L'ente pubblico è responsabile dei danni conseguenti alla lesione dei diritti soggettivi dei privati, cagionata da immissioni rumorose provenienti da aree pubbliche.
Sulla base di tale principio, Cass., ord. 9 luglio 2024, n. 18676 ha confermato la condanna di un Comune al risarcimento dei danni (non patrimoniali) conseguenti ai rumori generati dalle manifestazioni culturali organizzate nella piazza cittadina, che - superando la normale tollerabilità - pregiudicavano il godimento dell’appartamento che gli attori avevano destinato a residenza estiva.
L’ordinanza in esame, innanzi tutto, rigetta il primo motivo di gravame, secondo cui la valutazione delle immissioni non avrebbe potuto essere condotta alla stregua del DPCM del 14 novembre 1997, bensì tenendo conto del Regolamento Comunale, che aveva innalzato il livello di rumorosità consentito in caso di eventi culturali all’aperto. Come chiarito dalla Corte, “i limiti posti dai singoli regolamenti, compreso dunque quello richiamato dal comune, e dallo stesso comune approvato, sono puramente indicativi in quanto anche immissioni che rientrino in quei limiti possono considerarsi intollerabili nella situazione concreta, posto che la tollerabilità è, per l'appunto, da valutarsi tenendo conto dei luoghi, degli orari, delle caratteristiche della zona e delle abitudini degli abitanti” (in questi termini, v Cass., 20 gennaio 2023, n.1823, ed ancora, in precedenza, Cass., 5 agosto 2011, n. 17051).
Nella misura in cui la valutazione circa il superamento della soglia di tollerabilità, in concreto, sia stata compiuta dai Giudici del merito, la stessa è insindacabile innanzi alla Corte di Cassazione.
La Corte ribadisce quindi il principio affermato da Cass. n. 14209 del 23 maggio 2023 (per un commento alla quale si rimanda a Maria Santina Panarella, Il Comune deve risarcire i danni patiti dai cittadini per gli schiamazzi notturni), secondo cui il Comune è “responsabile dei danni conseguenti alla lesione dei diritti soggettivi dei privati, cagionata da immissioni provenienti da aree pubbliche, potendo conseguentemente essere condannata al risarcimento del danno, così come al "facere" necessario a ricondurre le dette immissioni al di sotto della soglia della normale tollerabilità, dal momento che tali domande non investono - di per sé - atti autoritativi e discrezionali, bensì un'attività materiale soggetta al richiamato principio del "neminem laedere"”.
E, d’altronde, il diritto del privato alla tutela dai pregiudizi conseguenti all’esercizio di attività rumorose da parte dell’ente pubblico, trova fondamento nel diritto alla salute, ma anche nel diritto alla vita familiare (garantito dall’art. 8 CEDU) e della stessa proprietà. Nel caso deciso dall’ordinanza in commento viene in rilievo anche il diritto al godimento della vacanza.
Inoltre, nella prospettiva in cui si pone la Corte di Cassazione, l’interesse pubblico sotteso allo svolgimento di manifestazione di carattere culturale “non può giustificare il sacrificio del diritto del privato oltre la normale tollerabilità”. Ove tale bilanciamento sia operato dal giudice del merito, peraltro, la relativa valutazione è sottratta al sindacato di legittimità, costituendo il giudizio circa la tollerabilità delle immissioni un giudizio tipicamente di merito.
Non resta che chiedersi se la ricostruzione che va accreditandosi nella giurisprudenza di legittimità, e ribadita dall’ordinanza in commento, disincentiverà l’organizzazione di manifestazioni nelle piazze, soprattutto in periodo estivo, quando il rischio di pregiudicare il godimento del riposo è assai più elevato.
Il caso concreto
Un inquilino di uno stabile residenziale realizza un secondo bagno nella stanza adiacente la camera da letto dell’immobile del dirimpettaio, collocando la cassetta di incasso del wc nel sottile muro divisorio dei due appartamenti.
Viene quindi instaurato un giudizio nel quale si chiede al giudice di accertare l’intollerabilità delle immissioni sonore provocate dagli scarichi del bagno realizzato ex novo. Ammessa la C.T.U., il consulente tecnico riscontra il superamento della normale tollerabilità delle immissioni sonore e l’impossibilità per l’attore di organizzare diversamente gli spazi all’interno dell’immobile, eventualmente spostando la camera da letto, date le modestissime dimensioni dell’immobile in questione. Inoltre, alla luce dell’accertato utilizzo frequente del bagno da parte del convenuto nelle ore notturne, viene rilevata dalla Corte territoriale la sussistenza di un danno “alla libera e piena esplicazione delle proprie abitudini di vita, diritti costituzionalmente garantiti e tutelati dall’art. 8 CEDU”.
La soluzione della Cassazione.
La Suprema Corte muove innanzi tutto dal rilievo per cui l’art. 844 c.c. - che come noto detta la disciplina delle immissioni tra fondi confinanti o comunque vicini - reca una locuzione ampia e generica di immissione intollerabile, con il corollario che spetta al giudice del merito accertare in concreto se l’immissione effettivamente superi, o meno, la normale tollerabilità. Nel compiere tale valutazione, il giudice sarà tenuto a prendere in considerazione elementi quali ‘la situazione ambientale’, le ‘caratteristiche della zona’ e ‘le abitudini di vita degli abitanti’, il tutto nell’ottica di tutelare “il diritto al riposo, alla serenità e all’equilibrio della mente, nonché alla vivibilità dell’abitazione che il rumore e il frastuono mette a repentaglio”. Rileva la Corte che il diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, così come sancito dall’art. 8 CEDU, è stato tradotto e può tradursi nel diritto alla tutela della vivibilità dell’abitazione e alla qualità della vita all’interno di essa, la cui lesione ad opera dell’autore delle immissioni intollerabili è in grado di determinare un danno non patrimoniale in colui che tali immissioni subisce.
Nel caso di specie, afferma la Cassazione, è stata concretamente accertata “la sussistenza di un danno risarcibile correlato al pregiudizio del diritto al riposo, che ridonda sulla qualità della vita di un individuo e conseguentemente sul diritto alla salute costituzionalmente garantito”, con l’importante precisazione che “non si tratta di un danno in re ipsa ma di danno conseguenza…provato in termini di disagi sofferti in dipendenza della difficile vivibilità della casa”.
La vicenda è di sicuro interesse in quanto riguarda il diritto di proprietà e le limitazioni al godimento del bene che forma oggetto di tale diritto. Esso, come noto, è definito dall’art. 832 c.c. come il diritto di godere della cosa “in modo pieno ed esclusivo”, dove la pienezza deve essere intesa come “potenzialità del diritto dominicale a comprendere la generalità astratta delle forme di godimento e di disposizione relative al bene” (Bianca, La proprietà, Giuffré editore, 2017, Milano, 153) e l’esclusività è riferita al potere del titolare del diritto di escludere ogni ingerenza da parte di terzi dal godimento di quel medesimo bene. Tuttavia è noto che lo stesso art. 832 c.c. prevede che il diritto di godimento riconosciuto al proprietario non sia assoluto (come invece era previsto dal codice del 1865) ma che esso possa essere esercitato “entro i limiti e con l’osservanza degli obblighi stabiliti dall’ordinamento giuridico”. E’ questa una delimitazione positiva del contenuto del diritto che trova poi maggiore specificazione nella già menzionata disciplina delle immissioni di cui all’art. 844 c.c. ed in altre, numerose disposizioni dell’ordinamento che, per la brevità che caratterizza il presente contributo, non possono nemmeno essere accennate in questa sede.
Ed ecco allora che, per tornare a ‘volo d’uccello’ alla fattispecie concreta, il diritto del proprietario di godere della cosa in modo pieno ed esclusivo decidendo di realizzare un bagno in una stanza del proprio immobile, incontra un preciso limite, ed è destinato a soccombere (si legge nella sentenza che il CTU ha individuato una serie di opere idonee a ridurre le immissioni), di fronte alla prevalente e primaria esigenza di tutelare il diritto al riposo notturno, e quindi alla salute, del dirimpettaio che dall’utilizzo di tale bagno riceve una lesione “alla vivibilità dell’abitazione e alla qualità della vita all’interno di essa”.