Tra i principali interrogativi che gli scandali finanziari degli ultimi decenni hanno posto vi è senz’altro quello della responsabilità per i danni causati alla clientela dal consulente finanziario.

Quando l’intermediario, nella prestazione dei servizi di investimento e nell’offerta di strumenti finanziari, si avvale dell’attività di consulenti, si instaura un rapporto trilaterale che coinvolge tre figure giuridiche, intermediario – consulente – cliente.

Il consulente è legato da un rapporto di preposizione con l’intermediario che si avvale della sua collaborazione; a sua volta, il consulente entra in contatto con il cliente/investitore, offrendo i servizi finanziari per conto dell’intermediario.

Vi è poi il rapporto tra cliente e intermediario, atteso che il contratto di investimento ha ad oggetto strumenti finanziari emessi o collocati sul mercato dal medesimo intermediario.

Cosa accade se il cliente lamenta un danno?

La norma fulcro è l’art. 31, n. 3 del T.U.F.  la quale dispone che “Il soggetto che conferisce l’incarico è responsabile in solido dei danni arrecati a terzi dal consulente finanziario abilitato all'offerta fuori sede, anche se tali danni siano conseguenti a responsabilità accertata in sede penale”.

È prevista, dunque, un’estensione delle conseguenze dannose derivanti dalla condotta del consulente seppure il preponente non abbia concorso direttamente alla produzione del danno.

Non a caso, si ritiene che la ratio sottesa all’art. 31, co. 3 cit. debba essere ravvisata nella tutela dell’investitore. D’altronde, alla luce della evidente superiore capienza patrimoniale dell’istituto rispetto a quella del singolo consulente, un regime di solidarietà passiva garantirà maggiormente il risparmiatore e, di conseguenza, lo incentiverà ad investire.

Dalle pronunce rese negli anni dai giudici di merito e, soprattutto, dalla Corte di Cassazione, possono essere delineati i caratteri peculiari di tale responsabilità.

In particolare, in tema di danni derivanti dalla condotta illecita del consulente di prodotti finanziari o assicurativi, la giurisprudenza della Corte di Cassazione è ferma nel ritenere che la responsabilità della banca o della compagnia di assicurazioni è astrattamente inquadrabile quale responsabilità oggettiva ex art. 2049 c.c., cioè quale ipotesi di responsabilità indiretta per il danno provocato dal proprio incaricato, in quanto agevolato o reso possibile dalle incombenze demandategli, su cui la preponente aveva la possibilità di esercitare poteri di direttiva e di vigilanza (cfr. Cass. Sez. U. 16 maggio 2019, n. 13246; tra le altre Cass. 26 giugno 2019, n. 17060).

Sin tratta di un regime di responsabilità che comprende qualsiasi comportamento posto in essere dal consulente finanziario nell’ambito dell’incarico allo stesso affidato.

Al fine della configurabilità della responsabilità solidale è sufficiente, infatti, che vi sia un nesso di occasionalità necessaria tra l’attività demandata al consulente finanziario e l’illecito compiuto in danno del cliente.

Quello che è richiesto, dunque, è che l’incombenza abbia determinato una situazione tale da agevolare o rendere possibile il fatto illecito e l’evento dannoso, anche se il collaboratore dell’imprenditore ha operato oltre i limiti delle proprie incombenze, purché sempre nell’ambito dell'incarico affidatogli (Cass. 17 gennaio 2020, n. 857).

Trattandosi, come si è detto, di una responsabilità oggettiva, per affermare la responsabilità solidale dell’intermediario finanziario, non è necessario provare lo stato soggettivo di dolo o colpa in capo all’intermediario stesso.

In effetti, l’esigenza di garanzia del risparmiatore, nonché la considerazione dei vantaggi che l’intermediario trae dall’attività del consulente, giustificano senz’altro in maniera più pregnante una responsabilità che non viene esclusa da un’ipotetica prova fondata sul difetto di colpa.

Ma è davvero sempre così?

In particolare, ci si può chiedere se e quando la responsabilità dell’intermediario possa essere esclusa dalla condotta del cliente.

La risposta è certamente positiva: difatti, un’eccezione fondata sulla condotta negligente del cliente danneggiato, rilevante in termini di concorso di colpa ex art. 1227 c.c., è proponibile.

Secondo la giurisprudenza consolidata, la condotta dell’investitore può far venire meno la responsabilità dell’intermediario qualora sia per lui chiaramente percepibile che il preposto, abusando dei propri poteri, agisca per finalità estranee a quelle del preponente, ovvero quando il medesimo danneggiato sia consapevolmente coinvolto nell’elusione della disciplina legale da parte del consulente od abbia prestato acquiescenza all’irregolare agire dello stesso, palesata da elementi presuntivi, quali il numero o la ripetizione delle operazioni poste in essere con modalità irregolari, il loro valore complessivo, l’esperienza acquisita nell’investimento di prodotti finanziari, la conoscenza del complesso "iter" funzionale alla sottoscrizione di programmi di investimento e le sue complessive condizioni culturali e socio-economiche (Cass., 17 gennaio 2020, n. 857).

Dunque, la responsabilità dell’intermediario per i danni arrecati ai terzi dai propri consulenti è esclusa ove il danneggiato ponga in essere una condotta agevolatrice che presenti connotati di anomalia, vale a dire, se non di collusione, quanto meno di consapevole acquiescenza alla violazione delle regole gravanti sul consulente (così, tra le pronunce concordi sul punto, Cass. 12 ottobre 2018, n. 25374 e Cass. 10 novembre 2015, n. 22956).

Facendo applicazione di tale regola, sono state così confermate, in sede di legittimità, decisioni di merito che avevano escluso, ad esempio, la corresponsabilità della banca:

  • in presenza dell’attività illecita svolta da un consulente finanziario che aveva operato in borsa per conto dei propri clienti senza alcun vincolo di mandato, utilizzando un conto corrente cointestato ovvero servendosi dei codici di accesso ai servizi di banca on line consegnatigli dagli stessi clienti (Cass. 4 marzo 2014, n. 5020);
  • in considerazione del fatto che gli investitori avevano consegnato al promotore rilevanti somme senza chiedere copia del contratto di gestione sottoscritto dall’intermediario e senza verificare personalmente, presso la sede di quest’ultimo, l’esistenza di un conto di gestione e delle specifiche operazioni finanziarie (Cass. 12 ottobre 2018, n. 25374 cit.);
  • in ragione dell’accertata esistenza di un mandato conferito dall’investitore al consulente, che aveva consentito a quest’ultimo di operare per conto del primo con amplissima autonomia (Cass. 10 novembre 2015, n. 22956);
  • in presenza di una complessiva condotta anomala tenuta dal risparmiatore e dallo stesso promotore/consulente (la consegna a quest’ultimo di somme di danaro con modalità difformi rispetto a quelle con cui egli sarebbe stato legittimato a riceverle, l’assenza di compilazione e sottoscrizione di contratto e moduli, l’assenza di evidenza contabile dei supposti investimenti, la rendicontazione manoscritta dallo stesso promotore, la ricezione da parte del cliente, a garanzia, di due assegni personali emessi dal promotore), collocata in un contesto nel quale neppure vi era stata la spendita del nome dell’intermediario finanziario da parte del promotore (cfr. Cass. ord. 27 agosto 2020 n. 17947);
  • in presenza de “la prova dell'assenza della buona fede dell'investitore in ordine all'esistenza di un mandato della banca a riscuotere le somme oggetto di versamento nelle mani del promotore finanziario (prova estraibile dalle modalità anomali ed abnormi di gestione del denaro da parte del cliente, che aveva consegnato un'enorme quantità di denaro in contanti, anziché utilizzate i normali canali di versamento, quali bonifici ed assegni) e, dall'altro, l'assoluta estraneità della banca al fatto del promotore finanziario, come arguibile dall'assenza di una rendicontazione trimestrale ovvero periodica degli ingenti investimenti, rendicontazione richiesta, poi, dall'investitore, con colpevole ed inspiegabile ritardo, alla banca” (cfr. Cass. ord. 31 agosto 2020 n. 18154).

Al contrario, secondo l’orientamento dominante in giurisprudenza, la mera allegazione del fatto che il cliente abbia consegnato al promotore il denaro con modalità difformi da quelle con cui quest’ultimo sarebbe stato legittimato a riceverlo non preclude la possibilità di invocare la responsabilità solidale dell'intermediario preponente (Cass. n. 6829/2011).

La condotta incauta del cliente, dunque, può escludere la responsabilità dell’intermediario.

In fondo, quello che è richiesto all’investitore è il rispetto dei più elementari canoni di prudenza e degli obblighi di cooperazione nel compimento dell’attività d’investimento.

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