano modifiche superiori al 20%) possono essere realizzate previa comunicazione scritta all’agente con un preavviso non inferiore a quello previsto per la risoluzione del rapporto.

La tutela dell’agente si risolve, poi, nel potere attribuito a quest’ultimo di comunicare, entro 30 giorni, di non accettare le variazioni che modifichino sensibilmente il contenuto economico del rapporto, con la conseguenza che, in questo caso, la comunicazione del preponente costituirà preavviso per la cessazione del rapporto di agenzia ad iniziativa della casa mandante, con il corollario della debenza, da parte della Società, delle indennità di fine rapporto.

Al di là delle singole e specifiche disposizioni previste dalla contrattazione collettiva, a quali limiti deve sottostare lo jus variandi riconosciuto in capo al preponente?

La giurisprudenza di legittimità è stata chiamata già da tempo ad affrontare tale questione.

Da ultimo, nell’ordinanza n.14181 del 24 maggio 2021, la Corte ha espressamente richiamato le precedenti prenunce secondo le quali, nel contratto di agenzia, l’attribuzione al preponente del potere di modificare talune clausole, e in particolare quella relativa al portafoglio clienti, “può trovare giustificazione nell’esigenza di meglio adeguare il rapporto alle esigenze delle parti, così come esse sono mutate durante il decorso del tempo, ma, perché non ne rimanga esclusa la forza vincolante del contratto nei confronti di una delle parti contraenti, è necessario che tale potere abbia dei limiti e in ogni caso sia esercitato dal titolare con l’osservanza dei principi di correttezza e di buona fede”.

Già Cass.  n. 5467/2000 aveva affermato che il preponente potesse modificare alcune clausole, nello specifico, quelle relative all'ambito territoriale e alla misura delle provvigioni, alla luce della necessità di meglio adeguare il rapporto alle esigenze delle parti, e che, però, “affinché tale diritto non si traduca in un sostanziale aggiramento della forza cogente del contratto, è necessario che tale potere abbia dei limiti e, in ogni caso, che sia esercitato dal relativo titolare con l’osservanza dei principi di correttezza e buona fede”.

Tale pronuncia era stata richiamata anche da Cass. n. 13580 del 2 luglio 2015: in quel caso la Corte aveva affrontato una vicenda nell’ambito della quale il preponente aveva ridotto il portafoglio clienti degli agenti dell’88 %.  La Corte, pur dando atto del fatto che la variazione unilaterale del portafoglio - che aveva comportato una riduzione dell'88% del valore delle provvigioni di competenza dell’agente nell'anno civile precedente la medesima variazione – era espressamente consentita dalla clausola collettiva di settore, aveva ritenuto che la stessa fosse “di entità tale da risultare contraria ai principi di correttezza e buona fede di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c., astrattamente applicabili pure a fronte dell'esercizio di diritti potestativi”.

La clausola invocata dalla Società in quella sede ricorrente, se applicata anche a variazioni manifestamente eccessive delle condizioni contrattuali, tali da risultare di fatto inaccettabili, avrebbe finito, secondo la Corte, per alterare la causa stessa del contratto di agenzia, ponendo l’agente nell’oggettiva impossibilità di proseguire il rapporto anche soltanto in via provvisoria.

E, secondo la Cassazione, rendere all’agente di fatto impossibile accettare, anche soltanto in via provvisoria, tale variazione precluderebbe la funzionalità stessa della clausola collettiva nella parte in cui stabilisce che la comunicazione di variazione decisa dal preponente, in caso di non accettazione da parte dell’agente, costituisce preavviso per la cessazione del rapporto di agenzia ad iniziativa della casa mandante.

Dunque, sebbene sia vero che le modifiche unilaterali del contratto da parte della preponente siano contemplate dagli accordi collettivi, le stesse devono comunque essere rispettose dei principi di correttezza e buona fede.

Jus variandi sì, scorrettezza no.

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