Con l’ordinanza n. 26493 del 14 settembre 2023, la Corte di Cassazione è tornata sul tema del frazionamento giudiziale del credito chiarendo la portata dei principi di diritto affermati dalle Sezioni Unite nella precedente sentenza n. 4090 del 16 febbraio 2017.
I fatti di causa e il giudizio di merito
Il giudice di pace di Napoli, accogliendo l’opposizione proposta ai sensi dell’art. 645 c.p.c. da un condomino, revocava il decreto ingiuntivo ottenuto da un avvocato per i compensi professionali maturati per le prestazioni svolte quale difensore del Condominio. L’opposizione veniva accolta avendo il professionista abusivamente proceduto alla parcellizzazione della domanda giudiziale depositando tre distinti ricorsi monitori. Era stato così realizzato un illegittimo frazionamento giudiziale del credito.
Il Tribunale di Napoli, nella veste di giudice di secondo grado, esclusa la sussistenza di un interesse del professionista alla trattazione separata – stante la vicinanza temporale dei diversi ricorsi proposti –, rigettava l’appello riconducendo la condotta posta in essere dall’avvocato nella categoria “dell’abuso del diritto”.
Il giudizio davanti alla Corte di Cassazione
Avverso la sentenza di secondo grado il professionista ha proposto ricorso per cassazione, lamentando che i diversi giudizi in cui aveva rappresentato il Condominio non costituivano un'unica prestazione professionale, ma si articolavano in distinte attività giudiziarie “che escludono il frazionamento di un unico credito in plurime richieste giudiziali di adempimento, contestuali o scaglionate nel tempo, e legittimano, invece, il ricorrente al compenso per l'attività professionale esercitata limitatamente a ciascuna specifica controversia, quand'anche l'incarico fosse stato unico”.
Il ricorrente lamentava altresì che, nel caso di parcellizzazione giudiziale dei crediti, la sanzione non può consistere nell'inammissibilità delle domande giudiziali, ma semmai nella revoca del decreto ingiuntivo e delle spese giudiziali con esso liquidate, rendendosi comunque necessaria una pronuncia sul diritto di credito al compenso professionale maturato.
Nello specifico, per il professionista poteva dirsi sussistente l’interesse ad una tutela processuale frazionata stante l'assenza di un accordo riguardante il compenso per le singole attività defensionali ovvero per l'incarico professionale unitario.
La Corte di Cassazione con l’ordinanza in commento del 14 settembre 2023, n. 26493 ha rigettato il ricorso, ritenendo, in particolare, il motivo riguardante il frazionamento del credito in plurime richieste giudiziali del tutto infondato.
Nella motivazione la Corte, dopo aver ricordato il principio di diritto espresso nella sentenza n. 4090 del 16 febbraio 2017 dalle Sezioni Unite (secondo cui “le domande aventi ad oggetto diversi e distinti diritti di credito, benché relativi ad un medesimo rapporto di durata tra le parti, possono essere proposte in separati processi, ma, ove le suddette pretese creditorie, oltre a far capo ad un medesimo rapporto tra le stesse parti, siano anche, in proiezione, inscrivibili nel medesimo ambito oggettivo di un possibile giudicato o, comunque, fondate sullo stesso fatto costitutivo - sì da non poter essere accertate separatamente se non a costo di una duplicazione di attività istruttoria e di una conseguente dispersione della conoscenza dell'identica vicenda sostanziale - le relative domande possono essere formulate in autonomi giudizi solo se risulti in capo al creditore un interesse oggettivamente valutabile alla tutela processuale frazionata”), ne ha chiarito la portata specificando il significato da attribuire ai concetti di ‘medesimo rapporto di durata’ e ‘medesimo fatto costitutivo’.
L'espressione “medesimo rapporto di durata” va letta “in senso storico/fenomenologico”, con il significato di “relazione di fatto realizzatasi tra le parti nella concreta vicenda da cui deriva la controversia”.
Così, per l'espressione “medesimo fatto costitutivo”, l'aggettivo medesimo va inteso come sinonimo di analogo (e non di identico) e, comunque, “non come fatto costitutivo delle singole pretese ai sensi dell'art. 1173 c.c., configurandosi in tal caso il medesimo diritto di credito, ma come fatto storico che, seppur diverso, abbia però la stessa natura di quello che, nell'ambito del rapporto tra le parti, sia stato già dedotto in giudizio: l'uno e l'altro, quindi, costitutivi di più crediti ontologicamente distinti (pur se riconducibili allo stesso rapporto tra le parti, ma tra loro giuridicamente simili”.
Alla luce delle predette chiarificazioni, con riferimento al caso di specie, la Cassazione, nell’ordinanza in commento, ha affermato che “l'asserita mancanza di un accordo negoziale non rende, di per sé, indispensabile il frazionamento” rilevando in ogni caso “il dato fattuale della riconducibilità ed omogeneità dei singoli incarichi nell'ambito di una relazione unitaria svoltasi nel tempo”.
A conclusione del ragionamento la Corte di Cassazione ha poi affermato che si configura frazionamento abusivo nel caso “in cui le pretese creditorie separatamente azionate siano riconducibili a fatti costitutivi storicamente distinti che si sono verificati nel contesto di un rapporto di durata tra le parti anche se non ha avuto origine nella stipulazione di un contratto che ne regolasse gli effetti: (quanto meno) tutte le volte in cui si tratti di fatti che, seppur distinti, sono tra loro simili (come l'esecuzione di distinti incarichi professionali ovvero di distinte forniture) e, in quanto tali, idonei a costituire, tra le stesse parti, diritti di credito giuridicamente eguali. In tali (e in altre simili) ipotesi, infatti, la contemporanea sussistenza di crediti giuridicamente eguali, che siano riconducibili (come pretendono le Sezioni Unite) nell'ambito di un "rapporto" che, nel corso del tempo, si sia venuto a determinare (pur se in via di mero fatto) tra le stesse parti, ne impone la deduzione (ove esigibili) nello stesso giudizio (salvo che l'attore non abbia, e da ciò non può prescindersi, un oggettivo interesse alla loro tutela frazionata: cfr. testualmente, Cass. 24371/2021)”.
Infine, in relazione all’altra questione sollevata dal ricorrente, la Corte, nell’ordinanza in commento, ha precisato che la violazione del divieto di indebito frazionamento del credito, costituendo una statuizione su una questione processuale, dà luogo ad un giudicato meramente formale e, come tale, ha un’efficacia preclusiva limitatamente al giudizio in cui è pronunciata.
È dunque sempre possibile la riproposizione della medesima questione in un successivo giudizio tra le stesse parti.