Con l’ordinanza interlocutoria n. 23 del 2 gennaio 2025 la Seconda Sezione della Cassazione ha disposto la trasmissione del ricorso alla Prima Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite di una questione di particolare importanza riguardante i presupposti necessari ai fini dell’esperibilità ad opera del creditore dell’azione surrogatoria ex art. 2900 c.c.

Il contrasto giurisprudenziale esaminato nell’ordinanza in commento attiene al concetto di trascuratezza, quale presupposto dell'azione surrogatoria dell'art. 2900 cod. civ.

Un primo orientamento, più tradizionale, considera come presupposto dell'azione surrogatoria, oltre all'esistenza del credito di chi agisca rispetto al titolare dell'azione ed all'insolvenza del debitore, l'inerzia di quest'ultimo.

Tale orientamento intende per ‘inerzia’ del debitore il comportamento “omissivo, o insufficientemente attivo, al quale non può equipararsi un comportamento positivo, per cui il creditore non può chiedere di sostituirsi al debitore per sindacare le modalità con cui questi abbia ritenuto di esercitare la propria situazione giuridica”. 

Un secondo orientamento ritiene invece che l’inerzia non rientri più tra i presupposti per l’esperimento dell’azione surrogatoria, in quanto il termine è scomparso dall’art. 2900 c.c. che oggi, a differenza di quanto previsto nel previgente codice civile del 1865 all'art. 1234, parla “di debitore che trascura di esercitare i propri diritti ed azioni nei confronti dei terzi”.

Ne deriva che a legittimare l'intervento del creditore quale sostituto processuale del titolare del diritto, o dell'azione processuale, “non è necessaria un'inattività totale del debitore, bensì è sufficiente un esercizio incompleto e quantitativamente insufficiente del diritto”.

Nel concetto di “trascuratezza” è possibile ricomprendere “ogni deficienza rispetto a ciò che il debitore avrebbe potuto fare per perseguire correttamente e proficuamente le proprie ragioni… o comunque attività del debitore qualitativamente, o quantitativamente insufficienti per la tutela della situazione giuridica del debitore all'interno del rapporto col terzo, purché non si vada ad interferire su atti di disposizione dei diritti del debitore, che se compiuti vanno invece contrastati attraverso l'azione revocatoria ordinaria, o l'opposizione di terzo”.

Nell’ordinanza interlocutoria la Cassazione ha rilevato che, oltre all’evidenziata questione oggetto di contrasto giurisprudenziale, se ne pone un’altra riguardante il particolare atteggiarsi dell'interesse ad agire nel caso dell'azione surrogatoria.

Per la giurisprudenza tradizionale, come abbiamo visto legata alla vecchia nozione di “inerzia”, qualora il debitore titolare dell'azione non sia più inerte, per aver posto in essere comportamenti idonei e sufficienti a far ritenere utilmente espressa la sua volontà in ordine alla gestione del rapporto, viene automaticamente a mancare il presupposto perché a lui possa sostituirsi il creditore, non potendo quest'ultimo sindacare le modalità con cui il debitore abbia ritenuto di esercitare i suoi diritti nell'ambito del rapporto.

La Cassazione nell’ordinanza in commento ha evidenziato che tale orientamento presta il fianco ad iniziative strumentali del titolare debitore, e risulta altresì poco conforme alla nozione di trascuratezza, e non di mera inerzia, dell'attuale art. 2900 cod. civ.

Pertanto, la Corte ritiene che lo stesso debba essere riconsiderato dalle Sezioni Unite.

La Seconda Sezione ritiene che l’esame del ricorso consenta di sottoporre alle Sezioni Unite un’ulteriore questione di grande rilievo nomofilattico, avente ad oggetto l'esperibilità, in via surrogatoria, dell'azione di riduzione per lesione di legittima, da parte del creditore del legittimario totalmente pretermesso, il quale abbia trascurato di esercitarla.

In relazione a quest’ultimo profilo le Sezioni Unite dovranno valutare “se sia preferibile una rivalutazione dello strumento dell'impugnazione della rinuncia da parte dei creditori di cui all'art. 524 c. c., o se, invece, debba prestarsi adesione alla tesi più radicale espressa da Cass. 29.7.2008 n. 20562. La predetta decisione ha, in particolare, riconosciuto all'azione regolata dall'art. 524 c.c. natura recuperatoria - mirando essa a rendere inopponibile al creditore la rinuncia del chiamato all'eredità ed a consentirgli di soddisfarsi sui beni ereditari che per il chiamato all'eredità si sono ormai perduti in conseguenza della sua rinuncia all'eredità - senza però fare assumere al chiamato la qualità di erede ed ha ritenuto inapplicabile analogicamente tale disposizione al legittimario totalmente pretermesso, che non rientra tra i chiamati all'eredità, che diventano eredi con l'accettazione e ad essa possono rinunciare con un effetto di immediato impoverimento del loro patrimonio”.

Per leggere l’ordinanza interlocutoria nella versione integrale clicca qui

https://www.cortedicassazione.it/it/civile_dettaglio.page?contentId=SZC40173

Un’ampia, recentissima sentenza della Corte di Cassazione (14 giugno 2021 n. 16743) affronta il tema delle conseguenze di una protratta, ed ingiustificata, inerzia del locatore nel pretendere dal conduttore il pagamento dei canoni.

Nel caso di specie, era accaduto che, nell’ambito di un contratto di locazione di un immobile urbano ad uso abitativo di proprietà di una società familiare, il conduttore – figlio di altro socio della predetta società – non era stato richiesto del pagamento dei canoni per circa sette anni. La prima richiesta di pagamento, estesa a tutti gli arretrati maturati e poi fatta valere in giudizio, era infatti intervenuta all’indomani dell’assegnazione dell’immobile in questione alla moglie divorziata del conduttore – figlio.

Nel giudizio di secondo grado (disattesa dalla Corte d’Appello, così come aveva già fatto il Tribunale, la tesi, svolta in via principale dal conduttore, della natura simulata del contratto di locazione in quanto tale, che avrebbe celato un rapporto gratuito), la domanda di pagamento dei canoni era stata accolta solo per quelli maturati a partire dalla prima richiesta stragiudiziale: ciò sulla premessa che la prolungata inerzia del locatore aveva determinato un ragionevole affidamento del conduttore circa l’assenza di volontà della controparte contrattuale di far valere in effetti il proprio credito.

La Cassazione conferma l’impostazione della decisione d’appello e ne trae occasione per un’articolata messa a punto della rilevanza che può assumere l’inerzia del creditore nel pretendere il pagamento di quanto a lui periodicamente dovuto nell’ambito di un contratto di durata: la conclusione è che, allorché questa inerzia si protragga per un arco temporale particolarmente lungo in relazione alla durata complessiva del rapporto, e si inserisca in un contesto di circostanze tali da fondare l’affidamento del debitore nel senso che il credito gli fosse stato rimesso per contegno concludente, l’improvvisa richiesta di adempimento integrale del debito pregresso costituisce esercizio abusivo del diritto.

Una riflessione compiuta sul ricco impianto argomentativo della sentenza – attento anche alle suggestioni dell’istituto tedesco della Verwirkung ed alle prospettive applicative del canone di buona fede nell’attuazione del contratto – non può essere svolta in poche righe.

Quel che è certo è che la sentenza rappresenta un monito per i creditori troppo a lungo inerti di prestazioni periodiche in contratti di durata: le loro pretese, quanto meno per gli arretrati maturati, rischiano di essere travolte e per di più sulla base di un’eccezione in senso lato, a differenza di quella di prescrizione, e dunque non assoggettata al regime del necessario rilievo di parte ed alle preclusioni processuali proprie delle eccezioni in senso stretto.

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